domenica 31 maggio 2015
Victor Jara
Víctor Lidio Jara Martínez è stato un cantautore, musicista, regista teatrale e poeta cileno. Proveniente da famiglia contadina, politicamente impegnato, è divenuto negli anni un riferimento internazionale nel mondo della canzone di protesta e della canzone d'autore.
Sostenitore del presidente Salvador Allende, Jara fu assassinato cinque giorni dopo il golpe dell’11 settembre 1973, vittima della repressione messa in atto dal generale Augusto Pinochet.
Infanzia
Nasce da genitori contadini in un luogo in cui sono profonde le radici folcloriche. Il padre Manuel Jara cerca, con il lavoro del campo, di ricavare profitto dall'appezzamento che ha preso in affitto, profitto scarso, che si consumava rapidamente per le spese anticipate di farina, zucchero, mate e, non più di una volta all'anno, un po' di tela per confezionare abiti. La madre, Amanda, cantante (dotata di una ampia conoscenza della cultura popolare, originaria del sud del Cile e con sangue Mapuche nelle vene), suona la chitarra davanti ai fuochi accesi per la notte, intorno ai quali si riuniscono i vicini: il primo contatto di Víctor con la musica lo si deve certamente a lei.
Víctor la accompagna a tutte le ricorrenze cui è invitata (matrimoni, battesimi, veglie funebri). Fratelli di Víctor sono María, Georgina (Coca), Eduardo (Lalo) e Roberto, il più piccolo. Ha solo sei o sette anni quando si vede obbligato ad accompagnare la famiglia al lavoro del campo, ottemperando ai compiti che si suole affidare ai bambini (cercare l'acqua o la legna). Il cattivo rapporto con il padre rafforza quello che egli ha con la madre. Quest'ultima si preoccupa di provvedere all'educazione dei figli mandandoli a scuola. Víctor dà subito l'impressione di essere uno studente dotato.
A Santiago
A motivo di un incidente domestico capitato a María, la famiglia si vede costretta a trasferirsi a Santiago, capitale del paese, alla ricerca di una migliore condizione economica. Víctor, insieme al fratello Lalo, entra al Liceo Ruiz Tagle. Il duro lavoro della madre frutta alla famiglia un certo benessere, pur conducendola ad una rapida morte (1947). La chitarra di Amanda viene utilizzata da Víctor per realizzare i primi esperimenti musicali, appoggiati dall'amico Omar Pulgar.
Nel frattempo, il trasferimento al quartiere Chicago Chico dà la possibilità al giovane Jara di relazionarsi con altri giovani della stessa origine e condizione. Insieme ad altri, si avvicina al Partido Demócrata Cristiano. Sotto la direzione dei parroci, i giovani cantano in un coro, ascoltano musica classica, organizzano escursioni, giocano a calcio e, naturalmente, ascoltano messa, studiano le vite dei santi e vengono istruiti alla difesa della religione dall'eresia. Jara si iscrive ad un istituto commerciale, ma il suo sogno è quello di diventare sacerdote.
Il seminario
Jara affronta un altro trasferimento, stavolta a Los Nogales, dove ha modo di recuperare l'amicizia con Julio e Humberto Morgado, vecchi compagni di scuola. La famiglia Morgado assicura a Víctor vitto e alloggio. Nel frattempo, abbandona gli studi e va a lavorare in una fabbrica di mobili e aiuta Pedro Morgado, padre dei suoi compagni, che lavora nel campo dei trasporti.
Su consiglio di padre Rodríguez entra nel seminario dell'Ordine dei Redentoristi a San Bernardo. Víctor ricorda in questi termini la sua decisione:
« Fu una decisione importante quella di entrare al seminario. A pensarci adesso, da una prospettiva più asciutta, credo di averlo fatto per ragioni intime ed emozionali, a causa della solitudine e la sparizione di un mondo che fino ad allora era sembrato solido e duraturo, un mondo simboleggiato dal focolare e dall'amore di mia madre. Avevo già rapporti con la Chiesa e, in quel momento, cercai in essa un rifugio.
Allora pensavo che questo rifugio mi avrebbe guidato verso altri valori e mi avrebbe aiutato a trovare un amore differente e più profondo che, magari, avrebbe compensato l'assenza di amore umano. Credevo che avrei trovato questo amore nella religione, dedicandomi al sacerdozio. »
Due anni dopo, nel 1952, rendendosi conto della propria mancanza di vocazione, esce dal seminario e, immediatamente, va a prestare servizio militare. Di esso, ricorderà positivamente il canto gregoriano e l'elaborazione della liturgia.
