giovedì 31 gennaio 2019

Galvarino, il guerriero Mapuche che legò due lame agli arti amputati per combattere


La storia di Galvarino inizia a metà del Cinquecento, in quel periodo della colonizzazione del Nuovo Mondo su cui sono state scritte migliaia di pagine. I conquistadores dopo aver incrociato la propria strada con gli imperi aztechi ed inca, decisero di rivolgere l'attenzione alla sottomissione delle tribù di nativi conosciute come Mapuche, termine composto dalle parole Che e Mapu ovvero popolo della Terra. 


I Mapuche sono un popolo amerindo originario del Cile centro-meridionale e del Sud dell'Argentina. In spagnolo sono spesso indicati come araucanos (Araucani). I Mapuche resistettero con successo a molti tentativi dell'impero Inca di asso, e questo sebbene mancassero di un'organizzazione statale. I Mapuche combatterono contro i conquistadores per difendere le proprie terre dall'invasore spagnolo, utilizzando il fiume Bio-Bio come frontiera naturale. I guerrieri nativi utilizzarono tattiche di guerriglia ed un acume accattivante per sconfiggere la potenza di fuoco dei conquistadores. Alla fine di una di queste battaglie, combattuta nella zona di Lagunillas, inizia la storia di Galvarino. Il guerriero Mapuche, insieme ad altri 150 combattenti, fu catturato dalle truppe all'ordine del governatore Garcia Hurtado de Mendoza. 


Il governatore, come punizione per l'insurrezione voluta dalle tribù Mapuche, decise di condannare i prigionieri all'amputazione di parte del corpo: ad alcuni di essi furono tagliate la mano destra ed il naso ad altri, tra cui Galvarino, furono amputate entrambe le mani. Eseguita la sentenza, Galvarino e gli altri furono rilasciati. La liberazione aveva uno scopo preciso: doveva fungere da avvertimento nei confronti delle tribù Mapuche. Quando Galvarino fece ritorno all'accampamento Mapuche apparve di fronte al consiglio di guerra. Il combattente nativo mostrò le orribili mutilazioni gridando giustizia contro l'invasore spagnolo. Per il coraggio dimostrato e la ferma determinazione nel voler difendere la propria terra, Galvarino fu nominato comandante di uno squadrone di guerrieri. Non potendo utilizzare armi, decise di legare delle lame ai moncherini degli arti superiori. Galvarino guidò i combattenti della propria tribù nella battaglia di Millarapue.


Gli eventi furono narrati da un cronista spagnolo, Jeronimo de Vivar, nel suo Cronica: «Giunse comandando come un sergente ed animando i suoi uomini in questo modo: "Ea, miei fratelli, vedo che state combattendo molto bene, non vorrete essere senza mani come me, e non essere in grado di lavorare né di mangiare, se non vincete!". E sollevò le proprie braccia, mostrandole per convincerli a combattere con maggiore spirito e dicendo loro: "Quelli che state per combattere le tagliarono, e lo faranno con chiunque cattureranno, e nessuno potrà fuggire ma dovrà morire, perché morite difendendo la vostra madre patria". Si spostò davanti allo squadrone, e disse con voce potente che sarebbe morto per primo e che, anche senza le mani, avrebbe fatto il necessario con i denti».
Una seconda testimonianza fu riportata da Pedro Marino de Lobera, nel suo Cronica del Reino de Chile: «Miei fratelli, perché avete smesso di attaccare questi cristiani, vedendo i danni causati dal momento in cui sono entrati nel nostro regno? E ancora faranno a voi quello che vedete hanno fatto e faranno? E ancora faranno quello che vedete hanno fatto a me, amputandomi le mani, se non sarete precisi nel portare la maggior distruzione possibile su queste persone per conto nostro, per i nostri bambini e le nostre donne».


La battaglia, durata poco più di un'ora, sorrise agli spagnoli, comandati da Mendoza, che uccisero oltre 3000 Mapuche e fecero circa 8000 prigionieri, compreso lo stesso Galvarino. Garcia Hurtado de Mendoza ordinò di giustiziarlo gettandolo tra i cani. Alfonso de Ercilla, poeta spagnolo al seguito delle truppe per raccontare la conquista del Cile, profondamente toccato dalle vicissitudini del guerriero Mapuche, cercò di intercedere per lui allo scopo di salvargli la vita. Galvarino rifiutò l'offerta con le seguenti parole: “Preferisco morire piuttosto che aver salva la vita da voi; merito la morte per non essere stato in grado di farvi a pezzi con i miei denti”.


