Feltrinelli, le ombre 40 anni dopo
Per i giudici l'editore morì dilaniato a Segrate dalla bomba che stava preparando. Ma una ferita ignorata e una perizia mai pubblicata sollevano alcuni inquietanti dubbi
MILANO - Perizie, carte, testimonianze, dichiarazioni “pesanti”, evidenze fattuali emerse di recente da altri processi sollevano pesanti dubbi sulla morte di Giangiacomo Feltrinelli, di cui il 14 marzo 2012 ricorrono i 40 anni. La sua fine fu liquidata velocemente come un incidente occorso all’editore durante la preparazione di un attentato al traliccio di Segrate. Certo ci fu qualcuno che allora (tra gli altri, giornalisti del calibro di Eugenio Scalfari e Camilla Cederna) parlò di «omicidio politico», ma l’ipotesi che la morte di Feltrinelli fosse stata una «messa in scena» non è mai stata vagliata sul piano giudiziario. Eppure, a distanza di 40 anni, oggi è possibile disporre di elementi che autorizzano quanto meno a sollevare forti dubbi sulla morte dell’editore e a suggerire la necessità di una rilettura più completa dei fatti di allora.
LA PERIZIA MEDICO- LEGALE IGNORATA - La prima grande fonte di dubbio risiede nelle pesanti anomalie che una rilettura globale degli atti (oggi possibile in quanto recentemente scannerizzati dal tribunale di Milano) fa emergere riguardo all’inchiesta giudiziaria sulla morte: la perizia d’ufficio è stata compiuta in senso unidirezionale, senza vagliare l’ipotesi che Feltrinelli possa essere stato aggredito prima dell’esplosione, legato al traliccio con l’ordigno e fatto saltare. Importantissima, in questo senso, una perizia completamente trascurata dalla magistratura e dalle forze dell’ordine, che avrebbe potuto far aprire le indagini sull’ipotesi dell’omicidio. Si tratta della “relazione di consulenza medico-legale”, redatta da due luminari dell’epoca, il professor Gilberto Marrubini e il professor Antonio Fornari (il medico che ha dimostrato che Roberto Calvi non si suicidò, ma fu strangolato e poi appeso al Blackfriar’s bridge). Questo esplosivo documento, mai pubblicato sinora e corredato da foto impressionanti, sin dalla prima pagina contesta l’impostazione dei periti d’ufficio, affermando: «Dobbiamo far rilevare come alcune delle lesioni riscontrate sul cadavere di Giangiacomo Feltrinelli non possano e non debbano automaticamente ed acriticamente essere ascritte ad esplosione. Così come dobbiamo far rilevare che avrebbe meritato una più accurata e particolare considerazione la valutazione della successione cronologica delle lesioni stesse». Marrubini e Fornari rilevano in primis «una grave e censurabile carenza di obiettivazioni iniziali» sul momento esatto della morte; il «vuoto di indagini che avrebbero dovuto essere condotte al momento e sul luogo in cui il cadavere venne rinvenuto«; gli «accertamenti che ai periti erano ancora consentiti, ma che comunque non furono praticati». Quanto alla «successione cronologica delle varie lesioni», Marrubini e Fornari osservano che esse «risultano sfalsate nel tempo», mentre i periti d’ufficio, «inglobandole in un unico coacervo, ne fanno risalire la produzione, al pari della amputazione, in limine vitae», cioè all’esplosione. Un approccio che non convince Marrubini e Fornari, i quali apertamente scrivono: «Viene fatto di domandarci se antecedentemente all’esplosione non fossero intervenute altre violenze, traumatiche o di altra natura». I rilievi in sede peritale infatti «attestano, di per se stessi, come le lesioni siano in parte desincronizzate rispetto al momento dell'esplosione». Un modo elegante per dire che Feltrinelli fu aggredito prima dell’esplosione. I due professori smontano pezzo per pezzo l’esito della perizia d’ufficio. I periti iniziavano notando qualcosa che poteva far sembrare che i polsi di Feltrinelli fossero stato legati: “La superficie estensoria del polso destro e della mano destra appare interessata da colorazione blu-nerastra, con fitta punteggiatura a tratti ricoperta da sottile crosta rossastra”. Secondo Marrubini e Fornari si tratta di «fenomeni tutti vitali», ovvero prodottisi in vita, quindi prima dell’esplosione. «Già all'ispezione esterna del cadavere, alcune delle lesioni riscontrate presentavano aspetti di evoluzione tali da non poter essere considerate come contemporanee all'esplosione». Tra le lesioni non compatibili con l’esplosione ne figura poi una in sede di «encefalo corrispondente al lobo temporale destro.» Perché una cavità orbitale era “conciata” come da pugno o percossa?
