martedì 31 ottobre 2017

il 31 ottobre festeggiate pure ma almeno sappiate cos'è

Halloween (o Hallowe’en) si celebra principalmente negli Stati Uniti la notte del 31 ottobre e seppure rimandando a tradizioni antiche della cultura celtica e anglosassone, in realtà viene interpretata oggi come una specie di Carnevale consumistico.

L’usanza si è diffusa anche in altri Paesi del mondo e le sue caratteristiche sono molto varie: si passa dalle sfilate in costume ai giochi dei bambini, che girano di casa in casa chiedendo dolcetto o scherzetto

Elemento tipico della festa è la simbologia legata al mondo dell’occulto, tradotta sotto forma di immagini macabre.

Il tutto somiglia a un grosso business legato a travestimenti, oggettistica, cibi, organizzazione di eventi e viaggi a tema perdendo totalmente il suo significato originale, che noi cercheremo di individuare ...



Percorso a ritroso

Partiamo dall’attuale nome. La parola Halloween è attestata la prima volta nel XVI secolo, e rappresenta una variante scozzese del nome completo All-Hallows-Eve, cioè la notte prima di Ognissanti (in inglese arcaico All Hallows Day, moderno All Saints). Sebbene il sintagma All Hallows si ritrovi in inglese antico(ealra hālgena mæssedæg, giorno di messa di tutti i santi), All-Hallows-Eve non è attestato fino al 1556.

Si parla quindi di Ognissanti, nota anche come Tutti i Santi, una solennità che celebra insieme la gloria e l’onore dei Santi canonizzati e non. Infatti attualmente la festa cattolica (in latino: Festabant Omnium Sanctorum) cade il 1º novembre, seguita il 2 novembre dalla Commemorazione dei Defunti, ed è una festa di precetto che prevede una veglia e un’ottava nel calendario della forma straordinaria del rito romano. Ovvero come recita il Diritto canonico: « i fedeli sono tenuti all’obbligo di partecipare alla Messa; si astengano inoltre, da quei lavori e da quegli affari che impediscono di rendere culto a Dio e turbano la letizia propria del giorno del Signore o il dovuto riposo della mente e del corpo. »(Codice di diritto canonico, can. 1247)..

Il riferimento alla festa di Ognissanti, ricordiamo che è datato al XVI secolo, sembra rientrare quindi in una tradizione cattolica.

13 maggio o 1 novembre? La stessa festa di Ognissanti però ha una sua storia “mobile”.

Le commemorazioni dei martiri, comuni a diverse Chiese, cominciarono ad esser celebrate già nel IV secolo. Le prime tracce di una celebrazione generale sono attestate ad Antiochia, e fanno riferimento alla Domenica successiva alla Pentecoste. Questa usanza viene citata anche nella settantaquattresima omelia di Giovanni Crisostomo (407) ed è preservata fino ad oggi dalle chiese orientali.
Anche Efrem Siro (373) parla di tale festa, e la colloca il 13 maggio.

Foto: Pantheon a Roma, Tempio dedicato a tutti gli dei consacrato a Santa Maria e tutti i martiri il 13 maggio 609 o 610

Una conferma di questa data potrebbe essere la festa romana della dedicatio Sanctae Mariae ad Martyres, ovvero l’anniversario della trasformazione del Pantheon in chiesa dedicata alla Beata Vergine e a tutti i martiri, avvenuta il 13 maggio del 609 o 610 da parte di Papa Bonifacio IV; la data del 13 maggio coincide con quella citata da Efrem.

Non sembra un caso però che la data del 13 maggio coincida con quella delle Lemuria, antica festa religiosa Romana, dedicata ai Lemuri (latino “lemures”, cioè “spiriti della notte”, detti anche Larvae, termine equivalente a fantasma): sono gli spiriti dei morti della religione romana, considerati come vampiri, ossia anime che non riescono a trovare riposo a causa della loro morte violenta. Secondo il mito tornavano sulla terra a tormentare i vivi, perseguitando le persone fino a portarle alla pazzia.

Foto: Bronzetto raffigurante la dea Ecate: come riferisce Esiodo, la dea Ecate estendeva il proprio potere in cielo, in terra e nelle acque del mare. per questo il suo aspetto era triforme.Per la sua funzione apotropaica veniva posta in corrispondenza di porte, trivi e incroci di strade, proprio allo scopo di proteggere le vie e le entrate della città.
Si credeva che queste creature, non ben identificate né definibili proprio per la loro condizione di fatale ed eterna transitorietà, vagassero senza posa per le strade come anime in pena, in una sorta di limbo. Il senso di orrore che circondava queste figure spettrali veniva fugato ponendo agli incroci delle strade la dea Ecate, antichissima divinità ctonia e portatrice di luce, spesso rappresentata con una o due torce.

La tradizione voleva che ad istituire queste festività fosse stato Romolo per placare lo spirito del fratello Remo, da lui ucciso. Le Lemuria ricorrevano il 9, 11 e 13 maggio: è molto probabile che queste siano le più antiche feste dei morti celebrate a Roma. Il rituale prevedeva che il Pater familias gettasse alle sue spalle alcune fave nere per il numero simbolico di nove volte, recitando formule propiziatorie. Durante queste feste i templi venivano chiusi ed era proibito sposarsi.

In seguito Papa Gregorio III (731-741) scelse il 1º novembre come data dell’anniversario della consacrazione di una cappella a San Pietro alle reliquie “dei santi apostoli e di tutti i santi, martiri e confessori, e di tutti i giusti resi perfetti che riposano in pace in tutto il mondo”.

Il 1º novembre venne decretato festa di precetto da parte del re franco Luigi il Pio nell’835. Il decreto fu emesso “su richiesta di papa Gregorio IV e con il consenso di tutti i vescovi”.

Il trasferimento della data dal 13 maggio al 1 novembre è stata motivata da alcuni studiosi, come lo storico James Frazer (1854 -1941), come scelta da parte della Chiesa di creare una continuità cristiana con Samhain, l’antica festa celtica del nuovo anno (secondo le teorie dello storico Rhŷs), a seguito di richieste in tal senso provenienti dal mondo monastico irlandese.

Foto: Sir James George Frazer (Glasgow, 1º gennaio 1854 – Cambridge, 7 maggio 1941) è stato un antropologo e storico delle religioni. Celeberrimo il suo saggio “Il ramo d’oro”

Questi studiosi sostennero che, secondo le credenze celtiche, durante la festa del Samhain i morti avrebbero potuto ritornare nei luoghi che frequentavano mentre erano in vita, e che quel giorno celebrazioni gioiose venissero tenute in loro onore. Questo aspetto della festa non sarebbe mai stato eliminato pienamente, nemmeno con l’avvento del Cristianesimo che infatti il 2 novembre celebra i defunti. Questa corrente quindi spiega lo slittamento della data con un recepimento in seno alla religione ufficiale, di tutte le manifestazione di origine pagana difficili da estirpare e pertanto convertite o sovrapposte a feste cristiane.