La carriera nel teatro
A 21 anni entra nel coro della Università del Cile e partecipa alla realizzazione dei Carmina burana, cominciando in tal modo il proprio lavoro di investigazione e raccolta della cultura folclorica. Tre anni più tardi, entra a far parte della compagnia teatrale Compañía de mimos de Noisvander, ed inizia a studiare recitazione e regia alla Scuola di Teatro dell'Università del Cile. Nel 1957, fa il suo ingresso nel gruppo di ricerca di canti e danze folcloriche Cuncumén e conosce Violeta Parra, che lo invita a riprendere la sua attività di cantante.
Nel 1959, a 27 anni, dirige per la prima volta un'opera teatrale (Parecido a la felicidad di Alejandro Sieveking), girando diversi paesi latinoamericani. Nel 1960, è assistente alla regia di Pedro de la Barra per l'opera teatrale La viuda de Apablaza di Germán Luco Cruchaga, e dirige La mandragola di Niccolò Machiavelli. Nel 1961, come direttore artistico di Cuncumén, viaggia per i Paesi Bassi, la Francia, l'URSS, la Cecoslovacchia, la Polonia, la Romania e la Bulgaria. Nel 1961, compone la sua prima canzone, Paloma quiero contarte. Continua a lavorare come assistente alla regia (La madre de los conejos di Sieveking).
Nel 1962, dirige, per l'Instituto de Teatro de la Universidad de Chile (ITUCH), Ánimas de día claro, sempre di Sieveking. In questo stesso anno ottiene la laurea, diplomandosi come regista di teatro. Con il gruppo Cuncumén registra l'LP Folclore chileno, in cui appaiono due sue canzoni (Paloma quiero contarte e La canción del minero). Comincia, in quel periodo, a svolgere la funzione di direttore della Academia de folclore de la Casa de la Cultura de Ñuñoa (lo farà fino al 1968). In questa stessa epoca (e fino al 1970), fa parte del collettivo di registi dell'ITUCH, e tra il 1964 e il 1967, è professore di recitazione all'Università.
Il lavoro di regista di teatro gli strappa molto tempo: realizza, tanto come assistente alla regia quanto come regista, diversi spettacoli, tra cui uno per Canal, la TV dell'Università del Cile. L'opera Ánimas de día claro lo porta a viaggiare per l'Argentina, Uruguay e il Paraguay. Nel 1963, è assistente alla regia di Atahualpa del Cioppo, per la realizzazione di El círculo de tiza (di Bertolt Brecht), sempre per l'ITUCH. Continua, però, a comporre musica. Nel 1965, dirige La remolienda di Sieveking e collabora a La maña, di Ann Jellicoe. Riceve il premio Laurel de oro come miglior direttore e il premio de La crítica del circolo dei giornalisti. Come regista la sua attività spazierà da Brecht a Sofocle.
Il cantautore
Víctor Jara è stato autore di indimenticabili canzoni. Fra queste, le più famose sono forse Plegaria a un labrador ("Preghiera ad un contadino"), Te recuerdo Amanda ("Ti ricordo Amanda") e Manifiesto ("Manifesto"). Dal 1966 al 1969 è direttore artistico del gruppo musicale Quilapayún. Fino al 1970 si esibisce come solista nel gruppo La peña de los Parra.
È del 1966 il suo primo LP (Víctor Jara), pubblicato da Arena. Con la EMI-Odeon registra l'anno seguente gli LP Canciones folclóricas de América e Víctor Jara, entrambi con la collaborazione dei Quilapayún. Nel frattempo, riceve il premio della critica per la regia di Entretenimiento a Mr. Sloane ed il Disco d'Argento dell'etichetta Emi-Odeon. Con la canzone Plegaria a un labrador vince il primo premio del Primer festival de la nueva canción chilena e viaggia ad Helsinki per partecipare ad un meeting mondiale della gioventù per il Vietnam, per il quale registra Pongo en tus manos abiertas.
Nel 1970 partecipa alla Conversazione Internazionale di Teatro di Berlino e al Primo Congresso di Teatro Latinoamericano di Buenos Aires. Partecipa alla campagna elettorale di Unidad Popular e registra il disco Canto libre. Viene nominato Ambasciatore Culturale dal Governo di Unidad Popular e nel 1971 mette musica, insieme a Celso Garrido Lecca, al balletto Los siete estados di Patricio Bunster, per il Balletto Nazionale del Cile. Insieme a Violeta Parra e agli Inti Illimani, entra nel Dipartimento de Comunicazione dell'Università Tecnica Statale.