Il drammatico quadro che emerge a poco, dalle parole tecniche e asettiche dei due professori, è quello di un «pestaggio» in vita di Feltrinelli (trasportato poi sul luogo della messa in scena), o di una aggressione antecedente all’esplosione. Marrubini e Fornari incalzano nel loro ragionamento: «Sempre in tema di cronologia delle lesioni, si dovrebbe dedurre che lo sfacelo dell'arto inferiore destro fu l'ultimo atto di una serie di momenti lesivi». Un modo garbato e tecnico per dire che Feltrinelli prima fu aggredito e poi fatto esplodere sotto il traliccio. Ma c’è una ferita posteriore, sul cranio, ancora più inquietante: «Non convinti lascia pure la interpretazione dell'area fratturativa di tipo "opercolare" riscontrata in corrispondenza della rocca petrosa destra. Una lesione del genere può trovare la sua origine in un trauma contusivo, "meccanico" dunque, applicato sull'ovoide cranico: ipotesi questa verificata in concreto e ripetutamente dalla esperienza dalla casistica.» Le immagini parlano chiaro. «La ferita lacero-contusa in sede occipito-parietale sinistra, ferita di forma stellare, a tre punte, con braccia della lunghezza ciascuna di mm. 7 circa, con bordi finemente laceri», viene attribuita dai medici legali a un’aggressione da dietro. «La ferita, per i suoi aspetti, richiama ipotesi di trauma direttamente applicato da uno strumento ad azione contusiva». Marrubini e Fornari invitano a rivedere i risultati della perizia d’ufficio: “Da questi esami - a parere di chi scrive - potrebbe discendere, come logica conseguenza, una rinnovata meditazione sui mezzi e sui meccanismi produttivi delle lesioni”. Oltre alla cronologia delle ferite, lascia perplessi il fatto che le mani dell’editore, nonostante l’eplosione, fossero pressoché intatte, quasi che Feltrinelli fosse stato legato, con le mani dietro la schiena, alla traversa del traliccio. Se l’editore fosse esploso armeggiando con l’ordigno, le mani avrebbero dovuto essere amputate dallo scoppio o quanto meno maciullate.
I SERVIZI NELLE INDAGINI SULLA MORTE- Che le attività eversive di Feltrinelli fossero «seguite» dai Servizi segreti di vari Paesi è ormai ampiamente documentato (la famiglia Feltrinelli ha acquisito ad esempio i rapporti della Cia, ormai declassificati, sul loro congiunto). Ma è recentissima la scoperta che l’ufficiale dei carabinieri, il maggiore Pietro Rossi, che condusse le indagini sulla morte di Feltrinelli, era tutt’altro che un anonimo ufficiale: era in realtà l’uomo di collegamento tra l’Arma e il Sid (Servizio Informazioni Difesa). Rossi era anche un membro del super servizio segreto denominato «L’Anello», la cui esistenza è stata documentata solo da recenti inchieste giudiziarie. Rossi venne inviato apposta da Padova a Milano per occuparsi dell’inchiesta su Feltrinelli e «coordinare» le indagini. Nel 1978 il maggiore Rossi diventerà addirittura capocentro del Sisde a Milano. Inoltre, la Divisione Pastrengo dei carabinieri guidata dal generale piduista Giovanbattista Palumbo (già collaboratore del generale De Lorenzo all’epoca del Sifar) da cui dipendeva Rossi all’epoca delle indagini su Feltrinelli aveva creato – stando agli atti - «un gruppo di potere estremamente coeso al di fuori della gerarchia» e collegato con ambienti di estrema destra. La caserma dei carabinieri di via Moscova da dove partirono le indagini su Feltrinelli era quindi una base operativa dei Servizi e dell’Anello.