Non tutti concordano con questa spiegazione. Lo storico Hutton,ad esempio, ha messo in discussione la tesi, osservando come Ognissanti venisse celebrato da vari secoli (prima di essere festa di precetto), in date discordanti nei vari paesi: per la chiesa di Roma era il 13 Maggio, in Irlanda (paese di cultura celtica) era il 20 aprile, mentre il 1 Novembre era una data diffusa in Inghilterra e Germania (paesi di cultura germanica). Inoltre, non ci sarebbero prove che Samhain avesse a che fare coi morti, e la Commemorazione dei defunti iniziò a essere celebrata solo in seguito, nel 988.

Tuttavia il folklore legato all’attuale Halloween è fortemente segnato dalla convinzione che si tratti di una festa di origine celtica. Indaghiamo meglio quindi il significato di Samhain.

Samhain (pronunciato in inglese [ˈsɑːwɪn], [ˈsaʊeɪn] o [ˈsaʊɪn][ in irlandese [ˈsˠəunʲ]) scritto anche Sauin (alla mannese), è una festa pagana di origine gaelica che si celebra tra il 31 ottobre e il 1º novembre, questa festività è spesso conosciuta anche come Capodanno celtico.

Il nome samhain è della lingua irlandese moderna e deriva da una parola in irlandese antico, samain, samuin, o samfuin, che potrebbe significare “fine dell’estate”.

Il calendario di Coligny, l’unica fonte archeologica che fa riferimento al computo del tempo presso i Celti, è un’epigrafe in lingua gallica incisa in caratteri latini su tavola in bronzo, risalente alla fine del II secolo d.C., contenente un antico calendario gallico rinvenuto nel 1897 a Coligny, nei pressi di Lione. Il reperto è conservato al museo della civiltà gallo-romana di Lione.


Calendario di Coligny, II sec. d.C.

Su questo calendario l’unica festa chiaramente indicata è proprio il Trinuxtion Samoni (Samonios); che cadrebbe all’incirca alla fine di ottobre. Va infatti ricordato che la suddivisione dell’anno presso i celti si basa su mesi di 30 o 29 giorni.

L’evidenza del Calendario di Coligny indica questa data come la più importante, un vero capodanno che segna la fine del raccolto, l’inizio dell’inverno, la fine di un ciclo agricolo-pastorale e l’inizio del successivo.

La cui vigilia veniva festeggiata con estrema solennità e una notevole abbondanza di rituali. Fra questi, nella tradizione agricola, erano i falò notturni. Nei falò venivano gettate ossa di animali macellati e probabilmente primogeniti di animali d’allevamento, dagli stessi falò si traeva il “nuovo fuoco” con cui accendere i focolari domestici. Attorno ai falò si festeggiava e danzava con riti orgiastici.


Falò rituali di Samhain

Il giorno di Samhain infine si collocava in un luogo senza tempo, a cavallo tra il ciclo concluso e quello a venire. Da qui a stabilire che fosse un giorno magico, in cui i confini del mondo dei vivi e di quello dei morti diventano più labili permettendo ai morti di far visita ai viventi, il passo è veramente breve. La paura dell’inverno, della carestia e della morte in senso fisico o in senso spirituale, la possibile commistione tra il regno dei vivi e quello dei morti, si sono fuse dando origine ad una varietà di superstizioni e di rituali apotropaici, ovvero dedicati allo scongiuro di ogni male.

La festa diventa momento sociale di affermazione della comunità, esorcismo delle paure del freddo e dell’inverno buio, occasione per rinnovare l’onore e la gloria dei propri defunti, ma anche per cacciare gli spiriti “dannati” che potrebbero giungere in mezzo agli uomini. Tutto questo in un tempo in cui il clan rappresentava la forza e la salvezza dell’individuo. Ha quindi un significato sociale e propiziatorio considerevole.

Il travestimento e “dolcetto o scherzetto”

La pratica del travestirsi risale invece al Medioevo e si rifà alla pratica tardo-medioevale dell’elemosina, quando i poveri andavano porta a porta ad Ognissanti (il 1º novembre) e ricevevano cibo in cambio di preghiere per i loro morti da reditare il successivo giorno della Commemorazione dei defunti (il 2 novembre).

Shakespeare menziona la pratica nella sua commedia I due gentiluomini di Verona (1593), quando Speed accusa il suo maestro di “lagnarsi come un mendicante ad Hallowmas [Halloween]”.

La zucca e Jack-o’-lantern
Un Jack-o’-lantern è una zucca lavorata a mano, tradizionalmente adoperata nei paesi anglosassoni durante la ricorrenza di Halloween. Privata della polpa interna, la zucca assume la forma di un involucro vuoto che, cesellato opportunamente, vuole richiamare la sagoma di un volto. Una fonte di luce, usualmente una candela, viene inserita all’interno della zucca. In seguito la calotta superiore, prima recisa, viene impiegata a mo’ di coperchio, in maniera che il chiarore dello stoppino rischiari la sagoma dall’interno, mettendo in luce i tratti della sagoma intagliata.

I Jack-o’-lantern venivano ricavati da grandi rape, barbabietole e cavoli rapa prima dell’introduzione della zucca dall’America.

Una versione moderna di Jack-o’-lantern 
 al Festival Celtico di Samhain di Edinburgh

L’usanza di Halloween è legata alla famosa leggenda dell’irlandese Jack, un fabbro astuto, avaro e ubriacone, che un giorno al bar incontrò il diavolo. A causa del suo stato d’ebbrezza, la sua anima era quasi nelle mani del diavolo, ma, astutamente, riuscì a far trasformare il diavolo in una moneta promettendogli la sua anima in cambio di un’ultima bevuta. Jack mise il diavolo nel suo borsello, accanto ad una croce d’argento, cosicché egli non potesse ritrasformarsi. Allora il diavolo gli promise che non si sarebbe preso la sua anima nei successivi dieci anni e Jack lo lasciò libero.

Dieci anni dopo, il diavolo si presentò nuovamente e Jack gli chiese di raccogliere una mela da un albero prima di prendersi la sua anima. Al fine di impedire che il diavolo discendesse, il furbo Jack incise una croce sul tronco.

Soltanto dopo un lungo battibecco i due giunsero ad un compromesso: in cambio della libertà, il diavolo avrebbe dovuto risparmiare la dannazione eterna a Jack. Durante la propria vita commise tanti peccati che, quando morì, rifiutato dal paradiso e presentatosi all’Inferno, venne “cordialmente” scacciato dal demonio che gli ricordò il patto ed era ben felice di lasciarlo errare come anima tormentata.

All’osservazione che era freddo e buio, il demonio gli tirò un tizzone ardente (eterno in quanto proveniente dall’Inferno), che Jack posizionò all’interno di una rapa che aveva con sé. Cominciò da quel momento a girare senza tregua alla ricerca di un luogo di riposo sulla terra. Halloween sarebbe dunque il giorno nel quale Jack va a caccia di un rifugio. Gli abitanti di ogni paese sono tenuti ad appendere una lanterna fuori dalla porta per indicare all’infelice anima che la loro casa non è posto per lui.