Con la casa Dicap pubblica il disco El derecho de vivir en paz, che gli vale il premio Laurel de oro per la migliore composizione dell'anno. Tra il 1972 e il 1973, lavora come compositore per la Televisione Nazionale del Cile, investigando e raccogliendo testimonianze e contributi nel villaggio di Herminda de la Victoria. Da questo materiale trarrà il suo disco La población. Visita l'URSS e Cuba, e dirige l'omaggio a Pablo Neruda per la vittoria del Premio Nobel. I contadini di Ranquil lo invitano alla realizzazione di un'opera musicale che abbia per tema il loro territorio.
Jara partecipa, inoltre, al lavoro volontario mobilitato per impedire la paralisi del paese che le forze reazionarie vogliono ottenere attraverso lo sciopero dei camionisti. Nel 1973 torna a partecipare alla campagna elettorale per le elezioni del parlamento (sempre a favore dei candidati dell'Unidad Popular). In risposta ad un invito di Pablo Neruda, dirige un ciclo di programmi televisivi contro la guerra e il fascismo. Lavora a vari progetti musicali che non potrà condurre a termine, ma realizza la registrazione di Canto por travesura.
La morte
Jara fu, fino alla morte, un importante militante del Partido Comunista de Chile (il partito di Pablo Neruda) e membro del comitato centrale delle Juventudes Comunistas de Chile. Oltre ad aver appoggiato politicamente il presidente cileno socialista Salvador Allende, era stato attivo nell'ambito del movimento noto come Nueva Canción Chilena. Il golpe del generale Augusto Pinochet contro il presidente Salvador Allende, che pose fine per molti anni alla democrazia in Cile, lo sorprende all'università. Viene preso prigioniero insieme a numerosi alunni e professori. Lo conducono allo Estadio Nacional de Chile, trasformato in campo di concentramento, poi nel vicino Estadio Chile, un complesso sportivo con un palazzetto dove si praticavano vari sport, e qui rimane prigioniero diversi giorni.
Secondo alcune versioni, lo torturano a lungo, colpendogli le mani fino a rompergliele con il calcio di una pistola. Il 16 settembre (o secondo alcuni il 23) lo finiscono a pistolettate. La vedova, Joan Turner Jara, ha smentito che gli siano state strappate le unghie e altre torture alle quali si dice sia stato sottoposto. Joan Jara racconta testualmente:
« Siamo saliti al secondo piano, dove erano gli uffici amministrativi e, in un lungo corridoio, ho trovato il corpo di Víctor in una fila di una settantina di cadaveri. La maggior parte erano giovani e tutti mostravano segni di violenze e di ferite da proiettile. Quello di Víctor era il più contorto. Aveva i pantaloni attorcigliati alle caviglie, la camicia rimboccata, le mutande ridotte a strisce dalle coltellate, il petto nudo pieno di piccoli fori, con un’enorme ferita, una cavità, sul lato destro dell’addome, sul fianco. Le mani pendevano con una strana angolatura e distorte; la testa era piena di sangue e di ematomi. Aveva un’espressione di enorme forza, di sfida, gli occhi aperti. »
Dopo averlo ucciso, i militari cileni non solo proibiscono la vendita dei suoi dischi, ma ordinano la distruzione delle matrici.
¡Canto qué mal me sales Canto, come mi vieni male
cuando tengo que cantar espanto! quando devo cantare la paura!
Espanto como el que vivo Paura come quella che vivo,
como el que muero, espanto come quella che muoio, paura
de verme entre tantos y tantos di vedermi fra tanti, tanti
momentos del infinito momenti dell'infinito
en que el silencio y el grito in cui il silenzio e il grido
son las metas de este canto. sono le mete di questo canto.
Lo que veo nunca vi. Quello che vedo non l'ho mai visto.
Lo que he sentido y lo que siento Ciò che ho sentito e che sento
hará brotar el momento... farà sbocciare il momento...