GIUDICI «SOSTITUITI IN CORSA» E PRESSIONI SULLA MAGISTRATURA INQUIRENTE- Il magistrato Guido Viola che giovanissimo (all’epoca aveva trent’anni) condusse le indagini sulla morte di Feltrinelli ci consegna una rivelazione pesante: “I carabinieri di via Moscova, guidati dal potentissimo generale Palumbo, il cui nome poi fu scoperto negli elenchi della P2 di Castiglion Fibocchi, fecero pressioni sull’allora procuratore generale di Milano, Enrico De Peppo, un conservatore (lo stesso che chiese che il procedimento sulla strage di Piazza Fontana fosse spostato a Catanzaro per motivi di ordine pubblico, ndr) perché il primo magistrato incaricato di indagare sulla morte di Feltrinelli, Antonio Bevere (oggi magistrato di Cassazione, ndr) fosse sostituito perché “troppo di sinistra”. Fu così che l’inchiesta finì in mano a me, che ero giovanissimo”. Viola lascia capire che ci furono pesanti interventi: “Io stesso non ero soddisfatto del lavoro dei carabinieri. Poi della vicenda si occupò l’Ufficio politico della questura di Milano. Non so quanto i Servizi abbiano contato, in tutta la vicenda”. Nonostante i dubbi sollevati dalla perizia di Marrubini e Fornari, Viola chiuse l’inchiesta senza battere l’ipotesi di un “killing” ben organizzato. Il suo iter professionale successivo è stato travagliato: dopo altre inchieste importanti (Sindona) Viola lasciò la magistratura nel ’91 per divenire avvocato. Nel ’96 ha patteggiato una pena di 22 mesi per riciclaggio aggravato ed è stato radiato nel 97 dall’ordine degli avvocati. “Sui carabinieri di Milano pesava l’ombra di Palumbo e di Musumeci, poi rivelatisi entrambi della P2. Mi trovai molto meglio con la questura del dr. Allegra e con commissari come Calabresi. Non ho mai saputo se i Servizi segreti del ministero sapessero di più di quel che (la questura) mi riferiva. Certo è che i Servizi seguivano Feltrinelli: fu persino fotografato con Sibilla Melega a Oberhof”.
CHI VOLEVA MORTO FELTRINELLI- «A uccidermi sarà il Mossad», disse una volta all’amico ed ex partigiano Giambattista Lazagna. Il filone delle attività svolta dal Mossad nei confronti di Feltrinelli non è mai stato approfondito, ma le affermazioni di Lazagna secondo cui l’editore temeva di morire per mano del Mossad potrebbero essere vagliate da una nuova inchiesta giudiziaria. Come è emerso da recenti ricerche (quali il volume Mossad Base Italia, di Eric Salerno, Il Saggiatore, 2010) il Mossad in quegli anni era attivissimo in Italia, con attività che comprendevano anche il killing di veri o presunti nemici di Israele, come avvenne con l’omicidio nel ’72 dell’intellettuale palestinese Zwaiter Abdel Wail (ritenuto membro del commando di Monaco 72) ed altre morti. A guidare del Mossad in Italia erano figure come Asa Leven e Mike Harari (classe 1927), ancora oggi vivente e residente a Tel Aviv. L’intelligence israeliana si infiltrò nel terrorismo rosso e nero. E il Mossad disponeva persino di una unità operativa a Milano, guidata dall’agente Shai Kauly, definito dall’ex agente del Mossad Victor Ostrovsky «uno specialista del lavoro psicologico e del travestimento», in grado quindi di infiltrare gli ambienti vicini a Feltrinelli, considerato un pericoloso nemico perché simpatizzante (o addirittura finanziatore, secondo alcune fonti) della guerriglia palestinese, che in Italia si muoveva disinvoltamente grazie all’accordo segreto tra Moro e l’Olp. Il generale Gianadelio Maletti del Sid si spinge più in là (vedi box intervista) con una clamorosa rivelazione: l’ipotesi che vi sia il Mossad (esperto nel far saltare in aria i terroristi) dietro la morte di Feltrinelli. Anche il capo dell’Ufficio Affari Riservati, Federico Umberto D’Amato, riteneva Feltrinelli un obiettivo da eliminare. La prima informativa dell’Uar su Feltrinelli risale al 1948, mentre nell’ottobre del ’50 l’Uar inviava un dispaccio riservato sui movimenti di Feltrinelli all’estero. L’attività di controllo dell’editore proseguiva per tutti gli anni 50 e 60, sino alla morte. Una nota dell’Uar del ’68 definiva Feltrinelli «elemento notoriamente pericoloso per le istituzioni democratiche. E per tale ragione la sua attività viene costantemente seguita». Il Club di Berna, creato da D’Amato per collegare i Servizi italiani ad altre intelligence straniere, teorizzava l’utilizzo di individui in grado di maneggiare esplosivi e dopo la morte dell’editore D’Amato rivendicò con orgoglio la guerra psicologica condotta contro Feltrinelli, attraverso la pubblicazione del provocatorio libello Feltrinelli guerrigliero impotente. L’Uar di D’Amato fu inoltre responsabile di pesanti infiltrazioni negli ambienti dell’estrema destra ed è noto che l’editore nell’ultima fase della sua vita ebbe contatti con ambigue figure, come Carlo Fumagalli dei Mar. Ma sono molti i possibili infiltrati, i «traditori» che possono avere ordito la morte di Feltrinelli od avere collaborato ad essa: ambigue figure infiltrate nell’entourage dell’editore dal Mossad o dall’intelligence atlantica, con la collaborazione dei Servizi italiani.
12 marzo 2012 (modifica il 14 marzo 2012)
fonte: www.corriere.it
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