Quindi, inizialmente, la verdura utilizzata come lanterna era la rapa. Successivamente, però, a causa della grande “carestia delle patate” in Irlanda, moltissimi irlandesi emigrarono in America, sostituendo alla rapa la più diffusa zucca americana.

Dopo aver analizzato tutti gli elementi veniamo alle Tradizioni italiane

Non mancano in Italia tradizioni popolari legate ai giorni dei Santi e dei Morti.

In alcune zone del Paese (in particolare nelle aree rurali di Friuli, Piemonte, Trentino, Veneto, Abruzzo e Puglia) nella notte tra il primo e il 2 novembre si è soliti lasciare un lume acceso, dell’acqua fresca e finanche del pane per permettere alle anime dei morti in “visita” al mondo terreno di ristorarsi. In Val d’Aosta, invece, le famiglie più rispettose della tradizione lasciano la tavola imbandita mentre sono in visita al cimitero.

Nelle campagne lombarde si sistemano coperte e lenzuola, affinché i defunti possano riposarsi in tranquillità.

Mentre in Sardegna, proprio come succede per Halloween, i bambini girano di porta in porta per chiedere delle offerte per i morti e ricevono in dono pane, fichi secchi, mandorle e dolci.

Dolci e cibi tipici

Per la ricorrenza di Ognissanti, sulle tavole italiane non mancano mai alcuni elementi tipici della tradizione culinaria del Bel Paese. Fave, castagne, mandorle e fichi secchi sono tra gli alimenti più gettonati. Ma i veri protagonisti sono i dolci. Innanzitutto ci sono le Ossa di Morti: biscotti ripieni di mandorle e nocciole. A seconda della zona questi deliziosi dolcetti possono essere chiamati Stinchetti dei morti (Umbria), Dita d’Apostolo (Calabria) oppure Fave dei Morti.

In Campania, in questi due giorni, nessuno si sogna di fare a meno del Torrone: quelli del beneventano sono di gran lunga i più buoni e si possono trovare di gusti e consistenze diversi.

In Sicilia, infine, il 2 novembre è una festa particolarmente sentita dai bambini. A loro sono riservati dolcetti e cioccolatini che, si dice, siano portati personalmente dai defunti. I più comuni sono i Pupi di zuccaro (bamboline di zucchero) e la Frutta martorana, preparata con la pasta di mandorle, detta anche pasta reale.

Pane dei morti (Lombardia)


Ossa dei morti


Fave dei morti

I falò

A Orsara di Puglia in provincia di Foggia si festeggia il “Fucacost” tra la notte tra l’1 ed il 2 di novembre dove l’antichissima tradizione vuole che si accendano dei falò (in origine di rami secchi di ginestra) che dovrebbero servire ad illuminare la strada di casa ai nostri cari defunti (in genere alle anime del purgatorio) che in quella notte tornano a trovarci.

Sulla brace di questi falò, poi, viene cucinata della carne che tutti insieme si mangia in strada e si offre ai passanti. Mentre, nella giornata dell’1 novembre, nella piazza principale, si svolge la tradizionale gara delle zucche decorate (definite le “cocce priatorje” – le teste del purgatorio).


Fucacost e cocce priatorije a Orsara di Puglia

E a proposito di zucche…

L’uso delle zucche era ben presente anche nella cultura contadina della Toscana fino a pochi decenni fa, nel cosiddetto gioco dello zozzo (in alcune parti noto come morte secca).

Nel periodo compreso tra agosto e ottobre (più frequentemente d’estate) si svuotava una zucca, le si intagliavano delle aperture a forma di occhi, naso e bocca; all’interno della zucca si metteva poi una candela accesa. La zucca veniva poi posta fuori casa, nell’orto, in giardino ma più spesso su un muretto, dopo il tramonto e per simulare un vestito le si applicavano degli stracci o addirittura un abito vero e proprio. In questo modo avrebbe avuto le sembianze di un mostro provocando un gran spavento nella vittima dello scherzo, in genere uno dei bambini, mandato fuori casa con la scusa di andare a prendere qualcosa. Si è ipotizzato anche un parallelo tra lo zozzo e la rificolona.

Una pratica identica era presente nel Lazio del nord, in anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, e da far risalire, tramite testimonianze indirette, quantomeno alla seconda metà dell’Ottocento. La zucca intagliata ed illuminata veniva a volte chiamata La Morte.

L’uso di intagliare le zucche e illuminarle con una candela si ritrova anche in Lombardia e in Liguria, ad esempio nella cultura tradizionale di Riomaggiore nelle Cinque Terre, così come in Emilia ed in generale in tutta la pianura padana, dove fino alla fine degli anni ’50 si svuotavano le zucche o si usavano normali lanterne ed illuminate da candele, venivano poste nei borghi più bui ed anche vicino ai cimiteri e alle chiese. A Parma tali luci prendono il nome di lümera.


Conclusioni

Ci sembra che le tradizioni popolari siano molto simili. Troviamo analogie tra Lemuri, l’irlandese Jack e le cocce priatorije, nell’uso delle zucche scavate e dei falò, nella tradizione di produrredolci speciali e nella peregrinazione di casa in casa, quanto alla consuetudine di ritrovarsi a celebrare la fine del raccolto questa dev’essere stata geograficamente e culturalmente estremamente diffusa nel mondo contadino.

Ci sembra che ancora oggi ci sia il desiderio di assecondare queste ataviche esigenze di scongiuro e di celebrazione dei propri cari.

Quindi festeggiate, festeggiate con gioia, con zucche e falò, dolci e affetti, riappropriatevi delle usanze della vostra regione, chiedetele ai nonni e insegnatele ai figli, ma per favore non chiamatelo Halloween!

- All saints’ day in Catholic Encyclopedia.
- All Saints, Festival of in 1911 Encyclopædia Britannica.
- Ronald Hutton, The stations of the Sun, New York, Oxford University Press, 1996, pp. 363-364.
- (DE) Hans-Rudolf Hitz: Der gallo-lateinische Mond- und Sonnenkalender von Coligny, Juris, Dietikon 1991, ISBN 3-260-05308-5
- (FR) Le Contel, Jean-Michel and Verdier, Paul (1997). Un calendrier celtique: le calendrier gaulois de Coligny. Paris, Editions Errance. ISBN 2-87772-136-1
- (FR) Le calendrier celtique de Coligny: Les calendriers Luni-solaires antiques – F. Dupuy-Pacherand & G.A. Mathis – Revue Atlantis N°247 luglio/agosto 1968
- (FR) Joseph Monard: Histoire du calendrier Gaulois, Burillier, Vannes 1999, ISBN 2-912616-01-8.
- Sabatino Moscati, Venceslas Kruta, Otto Hermann Frey, Barry Raftery, Miklos Szabo, I Celti, Rusconi, 1991. Catalogo della mostra “I Celti: la prima Europa”, Palazzo Grassi ISBN 9788845217531
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- (EN) W. Y. Evans-Wentz, The Fairy-Faith in Celtic Countries, New York, Citadel [1966], 1990. ISBN 0-8065-1160-5.
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- (EN) Nicholas Rogers, Halloween: From Pagan Ritual to Party Night, New York, Oxford University Press, 2002. ISBN 0-19-516896-8.
- (EN) Starhawk, The Spiral Dance: A Rebirth of the Ancient Religion of the Great Goddess, New York, Harper and Row [1979], 1989. ISBN 0-06-250814-8
- Ovidio, Fasti, V, 419-ss.
- “Dizionario dei mostri”, di Massimo Izzi, ediz. L’Airone, Roma, 1997, (alla pag.71 – voce “lemures”)
- Alessandro Fornari, Le feste dell’anno, in Cultura contadina in Toscana, vol II. L’ambiente e la vita. Firenze, Bonechi, 198


