Algeri (2 settembre 1962), ambasciata di Francia: prigionieri italiani - foto Jim Howard (United Press International) |
di Gianni Lannes
A chi può interessare la sparizione di 20 vite spezzate per sempre nel Mar Mediterraneo? Lo Stato italiano non li ha mai cercati, anzi li ha lasciati assassinare e poi ha puntato sull'oblio. E nessun magistrato si è mai sognato di andare a fondo, ma non è mai troppo tardi. Il signor Romeo Cesca ha perso il figlio Claudio, il ventiquattrenne marconista di bordo. Ha sporto denuncia ai carabinieri di Trieste, ma quel comando dell’Arma invece di trasmettere alla Procura della Repubblica lo scottante atto, l’ha invece scaricato alla prefettura locale. Risultato: il nulla di fatto. Nessuna indagine giudiziaria e nessuna inchiesta giornalistica. I giornali non hanno fatto altro che pubblicare distrattamente le veline ufficiali, quando i parenti hanno osato avanzare qualche timida domanda. Poi, chi comanda ha mandato in onda i soliti depistaggi fino ai giorni nostri.
Il piroscafo salpa da Venezia e carica a Ravenna. Si dirige in Spagna ed attracca in due porti. Il 10 marzo carica a Casablanca e riparte - ufficialmente - per Venezia. Il 14 marzo il comandante Agostinelli di Fano invia all’armatore Patella che si spaccia per l’agente marittimo, un cablogramma che indica in linea di massima la rotta. Ma si perdono le tracce. Il 2 settembre il fotografo di guerra Jim Howard ritrae ad Algeri, esattamente nel cortile dell’ambasciata francese, un gruppo di “europei” in stato di fermo. Il 12 settembre l’Ansa diffonde la foto dell’agenzia United Press International: l’immagine che ritrae un gruppo di marinai italiani. L'indomani un quotidiano di Venezia pubblica la foto accompagnata da un'eloquente didascalia. E poco dopo, alcuni familiari riconoscono i loro cari. In una riunione a Roma, all’allora presidente del consiglio Amintore Fanfani, sfugge la seguente frase: “Non si può fare una guerra per salvare 20 venti persone”. E così servizi segreti e giornalisti assoldati rilanciano i consueti depistaggi, bevuti da tutti all’epoca e perfino oggi.
La nave Hedia (ex Milly, ex Generous) è di proprietà di Nello Patella, quindi italiana, ma è coperta dalla solita società panamense (Naviera General S.A.) e dalla bandiera fantasma liberiana: un registro navale di comodo gestito a New York da una società con sede in Virginia. La Liberia era al primo posto nella black list mondiale. Il ministero della marina mercantile è perfettamente al corrente, ma lascia correre e finge di far partire le ricerche, inventando un naufragio inesistente. Per la cronaca il governo Fanfani che decise senza consultare il Parlamento e tantomeno il "popolo sovrano", la nuclearizzazione bellica da parte di Washington dell'Italia che perdura - durò in carica dal 21febbraio 1962 al 16 maggio 1963. Nell'esecutivo primeggiavano Taviani (interni), Segni (esteri) Andreotti (difesa).
Dopo 52 anni c’è ancora chi non si rassegna, come Rosa Guirreri, che all’anagrafe vanta ben 98 primavere e spera che un giorno o l’altro suo figlio Filippo Graffeo torni a casa. Accursio Graffeo, il nipote, è l’anima combattiva di questa ricerca della verità: «Abbiamo il diritto costituzionale di sapere che fine hanno fatto 19 italiani». Al conto che non torna aggiungo anche il gallese di Cardiff, Anton Narusberg. Di recente mi ha contattato il signor Graffeo, chiedendomi di occuparmi della vicenda. Ho assunto il caso. Temevo che fosse più complicato e tortuoso. Invece. Questi cittadini italiani sono stati assassinati per ritorsione dopo essere stati imprigionati senza un processo o un'accusa pubblica, da uno Stato alleato (la Francia). Il governo Fanfani sapeva tutto per filo e per segno, ma non ha mosso un dito per salvare queste vite umane. Era assicurata solo la nave ma non l'equipaggio a perdere. Patella intascò i soldi dalla Vittoria Assicurazioni di Milano e non fu mai molestato dall'autorità.
Si è trattato di una strage deliberata, consumata a sangue freddo. Correva l’anno 1962, ma è oggi. Chi è STATO? Le stragi non vanno in prescrizione. A bordo erano imbarcati pure due minorenni di Molfetta: Giuseppe Uva aveva solo 16 anni; e Nicola Caputi aveva appena compiuto 18 anni. Tutti hanno lasciato figli e mogli, madri e padri, fratelli, sorelle, nonne e nonni, fidanzate e amici. Questi uomini e ragazzi strappati all’affetto dei propri cari non sono mai più tornati. In quale fossa comune sono stati occultati questi marinai, nostri connazionali? Parigi risponda, ne va del suo onore, prima di smarrire anche i brandelli della sua trapassata grandeur.
Dopo più di mezzo secolo i responsabili istituzionali chiedano pubblicamente almeno perdono alle famiglie. Ha compreso il messaggio monsieur Hollande? E lei Renzi che fa?
fonte: sulatestagiannilannes.blogspot.it
Nessun commento:
Posta un commento