(Ultima strofa del testo scritto nello stadio di Santiago del Cile poco prima di essere ucciso, poi tradotta in inglese e musicata da Pete Seeger, con il titolo di Estadio Chile)
Il riconoscimento dell'assassinio
Nel 1990 la "Commissione per la Verità e la Riconciliazione" stabilì che Víctor Jara fu assassinato il 16 settembre del 1973 all'Estadio Chile e fatto precipitare in una fratta nei dintorni del Cimitero Metropolitano, che si trova sulla Carretera 5 Sur. Venne poi condotto in una stanza mortuaria come N. N., per essere poi identificato dalla moglie. I resti di Jara giacciono al Cimitero Generale di Santiago, dove la moglie lo fece inumare in un funerale clandestino, prima di espatriare. Dopo la fine della dittatura, la tomba divenne oggetto di omaggi e ufficialmente segnalata. Tra il 2008 e il 2012 furono arrestati e/o incriminati diversi ex militari responsabili dell'omicidio di Víctor Jara: tra di essi l'ufficiale - processato in contumacia, dato che vive a Miami - che lo colpì mortalmente con la pistola, mentre faceva la roulette russa contro le sue vittime, e i soldati che ricevetteto da questi l'ordine di finire il cantante con le pistole d'ordinanza.
Sono stati tutti accusati di vari crimini contro l'umanità, come torture contro Jara e altri prigionieri, oltre che dell'omicidio. Il corpo di Jara è stato riesumato nel 2009 e il musicista commemorato con un nuovo funerale; Jara è stato poi sepolto in una tomba interrata vicino a quella precedente, ma molto più visibile, anche se quella vecchia è rimasta al suo posto.
Intitolazioni
Nel settembre del 2003, in occasione del trentesimo anniversario del golpe, l'Estadio Chile è stato intitolato a Víctor Jara. La moglie Joan ha dato vita inoltre alla Fondazione Víctor Jara. Gli è stato inoltre dedicato l'asteroide 2644 Victor Jara.
Citazioni e omaggi
Víctor Jara è stato ricordato da diversi artisti di tutto il mondo che, all'indomani della sua morte e negli anni a seguire, a lui hanno dedicato espressamente canzoni, o ne hanno riprese (integralmente o solo con citazioni) tra le sue originali:
Ahora (Su voz no será callada)
Alberto Cesa (Victor Jara)
Alí Primera (Canción para los valientes)
Arlo Guthrie (Victor Jara)
Briganda (Il suo nome era Victor)
Calexico (Víctor Jara's Hands in Carried to Dust, 2008)
Canzoniere delle Lame (Llanto por Víctor Jara in Italia-Cile, 1974)
Christy Moore (Victor Jara)
Chuck Brodsky (The Hands Of Victor Jara)
Dafydd Iwan (Cân Victor Jara)
Daniele Sepe (album Conosci Víctor Jara?, 2000)
Dario Fo (Han matado una guitarra)
Egin (El Martillo nell'album Il Colore delle Idee, 2003)
David Rodriguez (The Rifle And The Song (To Victor Jara))
Gérard-André Gaillard (Victor Jara)
Gilles Servat (Gwerz Victor C'hara)
Gondwana (Libertad)
Heaven Shall Burn (The Weapon They Fear, in Antigone, 2004)
Hoola Bandoola Band (Victor Jara)
Kambotes (Víctor Jara no murió)
Inti-Illimani (Venceremos)
Inti-Illimani (Canción a Víctor, in Hacia la libertad, 1975)
Inti-Illimani (Canto del las estrellas, in Arriesgaré la piel, 1996)
Joan Baez (Te recuerdo Amanda, 1974)
Juana Fe (La Bala, in La Makinita, 2010)
Kambotes (Víctor Jara no murió)
León Gieco (Los chacareros de Dragones)
Los Fabulosos Cadillacs (Matador)
Manuel Gerena (Por Víctor Jara y su justa venganza (Romance por tientos))
Melodica, Melody and Me (Ode to Victor Jara)
Michel Bühler (Chanson pour Victor Jara)
Modena City Ramblers (Celtica Patchanka, in Fuori campo)
Nadau (Auròst tà Victor Jara)
Nomadi (Te recuerdo Amanda)
Patricio Manns (Muerte y resurrección de Víctor Jara o Despedida y resurrección de Víctor Jara)
Pete Seeger, (Estadio Chile)
Pippo Pollina (Il giorno del falco nell'album omonimo, 2003)
Quilapayún (Canción a Víctor Jara di Eduardo Carrasco, in Umbral, 1979)
Raíces de América (Plegaria Por Víctor Jara)
Robert Wyatt (Te Recuerdo Amanda, 1984)
Rod MacDonald (The Death Of Victor Jara)
Santiago del Nuevo Extremo (Homenaje)