Fonte: lastoriaviva.it

fonte: https://crepanelmuro.blogspot.it/

lunedì 30 ottobre 2017

allegrezza nel quore

Corinne Clery protagonista di Histoire d'O,
R moscia, logorroica, cognome reale, Piccolò,
di personale resta poco, ha raso al suolo il privato
e detesta il fidanzato lobotomizzato, a me fa venire sonno,
cosa ha vinto, la grolla dell'amicizia o la coppa del nonno?
Ieri aveva un seno normale, oggi direttrice onoraria della latteria sociale.

Cristiano Malgioglio per aver scritto quattro canzoni di merda
appare come fosse l'unico paroliere sulla faccia della terra.
la sua dialettica da strazio non è riconosciuta dagli abitanti dell'alto Lazio.
Suor Indovina chi viene a cena invita
Paolo Brosio che a forza di cocaina
ha continue apparizioni della Madonna in piscina.

Giorgio Manetti il gabbiano,
non inteso come fallo, bensì di uno sul piedistallo,
ammantato di popolarità che pretende di essere ricevuto
con tutti gli onori in città.
Il parolaio per presenziare nel vivaio percepisce il mensile di un operaio.
Come da programma la sua ex fiamma Gemma Galgani vecchia ninfomane
si è mollata con Marco Firpo sempre giovane.

Vittoria Schisano fu Giuseppe, nuove chiappe
pisello sparito, tette in prestito, guai scherzare col suo passato onomastico.
Il rapper marchigiano che abita a Milano,
estrae dalla tasca la storia della madre manesca e cattiva
attiva nell'azione punitiva,
motivo per cui suo fratello è il re del fornello?
Fine della riga nome Fabri Fibra.

L'allegrezza nel quore non sa da fare,
che soluzione trovare per la Q da piazzare?

domenica 29 ottobre 2017

vaccini: tu buono, tu cattivo...




di Gianni Lannes

La storia più orrenda ritorna nel belpaese. A breve si arriverà al numero tatuato sul braccio e alla foto di un virus o batterio saltellante appuntata sul petto per distinguere la gran massa della razza inferiore. La discriminazione sociale praticata dalle autorità e dalle istituzioni di ogni ordine e grado è un crimine contro l'umanità che annienta la dignità dell'essere umano. Con miss Bugiardina e mister Bur, il paradigma imperante non è più la società ma il campo di concentramento, non più Atene bensì Auschwitz.

Quando ero un ragazzino divoravo i libri di storia che parlavano del nazismo, delle leggi razziali introdotte da Mussolini-Savoia, nonché dell’apartheid. La cosa che più mi inorridiva non era soltanto la brutale violenza dei crimini perpetrati contro moltitudini indifese, ma soprattutto la follia collettiva che li giustificava.
Mi chiedevo allora come oggi, come fosse potuto accadere che milioni di persone avessero assistito silenti all’azione violenta di uomini che portavano via altri uomini, donne e bambini dalle loro case; a uomini che avevano stabilito dall’alto della legge che certi loro simili a scuola e in certi luoghi non potevano più entrare; a uomini che si credevano razza eletta, migliore e suprema.

Con l’ingenuità di un  fanciullo ero convinto che se le persone si fossero ribellate, niente di simile sarebbe mai potuto accadere.

Ora lo so: lo vedo accadere sotto i miei occhi indignati nell’indifferenza generale.

Da troppo tempo in Italia succedono cose ignobili a danno della collettività. Peggio: adesso vedo bimbi lasciati fuori dalle scuole, madri e padri minacciati di vedere segregati i propri figli in  classi separate, bidelli, insegnanti e dirigenti scolastici - in preda a un delirio isterico da sottomissione al potere straniero - che depennano nomi e cognomi di alunni in pubblico dinanzi ad un’infanzia sconvolta. Vedo bambini sani in quelle stesse classi fino a giugno che nessuno prima si era mai sognato di discriminare, fino a quando un esercito di folli eterodiretti ha stabilito che i pargoli andavano selezionati sulla base di una marchiatura invasiva. Vedo le confessioni religiose - soprattutto la chiesa cattolica - complici e omertose.

Ricordate: chiunque assiste silente ai crimini ai danni dei suoi simili, commessi da politicanti analfabeti e camici svenduti al miglior offerente, non è impotente bensì complice. Il nuovo processo di Norimberga è pronto: sotto a chi tocca.

riferimenti:

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=leggi+razziali 

fonte: http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/

martedì 24 ottobre 2017

l'isola degli omosessuali al confino nell'Italia fascista


L'isola di San Domino è una porzione di terra completamente circondata dal mare facente parte dell'arcipelago delle Tremiti, o Diomedee, nel mar Adriatico. Attualmente rientra nella provincia di Foggia. San Domino è l'isola dell'arcipelago che rileva le tracce di presenza umana più antiche poiché sono stati rinvenuti resti di un villaggio del Neolitico. 
L'isola porta il nome del vescovo , e martire, San Domino al quale era consacrata, insieme a San Iacopo, una chiesa i cui primi documenti risalgono al IX secolo. Nello stesso periodo arrivarono i monaci benedettini per costruirvi un monastero. Dopo l'anno Mille iniziarono ad erigere un secondo monastero nella vicina isola di San Nicola. I benedettini furono sostituiti dai cistercensi sino al XV secolo, quando l'ordine decise di cedere il monastero al cardinale Marmaldo. Sino a questo punto la storia di San Domino è la storia di tanti piccoli borghi italiani. Nel corso del periodo fascista accadde un fatto unico, che dovrebbe essere conosciuto e insegnato alle nuove generazioni. San Domino durante il ventennio divenne una colonia penale per omosessuali. Occorre introdurre delle annotazioni poiché il reato di omosessualità non era presente nella legislazione italiana durante il fascismo, e nemmeno prima della salita al potere di Benito Mussolini. Nel 1927 quando si discuteva dell'introduzione del Codice Rocco, in sostituzione del Codice Zanardelli, fu previsto un articolo, il numero 528, che prevedeva il carcere da uno a tre anni per chiunque avesse relazioni omosessuali. La pena poteva essere aggravata dalle circostanze di accadimento. Nel momento finale della discussione l'articolo fu, a sorpresa, escluso dal Codice Rocco. Dalla lettura della relazione finale della Commissione Appiani, che si occupava della messa a punto del codice, comprendiamo i motivi della soppressione: “la previsione di questo reato non è affatto necessaria perché per fortuna e orgoglio dell'Italia il vizio abominevole che ne darebbe vita non è così diffuso tra noi da giustificare l'intervento del legislatore, nei congrui casi può ricorrere l'applicazione delle più severe sanzioni relative ai diritti di violenza carnale, corruzione di minorenni o offesa al pudore ma noto che per gli abituali e i professionisti del vizio, per verità assai rari, e di impostazione assolutamente straniero, la Polizia provvede fin d'ora, con assai maggiore efficacia, mediante l'applicazione immediata delle sue misure di sicurezza detentive”. 