Secondo lo stesso Alfonso de Ercilla, Galvarino non fu gettato in pasto ai cani ma trovò la morte tramite impiccagione. Secondo alcuni storici cileni, forse spinti dal creare ulteriore leggenda intorno alla figura di Galvarino, il guerriero Mapuche si levò la vita prima che gli stessi spagnoli potessero ucciderlo, privandoli della gioia dell'esecuzione.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia


Jerónimo de Vivar, Crónica y relación copiosa y verdadera de los reinos de Chile, Artehistoria Revista Digital, Crónicas de América, Capítulo CXXXII, CXXXIII

Pedro Mariño de Lobera, Crónica del Reino de Chile , escrita por el capitán Pedro Mariño de Lobera....reducido a nuevo método y estilo por el Padre Bartolomé de Escobar, edizione digitale a partire da "Crónicas del Reino de Chile", Madrid, Atlas, 1960, pp. 227-562, Libro 2, Capitolo II, III, IV

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

giovedì 10 gennaio 2019

Comfort women, le schiave sessuali dell'esercito giapponese


Le Comfort women, le donne di conforto, erano ragazze costrette a far parte di corpi di prostitute creati dall'Impero del Giappone. Con impero giapponese ci si riferisce al periodo della storia del Giappone che ebbe inizio con la Restaurazione Meiji e terminò con la fine della seconda guerra mondiale. Politicamente si riferisce al periodo che iniziò con l'istruzione delle prefetture in sostituzione dei domini feudali, 14 luglio del 1871, e terminò con la resa formale del Giappone, 2 settembre del 1945. Molti documenti relativi alla Corea del Sud affermano che le Comfort women non fossero volontarie, documenti comprovati dalle testimonianze di molte donne che a partire dal 1989 si sono esposte pubblicamente incolpando i soldati giapponesi di averle rapite. La stima del numero di donne coinvolte varia da un minimo di 20.000, citato da storici giapponesi, ad un massimo di 410.000, stando alle dichiarazioni di accademici cinesi. Se le cifre sono ancora oggetto di dibattimento, non lo è la provenienza delle ragazze: le Comfort women provenivano dalla Corea, dalla Cina, dal Giappone e dalle Filippine. Inoltre è documentata che i centri di sfruttamento delle Comfort women impiegassero anche donne provenienti dalla Thailandia, dal Vietnam, dalla Malaysia, da Taiwan e dall'Indonesia.


Secondo le testimonianze dirette, le ragazze dei paesi controllati dall'Impero giapponese venivano prelevate dalle loro case e, dopo essere state ingannate con promesse di lavoro nelle fabbriche, indirizzate alla prostituzione a favore dell'esercito giapponese. L'idea alla base dei centri di prostituzione era quella di prevenire gli stupri di guerra, che avrebbero incrementato l'ostilità dei locali verso i soldati giapponesi. L'esercito giapponese istituì i centri di Comfort women anche per prevenire la diffusione delle malattie veneree ed intercettare lo spionaggio nemico. Uno storico giapponese, Yoshiaki Yoshimi, sostiene che “l'esercito imperiale giapponese aveva il timore che lo scontento covato dai soldati potesse esplodere in sommosse o rivolte. Cosi provvedettero con le comfort women”.  Il primo centro di comfort women fu istituito nella concessione giapponese a Shanghai, nel 1932. Le prime ragazze furono prostitute giapponesi, che si offrirono volontariamente per questo servizio. Nelle prime fasi della guerra, le autorità giapponesi decisero di reclutare ulteriori comfort women con metodi convenzionali. Nelle aree urbane fu utilizzata la pubblicità, anche sfruttando annunci sui giornali che circolavano in Giappone. Con il proseguimento della campagna d'espansione dell'Impero giapponese, i soldati si trovarono senza prostitute al seguito, motivo che portò l'esercito a decidere di sfruttare le donne che vivevano nelle zone conquistate. Per sfruttare queste ragazze, l'esercito giapponese usò l'inganno: molte di loro accettarono le richieste di lavoro fatte dai giapponesi svolgere il compito di operaie o infermiere, non potendo immaginare che sarebbero state costrette a divenire schiave sessuali.


La situazione peggiorò ulteriormente con il proseguimento della guerra: i militari iniziarono a saccheggiare le risorse delle popolazioni locali che avevano conquistato. Le autorità militari presenti sui territori invasi, esigevano che i governanti locali procurassero loro le donne per i bordelli. Quando le popolazioni locali divennero ostili nei confronti degli invasori (fatti che si perpetrarono soprattutto in Cina) i militari dell'Impero giapponese eseguirono la Sanko sakusen, ovvero la Politica dei Tre Tutto: uccidi tutti, saccheggia tutto e distruggi tutto. Tale, violenta, politica dell'esercito comportava il sequestro e lo stupro indiscriminato dei civili. Durante il periodo di esistenza dei centri delle Comfort women, i tre quarti delle donne prelevate con la forza e schiavizzate morì. La maggior parte delle ragazze sopravvissute perse la fertilità a causa dei traumi o delle malattie trasmesse. Tra le varie testimonianze ritrovate, quella di un soldato giapponese, Yasuji, permette di comprendere l'atteggiamento ed il regime di terrore a cui era sottoposte le comfort women: “le donne piangevano ma non c'importava se vivevano o morivano. Noi eravamo soldati dell'Imperatore. Sia nei bordelli militari che nei villaggi, violentavamo senza riluttanza. La violenza e le torture erano comuni”.