Simple Minds (Street Fighting Years, in Street Fighting Years, 1989)
Ska-P (No olvidaremos el valor de Víctor Jara e Juan sin tierra, in Eurosis, 1998)
Stefano Giaccone (Piccola canzone per Victor Jara)
The Clash (Washington Bullets, in Sandinista!, 1980)
U2 (One Tree Hill, in The Joshua Tree, 1987)
Regia teatrale
1959 Parecido a la felicidad di Alejandro Sieveking
1960 La Viuda de Apablaza di Germán Luco Cruchaga (assistente del regista Pedro de la Barra)
1960 La Mandragola di Niccolò Machiavelli
1961 La madre de los conejos di Alejandro Sieveking
1962 Ánimas de día claro di Alejandro Sieveking
1963 Il cerchio di gesso nel Caucaso di Bertold Brecht (assistente del regista Atahualpa del Cioppo)
1963 Los invasores di Egon Wolff
1963 Dúo di Raúl Ruiz
1963 Parecido a la felicidad di Alejandro Sieveking (versione per la televisione cilena)
1965 La remolienda di Alejandro Sieveking
1965 The knack di Ann Jellicoe
1966 Marat/Sade di Peter Weiss (assistente del regista William Oliver)
1966 La casa vieja di Abelardo Estorino
1967 La remolienda di Alejandro Sieveking
1967 La viuda de Apablaza di Germán Luco Cruchaga
1968 Entertaining Mr. Sloane di Joe Orton
1969 Viet Rock di Megan Ferry
1969 Antigone di Sofocle
1972 Homenaje a Pablo Neruda
Discografia parziale
Album di studio
1966 - Víctor Jara
1967 - Canciones folklóricas de America
1967 - Víctor Jara
1969 - Pongo en tus manos abiertas
1970 - Canto libre
1971 - El derecho de vivir en paz
1972 - La población
1973 - Canto por travesura
1974 - Manifiesto
1974 - Te recuerdo Amanda (Fonomusic)
1975 - Presente
1975 - Últimas canciones
1976 - Vientos del Pueblo, Monitor
1979 - Víctor Jara
1984 - An unfinished song (Redwood Records)
1992 - Todo Víctor Jara (EMI)
20 años después (Fonomusic)
1997 - Víctor Jara presente. Colección "Haciendo Historia" (Odeón)
2001 - Víctor Jara
2001 - Pongo en tus manos abiertas
2001 - El derecho de vivir en paz
2001 - Antología musical (WEA) (2 cd)
2001 - 1959-1969 (EMI-Odeón) (2 cd)
2003 - Latin essential: Víctor Jara, (WEA) (2 cd)
2004 - Collección Victor Jara (Warner Bros) (8 cd)
2005 - Víctor Jara. Serie de oro. Grandes éxitos (EMI)
Album dal vivo
1978 El recital
1996 Víctor Jara en México (WEA International)
2001 Habla y canta en la Habana, Cuba (WEA International)
2003 En vivo en el Áula magna de la Universidad de Valparaíso (WEA International)
fonte: Wikipedia
DOCUMENTARIO
FILMATO
double bind and around
Juan Muñoz
Double Bind and Around
A cura di Vicente Todolí
l'Hangar Bicocca è un posto unico.
e questa mostra gli rende giustizia.
non posso immaginare luogo più consono alla straordinaria comunicativa di questo autore e delle sue opere.
la vastità degli spazi, la possibilità di camminarci dentro, pressochè soli, e di prendere direttamente la misura dell'arte, la nudità grezza e muraria industriale delle pareti, la ricostruzione su due piani di Double Bind e la possibilità di perdercisi, tutto concorre a fare di questa visita un'esperienza.
mi sono sentita dentro un'opera teatrale, a una rappresentazione scenica istantanea, me co-protagonista, dell'estraniamento.
superlativo.
non si entra dall'entrata principale ma di lato, percorrendo all'esterno i muri altissimi della struttura, camminando, nel mio caso nella notte, intorno a questo magazzino post industriale dalle imponenti fattezze neo archeologiche. si entra e si scorgono, di lato, le torri di Kiefer, sua magnificenza. bene, so dove sono.
ma poi non lo so più, le figure piccole, ma alla mia altezza, di Muñoz, sono mute ma parlano, eccome se parlano. sono assordanti di mutismo e cecità. e mi fanno sentire incapace di comunicare, sola, sperduta, oppressa.
c'è un effetto magico, direi, in questi personaggi che, se hanno le gambe, sono senza piedi, e se non le hanno, si reggono come su sacchi arrotondati sferici. sono fissi ma in movimento, hanno mani espressive e movimenti del busto, alcuni hanno occhi ciechi, si avvicinano e si parlano, sembrano scappare e rincorrersi.