La situazione in Germania, dopo la salita al potere di Hitler, fu diversa. Ancora oggi non esistono numeri precisi, ma possiamo comprendere che dopo ebrei e zingari gli omosessuali furono l'insieme di persone maggiormente colpito dalla follia nazista. Secondo l'Arcigay “furono 100.000 gli omosessuali arrestati dai nazisti tra il 1933 e il 1945. Tra questi 15.000 vennero internati nei campi di concentramento. Dai documenti ufficiali del regime è risultato che solo 4000 furono i sopravvissuti”. Nei campi di concentramento nacque un simbolo per differenziare gli omosessuali dalle altre persone internate: il triangolo rosa. In Italia la repressione era diversa. Dal 1936 il regime fascista preferì utilizzare il confino di polizia per punire gli omosessuali. Il confino consentiva alle autorità di arrestare e sottoporre al giudizio di una apposita commissione provinciale chi fosse sospettato di pederastia. In base alle prove raccolte, il sospettato poteva subire una diffida, un'ammonizione o il confino fino a 5 anni. Negli anni seguenti la situazione si aggravò poiché l'omosessuale fu definito antifascista perché la devianza era un attentato alla dignità della razza. Compreso il contesto storico dovremmo chiederci dove queste persone furono confinate. Il fascismo decise di inviare i gay a Lampedusa, Ustica e nell'isola di San Domino nelle Tremiti. Anche in questo caso non esistono numeri precisi, ma parliamo di alcune centinaia di persone rispetto alle decine di migliaia del regime nazista. Tra il 1936 ed il 1940 circa 300 omosessuali furono inviati al confino. Alcuni di loro scontarono la pena di 3 anni, altri di 5, alcuni, i più fortunati e con parentele importanti, tornarono a casa poco dopo l'applicazione della sentenza. Nel 1939 circa 60 omosessuali furono confinati nell'isola di San Domino. Un'annotazione particolare riguarda la provenienza di queste persone: 45 di loro provenivano da Catania. Gli altri uomini provenivano da ogni parte della penisola e svolgevano le più svariate mansioni. Una domanda che appare scontata attiene al perché la maggior parte dei confinati arrivasse dalla città siciliana. Possiamo ritenere che il questore dell'epoca, Alfonso Molina, fosse molto solerte nell'applicazione della strategia del confino per gli omosessuali? Nel documento ufficiale del provvedimento di confino per gli abitanti di Catania si legge: “il dilagare di degenerazione in questa città ha richiamato la nostra attenzione. Ritengo indispensabile, nell'interesse del buon costume e della sanità della razza, intervenire energicamente perché il male venga aggredito e cauterizzato nei suoi focolai. A ciò soccorre, nel silenzio della legge, il confino di polizia”. Per completezza d'informazione occorre ricordare che esiste un caso irrisolto di omicidio a Catania di un ragioniere che intratteneva molte relazioni sociali all'interno della comunità catanese. Le indagini sul delitto scateneranno una corsa alla detenzione di molti personaggi della città. Gli arresti giunsero in due momenti diversi: il primo gruppo, di venti persone, fu confinato a Ustica, Favignana e Lampedusa per un periodo variabile sino ad un massimo di 5 anni di pena, il secondo gruppo, circa di pari numero, fu condannato anch'esso a 5 anni di confino. Nel momento in cui fu emanato l'ordine di confino fu deciso di riunire tutti i deportati in un solo luogo e fu scelta l'isola di San Domino nelle Tremiti, all'epoca disabitata. Interessante compiere un passo indietro e risalire all'inizio delle indagini del questore Molina. All'interno del documento con cui avviò l’inchiesta si legge che “la piaga della pederastia in questo capoluogo tende ad aggravarsi e generalizzarsi perché giovani finora insospettati ora risultano presi da tale forma di degenerazione sessuale”. Dato che era sufficiente una denuncia senza prove, possiamo affermare che vi erano tutti i requisiti della nota caccia alle streghe di stampo contro-riformato. Leggendo il libro di Goretti e Giartosio, La città e l'isola, possiamo comprendere lo stato d'animo di questi ragazzi, che nessun reato avevano commesso. In una lettera di Leonardo a' Francisa, condannato a 5 anni di confino per omosessualità, datata 6 ottobre 1939 possiamo leggere: “è da otto mesi che sospiro la libertà tutti i giorni, in tutte le ore, in tutti i momenti. La legge umana fa espiare i delitti e i reati degli uomini, privandoli di essa, Dio nell'Eden punì l'uomo con la morte, ma non gli tolse la libertà. Dunque vale più della vita. La vita senza di essa è morta, specialmente per un ragazzo a vent'anni, che deve pensare seriamente al suo avvenire. Ed io quale delitto, quale male ho commesso per essere privato così inesorabilmente di questo grande tesoro? Di qual reato di quale scandalo mi si può incolpare?”. La lettera era indirizzata al Ministero degli Interni. 