Una seconda, agghiacciante, testimonianza è quella di Jan Ruff-O'Herne, una ragazza olandese che, insieme ad altre nove donne, fu rapita dai campi di Giava e costretta a divenire una schiva sessuale dell'esercito giapponese. La Ruff-O'Herne testimoniò di fronte alla Camera dei rappresentati degli Stati Uniti nel 1990 dichiarando: «Molte storie sono state raccontate su orrori, brutalità, sofferenze e inedia delle donne olandesi nei campi di prigionia giapponese. Ma una storia non fu mai raccontata, la storia più vergognosa della peggiore violazione dei diritti umani commessa dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale: la storia delle comfort women, le jugun ianfu, e di come queste donne furono prese con la forza e contro la loro volontà, per provvedere alle necessità sessuali dell'Esercito Imperiale del Giappone. Nei cosiddetti "centri del comfort", sono stata sistematicamente picchiata e violentata giorno e notte. Anche i dottori giapponesi mi stupravano ogni volta che visitavano i bordelli per visitarci a causa delle malattie veneree». Le dieci ragazze olandesi, nei momenti successivi al rapimento, furono condotte in un bordello e fotografate. Le istantanee furono esposte nella sala d'attesa del centro di comfort affinché i soldati potessero scegliere la ragazza da stuprare. Per i quattro mesi successivi, le ragazze furono violentate e torturate; quelle che rimanevano incinte furono costrette ad abortire. Le ragazze sopravvissute furono trasferite in un secondo centro di Comfort prima di essere tradotte in un campo di prigionia nell'ovest di Giava, dove ritrovarono le famiglie. I campi di prigionia furono liberati nel 1945.


Ma la situazione peggiore, forse, si creò in Corea. Durante la seconda guerra mondiale, il regime imperiale giapponese creò un sistema di prostituzione altamente organizzato. Agenti coreani, uomini della polizia militare e militari ausiliari coreani furono coinvolti nel rapimento e nello stupro di migliaia di donne. Dopo la sconfitta, i militari giapponesi distrussero molti documenti per paura di essere perseguiti per crimini di guerra. 
Nel 1965, il governo giapponese pagò 364 milioni di dollari al governo coreano come indennizzo per tutti i crimini di guerra, incluse le ferite procurate alle comfort women. 
Nel 1994, il governo del Giappone creò un Fondo Donne Asiatiche per distribuire compensazioni supplementari a Corea del Sud, Filippine, Paesi Bassi ed Indonesia. Ad ogni sopravvissuta fu consegnata una scusa ufficiale dell'allora Primo Ministro del Giappone. 
Il fondo fu chiuso il 31 marzo del 2007. 
Alcuni storici giapponesi, tra cui Ikuhiko Hata, sostengono che il numero massimo di comfort women utilizzato dal Giappone durante il Secondo conflitto mondiale fosse di 20.000. Lo stesso Hata aggiunse che nessuna comfort women fu reclutata con la forza. 
Alcuni politici nazionalisti giapponesi sostengono che le testimonianze delle ex-comfort women sono inconsistenti ed inverosimili. 
Se tutto questo non fosse accaduto, perché il governo giapponese avrebbe pagato una somma enorme del 1965 come risarcimento per le comfort women? 
Inoltre, perché nel 1994 il Primo Ministro giapponese avrebbe voluto recapitare ad ogni ex-comfort women una lettera di scuse nella quale scriveva: «Come Primo Ministro del Giappone, io dunque rinnovo le mie più sincere scuse e il [mio più sincero] rimorso a tutte le donne che furono sottoposte ad immensurabili e dolorose esperienze e [che] soffrirono ferite fisiche e psicologiche incurabili nel ruolo di comfort women»?

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia

George Hicks, The Comfort Women. Japans Brutal Regime of Enforced Prostitution in the Second World War, New York, W.W. Norton & Company, 1997 

Maria Rose Henson, Comfort Woman: A Filipina's Story of Prostitution and Slavery Under the Japanese Military, Rowman & Littlefield Publishers, 1999 

C. Sarah Soh, The Comfort Women: Sexual Violence and Postcolonial Memory in Korea and Japan, 2009


FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.