Come trascorreva la vita dei confinati sull'isola di san Domino? Le persone furono portate in catene per poi essere lasciate liberi di muoversi, sempre sorvegliati dalle guardie. La giornata iniziava all'alba e terminava alle otto di sera, in alternativa alle ventuno nelle sere d'estate, quando una campana avvisava le persone che era giunto il momento di ritirarsi nelle camerate. L'unico svago della giornata era dato dal viaggio verso l'isola di San Nicola, a 15 minuti circa di barca, per effettuare la spesa. I confinati vivevano con 5 lire al giorno che passava lo stato, quando un chilo di pane costava circa 2 lire e quaranta. Molti dei detenuti ricevevano pacchi contenenti cibo dalle rispettive famiglie oppure svolgevano mansioni simili al lavoro che gli competeva prima dell'arresto. Molti omosessuali videro il confino come una vergogna personale e per le proprie famiglie. Alcune testimonianze indicano che altri vissero con più serenità la situazione di deportazione. Leggendo le testimonianze contenute nell'articolo di Arianna Pescini, per Focus storia, possiamo comprendere che alcuni trascorrevano la giornata senza troppe pressioni psicologiche. Nacquero anche storie d'amore e di prostituzione, perché i soldi non bastavano per mangiare decentemente. Interessante la testimonianza di un ragazzo di nome Giuseppe, confinato sull'isola: “là ci sono state perfino coltellate fra siciliani, per passione. Poi non avevamo abbastanza soldi, e qualcuno era costretto a fare marchette con chi era più ricco”. Nello stesso documento si comprende che alcuni pescatori passavano da San Domino la sera per togliersi lo sfizio di un rapporto omosessuale. Non solo pescatori ma anche rappresentati delle forze dell'ordine. Con l'ingresso dell'Italia in guerra, l'isola di San Domino fu riconvertita in campo d'internamento per stranieri. I femminielli, nomignolo spesso utilizzato in epoca fascista, fecero ritorno nelle città di provenienza. Pena scontata? Assolutamente no poiché furono soggetti all'obbligo di firma in questura ogni sera. Poi tutto mutò. Un giorno gli alleati sbarcarono in quella stessa Sicilia che anni prima vide una serie di arresti a catena nei confronti degli omosessuali. Passarono gli anni ma non la repressione. Dario Petrosino, sulla base della documentazione conservata all'Archivio Centrale dello Stato, scrive: “Nelle relazioni al capo della polizia conservate presso l’Archivio Centrale dello Stato (ministero dell’interno, dipartimento generale della pubblica sicurezza), emerge con chiarezza la consistenza del fenomeno: la raccolta dei dati ha inizio nel novembre 1952 e già in quell’anno in soli due mesi vengono eseguiti 518 provvedimenti di polizia che salgono a 1117 nel 1953 e 1407 nel 1954. Da 1955 inizia un calo che vede scendere il numero dei provvedimenti a 671 e poco sopra i 600 negli anni successivi. Poi la curva ricomincia a salire e a metà degli anni ’60 gli omosessuali finiti sotto la lente della pubblica sicurezza sono ancora di più: 1474 nel 1964, ben 3062 nel 1965. Possiamo affermare con rapido calcolo che tra il 1952 e il 1965 furono compiuti in Italia dalla polizia più di 11 mila provvedimenti tra fermi, ammonizioni, diffide, arresti e invii al confino nei confronti degli omosessuali. Credevamo che l’invio al confino fosse una prerogativa dell’odiato regime ed invece apprendiamo che la Repubblica in questo ha battuto il Fascismo per ben più di 100 a 1”. Chi era al governo del paese negli anni del dopoguerra?

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

Bibliografia
Pescini Arianna, L'isola dei femminielli, Focus Storia , 2016
Nardella Massimiliano, Le Isole Tremiti nell'Italia fascista prigione per omosessuali al confino, Foggia Today del 17 maggio 2013
Giartosio Tommaso e Goretti Gianfranco, La città e l'isola: omosessuali al confino nell'Italia fascista, Donzelli Editore, 2006
Petrosino Dario, La repressione dell'omosessualità nei paesi occidentali negli anni della NATO. Due casi: Italia e Francia a confronto (1952-1994)

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale, che si avvia a diventare un vero e proprio modello di diffusione della tradizione popolare, dell’arte meno conosciuta, dei misteri e delle leggende conosciuti o meno, in un felice connubio con le moderne tecnologie. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

rapacità



Greed è un film muto del 1924 diretto da Erich von Stroheim.

Storia

La pellicola è un adattamento del regista Erich von Stroheim e di Joseph Farnham del romanzo McTeague di Frank Norris, mentre la menzione di June Mathis come sceneggiatrice fu una questione meramente contrattuale della Metro-Goldwyn-Mayer, visto che la sceneggiatrice era all'epoca impegnata in altre produzioni. Greed è uno dei "film maledetti" della storia del cinema e la storia delle riprese di questo film fa parte delle leggende di Hollywood.

Sotto l'egida della Goldwyn di Samuel Goldwyn, il regista Erich von Stroheim cercò di creare una versione cinematografica del racconto letterario fedele in ogni minimo particolare. Per rispecchiare l'autentico spirito della storia, il regista insistette per effettuare le riprese il più possibile nei luoghi originari: a San Francisco, in Sierra Nevada e persino nel deserto della Valle della Morte, dove le riprese furono estremamente difficili per le condizioni atmosferiche al limite della sopportazione, sia per gli attori che per la troupe. In tutto il film fu girato in nove mesi, con la cifra straordinaria di 470.000 dollari spesi, una somma davvero faraonica per l'epoca.

La versione originale della pellicola aveva una durata titanica di circa sette ore (42 bobine). La Metro-Goldwyn-Mayer di Irving Thalberg, che acquistò la Goldwyn durante la produzione del film, costrinse il regista ad adattare la pellicola a una durata, secondo lei, più accettabile per un largo pubblico, e il regista consegnò allora con molto sforzo una versione tagliata, di circa la metà (24 bobine), per una durata di circa quattro ore. In seguito il film passò nelle mani dell'aiuto regista Rex Ingram, allievo e ammiratore di Stroheim, e del montatore Grant Whytock, che arrivarono a una versione di 18 bobine (3 ore), dove si salvava il salvabile.

Il film venne però ancora requisito dalla MGM e tagliato ulteriormente da montatori professionisti, nonostante le vivide proteste del regista, che lo ridussero a sole 10 bobine, per 108 minuti. Si tratta della versione normalmente in circolazione anche oggi, dove sono stati tagliati interi personaggi e episodi a man bassa. Le parti tagliate dalla pellicola vennero in larga parte distrutte, trasformandola in uno dei più celebri film perduti di Hollywood.

Il film fu un vero insuccesso al botteghino e venne aspramente bocciato dalla critica, tuttavia negli ultimi anni esso è stato enormemente rivalutato e giudicato uno dei film chiave della storia del cinema.

Nel 1991 il film è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Nel 1999 la Turner Entertainment (detentrice dei diritti) ha cercato di ricostruire la pellicola originale recuperando alcune serie di fotogrammi perduti creando una versione restaurata di quattro ore e mezza. Esiste anche una versione di due ore e venti.

Trama

Prima parte

La storia si svolge tra San Francisco e il deserto californiano.

Mac Teague è un minatore di carattere mite e tranquillo, almeno finché non viene provocato, come dimostra una primissima scena dove sta cullando un passerotto e poco dopo getta un uomo giù da una scarpata perché ha scacciato l'uccellino. Nel suo villaggio una sera giunge un dentista ambulante, che lo affascina, facendogli prendere la decisione di imparare quel mestiere.

Nella scena successiva infatti saluta la madre e va in città. Poco dopo Mac è riuscito ad aprire un proprio studio a San Francisco, in Polk Street, dove un giorno ha come clienti il suo amico Marcus e la sua ragazza (e cugina) Trina Sieppe, che ha un dente da curare. Nello studio Maria, la donna delle pulizie, convince Trina ad acquistare un biglietto della lotteria. Mac si invaghisce subito di Trina e, mentre è addormentata col cloroformio, essendo rimasti soli nella stanza, la bacia. Il gesto sacrilego è sottolineato dalla benda sulla testa di Trina, che la fa assomigliare a una suora.

Qualche giorno dopo Mac e Marcus sono in un caffè sul molo e discutono di Trina: Mac racconta del suo impulso, ma Marcus non si arrabbia, anzi rinuncia alla ragazza per l'amico.

La loro amicizia è suggellata dalla stretta di mano, sullo sfondo di un quadro religioso dietro di loro, che sembra benedire. Una battuta di Marcus impressiona Mac: "Amici fino alla morte!".

Un fine settimana Mac, Marcus, Trina, con suo padre, sua madre, la sorella dentona di lei e tre bambini escono tutti insieme a San Francisco. Dopo un pomeriggio passato insieme Mac e Trina rimangono soli. Sorpresi da un temporale, si riparano in una capanna, dove Mac confessa il suo amore a Trina chiedendole di sposarla. Lei tergiversa, ma alla fine Mac riesce a strapparle un bacio di assenso, che però la lascia sconvolta. Nonostante ciò i due si danno appuntamento per la domenica successiva.

La settimana successiva Trina, dopo un pomeriggio passato con Mac e la madre, tornando a casa viene accolta da una folla di amici e conoscenti: proprio lei ha vinto la lotteria, un premio di ben 5.000 dollari in monete d'oro. Felici per l'accaduto Mac e Trina decidono di sposarsi.

Il matrimonio

Con l'arrivo del denaro inizia anche la rapacità: Marcus infatti non perdonerà più Mac di avergli portato via la ragazza che ora vale un tesoro.

La scena del matrimonio e del banchetto di nozze sono tra le più famose del film, tipiche dello stile crudele e disincantato di von Stroheim.

Tutto sembra procedere alla perfezione, ma il regista mette in evidenza un lugubre presagio, per via di un funerale che sta passando sotto le finestre della casa, ripreso con un'inquadratura dalla grande profondità di campo: questa tecnica era poco usata nel cinema americano, perché lo sfondo poteva distrarre lo spettatore nei dettagli, invece Stroheim la usò per generare un conflitto nell'inquadratura, dove lo sfondo dà il vero significato alla scena, anche se l'avampiano mostra tutt'altro.

Il successivo banchetto è costruito tutto per sottolineare la decadenza e la volgarità delle persone: i cibi sono banane, pasticcini che sporcano le mani e la faccia, o macabri teschi di pecora, rosicchiati bestialmente dagli invitati.

Quando gli invitati se ne vanno dalla casa degli sposi Trina sembra terrorizzata. Corre dietro alla madre come per trattenerla ancora con sé, ma alla fine resta sola con Mac. Lui le ha regalato una coppia di uccellini (che spesso nel film saranno mostrati come simbolo della loro coppia), ma la vista della gabbia mette Trina in grande sconforto (con una soggettiva che si appanna si vede la gabbia "con gli occhi di Trina" che si stanno riempiendo di lacrime). La scena si chiude con Mac che chiude il tendaggio sul talamo, mentre Trina singhiozza disperata all'altro capo del letto.

Vita coniugale

Già dalla prima scena successiva si vede il nuovo atteggiamento di Trina, qualche tempo dopo: nonostante sia molto ricca, col portafogli pieno di banconote e monete, sul sagrato di una chiesa mente al marito dicendogli di non avere soldi, per far sì che paghi lui un giglio bianco che una vecchia sta vendendo. È la prima avvisaglia di quell'avarizia che diventerà patologica, trasformandola da una mite ragazza alla rigida custode del suo tesoro. Anche quando la coppia cerca casa è chiaro che Trina non è disposta a spendere i suoi soldi e restano nella vecchia casa.

Una sera Marcus, Mac e altri amici sono in un locale a bere, fumare e giocare a carte. In quell'occasione Marcus, che è ubriaco, si arrabbia con Mac per avergli soffiato la ragazza da 5.000 dollari, arrivando a provocarlo rompendogli la pipa e lanciandogli contro un coltello che si pianta sul muro accanto alla testa di Mac. Marcus scappa, ma Mac non può inseguirlo perché è trattenuto.

Nel frattempo Trina sta dedicandosi al suo passatempo da allora preferito: toccare, guardare e lucidare le sue monete d'oro. Quella sera Mac e Trina discutono sulla richiesta della madre di lei di darle 50 dollari, ma Trina è categorica: i suoi soldi non si toccano. Anzi, quando Mac dorme, lei gli prende i soldi dalle tasche dei pantaloni. Strofinandosi le mani soddisfatta l'inquadratura sfuma su due braccia scheletriche che accarezzano delle monete d'oro, simbolo della rapacità e avarizia della donna.

Il tracollo

Un giorno Trina e Mac ricevono una strana visita di Marcus, che entra in casa loro allegro e festoso, ma in realtà li sta per tradire. Chiede a Mac come vada il lavoro, mentre un gatto, simbolo di Marcus, scorrazza per la stanza (più tardi assalirà la gabbia degli uccellini). Infine li informa che sta per trasferirsi da un amico dove ha trovato lavoro nel suo ranch, dando loro l'addio.

Pochi giorni dopo nel suo studio Mac riceve una lettera dove lo Stato della California lo informa che è venuto a sapere che non è provvisto di diploma, quindi deve chiudere lo studio al più presto: è opera di Marcus, come testimonia la simbologia di un gatto che salta sugli uccellini in gabbia.

Per Mac e Trina è la fine dal benestare e da allora i loro problemi si acuiranno tragicamente, iniziando un processo di distruzione reciproca.

Dopo la chiusura dello studio la coppia vende tutti i suoi averi per continuare a vivere, ma Trina custodisce ancora gelosamente il suo tesoro. La casa è svuotata dei mobili e i vestiti della coppia sono ormai trasandati. In questo clima è facile arrivare ai litigi: Trina rimprovera il marito di non trovare un lavoro e lui vorrebbe invece che lei spendesse i suoi soldi. Le loro facce sono ormai dure maschere. Mac inizia a frequentare il bar, dove si ubriaca.

Trina intanto ha incubi dove mani come serpenti rubano pezzi del suo tesoro e non fa che chiedere soldi al marito, che ormai si sente come uno schiavo della donna. Una sera i due hanno un litigio particolarmente violento. Esasperato dalle continue richieste di denaro della moglie Mac chiede con insistenza di vedere i cinquemila dollari, ma lei nega di averli ancora, chiedendosi dove lui trovi invece i soldi per il whisky (non sa che glielo offrono gli amici). Quella sera il litigio finisce con Mac che va a letto, ma qualche sera dopo egli diventa più cattivo e insistente, arrivando a torturale la moglie mordendola finché non si fa consegnare dei soldi (alcune banconote messe da parte).

Un giorno Trina va a comprare la carne con un dollaro e compra quella più economica, praticamente marcia, per quindici centesimi, ma a casa ne rende a Mac solo venticinque, nascondendo il resto. È la goccia che fa traboccare il vaso: qualche giorno dopo Mac esce per pescare e non torna più.

Separazione

Dopo la separazione Trina trova lavoro come custode in una scuola elementare: la notte dorme in un stanzetta della scuola, dove si dedica alla sua passione: spargere le monete d'oro, guardarle, accarezzarle, poi metterle sul letto e dormirci insieme. Mac passando per la strada, ignaro del nuovo alloggio della moglie, trova un pezzo della foto del suo matrimonio nell'immondizia e decide di guardare nella finestra della scuola vicina. Qui ritrova Trina e la sveglia bussando alla finestra, per chiederle qualcosa da mangiare (le buone intenzioni di Mac sono simboleggiate da una rosa bianca del giardino, che appare dietro di lui nell'inquadratura). Lei però lo tratta con estrema durezza, scacciandolo come se fosse venuto solo per chiedere i suoi soldi.

La vigilia di Natale Mac si ripresenta alla scuola di notte, furioso. Adesso vuole i cinquemila dollari dalla moglie. Lei fugge, cerca di scappare, ma Mac la prende, la picchia e alla fine, fuori dall'inquadratura, la strangola. Allora si dirige in camera sua e rovista finché non trova il sacchetto delle monete d'oro, che prende uscendo indisturbato in strada, nonostante fossero appena passati due poliziotti.

Epilogo

Mac è fuggito da San Francisco, ma non riuscendo a trovare pace in nessun luogo arriva al deserto di Mojave, mentre stanno affiggendo volantino con la sua faccia e la scritta "Wanted" in tutto lo stato, promettendo anche una ricompensa. Un volantino arriva anche al ranch di Marcus, che con alcuni compagni decide di andare a cercarlo.

Mac è solo nel deserto con un cavallo, il volto con la barba lunga e solcato da profonde rughe per la disidratazione (von Stroheim fece davvero patire la sete ai suoi attori). Tra serpenti velenosi, rettili e scorpioni Mac esclama la celebre battuta: "Cielo, che paese!", che simboleggia il parallelo tra l'aridità del luogo e quella della sua anima.

I cercatori intanto riescono a trovare le tracce del passaggio di Mac e del suo cavallo, ma le condizioni proibitive diradano il gruppo, finché solo Marcus prosegue nella ricerca, accecato dall'avidità di riavere i "suoi" cinquemila dollari. Il cavallo di Marcus muore disidratato, ma egli continua anche a piedi, dopo aver trovato le inconfondibili orme del passaggio del nemico nel deserto.

Alla fine, sotto un sole cocente, i due si rincontrano. Marcus è armato, per cui inizialmente ha la meglio. Poi però il cavallo di Mac, dove c'è il bagaglio e il tesoro, scappa, allora Marcus lo abbatte per fermarlo. L'animale muore, però un proiettile ha anche forato la borraccia di Mac. Allora i due nemici, soli in mezzo nel deserto, senza animali e senza acqua, iniziano l'ultima lotta, dove Mac uccide l'eterno rivale con i colpi del calcio della pistola. Ma Marcus è riuscito ad ammanettare Mac con la sua mano, prima di morire. Il finale tragico vede Mac che si rassegna alla morte accanto al nemico. Cerca di liberare anche l'uccellino in gabbia che si era portato con sé, simbolo della sua anima, ma nemmeno quello ha più la forza di volare e si accascia vicino al cavallo morto, mentre nel sole brillano le inutili monete d'oro sparse in terra, fonte di tutti i guai.

Caratteristiche

Rapacità è generalmente considerato il capolavoro di von Stroheim, una delle prime opere di sfida e provocazione alla cultura ed alla società dell'epoca. Innanzitutto è un tipico esempio di grandiosità dispendiosa, con la realtà ricreata nei più minuti particolari, tramite la messa in scena curatissima, una grande profusione di mezzi e una durata titanica.

I produttori inizialmente giocarono con la sua megalomania per scopi pubblicitari, coniando anche la frase contano soprattutto l'opera e il regista (pochi anni dopo la MGM rovesciò il principio in conta soprattutto il produttore) e dipingendo attorno a lui la leggenda del decadente nobile europeo emigrato a Hollywood, ma gli insuccessi portarono in seguito al suo ostracismo, almeno come regista.

In Rapacità il realismo e le continue metafore visive sono fuse in un tutt'uno. I set sono ricavati nei luoghi descritti dal romanzo con una precisione maniacale, mentre le singole inquadrature erano frequentemente simboliche o allegoriche, che esplicitano il vero senso della storia e gli stati d'animo dei personaggi. Alcune inquadrature sono puramente simboliche (come quella delle lunghe mani scheletrite sulle monete d'oro o il primissimo piano del gatto che sta per attaccare gli uccellini), altre contengono simboli (come la banana, simbolo di volgarità, mangiata da Mac al pranzo di matrimonio), altre ancora contengono allusioni costruite con le inquadrature: per esempio durante i litigi tra Mac e Trina si vede in una scena Trina che guarda dall'alto delle scale (in lontananza) Mac che scende (in primo piano), evidenziando l'odio e la divisione tra i due coniugi. Le sequenze puramente simboliche ritmano il racconto e frequenti sono i parallelismi fra uomini e animali.

Von Stroheim usò la profondità di campo, difformemente dalla tendenza americana a escluderla, sfruttando anche lo sfondo per costruire le sue profonde simbologie: lo sfondo infatti poteva arrivare a rappresentare il contrario di quello che si vede in avampiano (vicino cioè alla macchina da presa). Così se viene mostrata una scena lieta uno sfondo tetro e spettrale ne cambia la connotazione. Tipico è l'esempio del matrimonio dei protagonisti, dove si vede un funerale passare davanti alla finestra, un oscuro presagio della futura vita coniugale che genera angoscia fin dall'inizio.

Accanto ai simboli però esiste anche un realismo esasperato, che analizza la violenza e la crudeltà dei personaggi, nella maniera tipica del linguaggio del regista: non esistono buoni e cattivi, i personaggi sono tutti cattivi e gli eventi porteranno ciascuno a tirare fuori il lato peggiore di sé, verso la distruzione. Incredibilmente reali sono le scene dei litigi, con violenti primi piani dove esplode la collera dei protagonisti, costruiti con violenti campo-controcampo a 180°, tanto che sembra di percepire le loro urla. Lo sguardo del regista è impietoso e mostra tutti i dettagli anche più crudi come il sudore, la sporcizia, la sofferenza fisica, con una violenza che ignora le convenzioni di compiacimento verso lo spettatore. Il suo cinema infatti era indifferente alle necessità dello spettacolo, sia come durata sia come tematiche e metodi di rappresentazione affrontati: il film non era un piacere rilassato, ma un impegno intellettuale e anche fisico per chi lo guardava.

Inoltre il film ha una carica sensuale e erotica, soprattutto nella prima parte, tipica del regista, che contraddistingue le sue opere e che non avrà pari nel cinema successivo: alcuni critici hanno parlato di "violenza erotica"

fonte: Wikipedia

FINALE



Trina addormentata, ricorda una suora


Il matrimonio

Passaggio del carro funebre in profondità di campo



Profondità di campo che sottolinea il distacco e la diffidenza tra i coniugi

Litigio


Mac ritrova Trina in una scuola
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Epilogo



Il banchetto

Trina dopo la separazione