sono, dunque, dei paradossi, sembrano morbidi ma hanno superfici dure e taglienti, di resina. c'è una contraddizione palpabile che ti coglie e ti mette in imbarazzo. cerco di parlare loro, sono ridicola?, o sto parlando a me stessa, a una me stessa ingabbiata in un movimento probabile ma impedito dalla mia stessa natura, dura e coriacea.
cammino e penso, alzo gli occhi e vedo figure galleggianti nell'aria, non sono impiccati, sono tenuti in aria da una corda che entra nella gola, una specie di cappio esofageo, una tortura inimmaginabile, un soffocamento stritolato di aria e di parola.
salgo le scale scricchiolanti di una struttura metallica e mi trovo al piano superiore di un luogo agghiacciante: ascensori, vuoti, emergono dal basso su una superficie molto ampia e luminosa piena di buchi, reali e virtuali, provenienti da un luogo sottostante, misterioso. mi viene in mente Metropolis, la città superiore e il mondo operaio agli inferi, ora sono sopra ma potrei passare di sotto in qualsiasi momento, la vita è imprevedibile.
sotto, invece, si sta al buio, spiragli di luce arrivano dai buchi, che non suono vuoti, ma abitati da figure che guardano contro un muro, che entrano in una fessura, che si siedono, che portano abiti e indossano stoffe, potrei dire, abitano l'ignoto.
non si calca la mano, non c'è angoscia, c'è una grande domanda, un enorme punto di domanda nella testa, una gran solitudine, una dimensione umana che in fondo si conosce, è nota a tutti, l'alienazione.
alla fine entro in un'enorme sala, un grande magazzino dalle pareti grezze, cemento scrostato, c'è una scala a chiocciole infinita che porta a un piano superiore; immagino, lassù, un luogo che porta dritto all'infinito senza ritorno. in basso, al mio livello ci sono decine di persone (?) quelle con le gambe ma senza i piedi, parlano tra loro, sono orientali, hanno occhi a mandorla, ridono, si dicono cose, fanno movimenti con le braccia, scostano i cappotti, sono tutti parte di una grande comunità...e io...sono fuori da tutto, esclusa.
chiedo e faccio domande: perché ridi? ma nessuno mi risponde, mi ignorano. ridono ma non sono felici, di questo sono sicura, ridono solo della loro superiorità, del potere dell'esclusione che hanno su di me.
è questo il seme della paranoia.
una mostra, meglio, una passeggiata indubbiamente interessante, quella con le creature di Muñoz.
e con se stessi.
Double Bind and Around
A cura di Vicente Todolí
La mostra Hangar Bicocca presenta “Double Bind & Around”, la prima mostra personale in Italia dedicata a Juan Muñoz, a cura di Vicente Todolí. L’artista, scomparso nel 2001, è stato uno dei protagonisti della scultura contemporanea degli ultimi due decenni del Novecento.
Definito dalla critica uno degli artisti più complessi e singolari del nostro tempo, Juan Muñoz era solito parlare di sé come di un “storyteller”. Tra gli artisti più significativi a emergere nel periodo che segue la dittatura franchista in Spagna, è stato un interprete visionario e artefice di un’arte che pone al centro la figura umana. Capace di creare contesti stranianti, mondi fittizi abitati da bizzarri personaggi come acrobati, ventriloqui, ballerine e nani solitari, le sue opere danno forma a possibili narrazioni.
“La scultura avvolge lo spazio che occupa, restringendolo dall’ estremità al centro in tutta la sua estensione, come un foglio che volteggia nell’aria prima di posarsi sul tavolo o sul suolo” (da Juan Muñoz, “Writings/Escritos”, a cura di Adrian Searle, ediciones de la Central, Madrid 2009).
Il suo interesse per l'arte dell’illusione lo ha portato a trasmettere un forte senso di ambiguità ed enigmaticità, dove i confini tra realtà e finzione si assottigliano, accrescendo un articolato gioco di contraddizioni e paradossi.
L'installazione Double Bind rappresenta la più significativa creazione dell'artista, morto nel 2001 all'età di 48 anni, pochi mesi dopo la sua realizzazione. Concepita ed esposta negli spazi della Turbine Hall all'interno del progetto Unilever Series presso la Tate Modern (Londra, 2001), non è mai più stata ricostruita. Double Bind viene ripresentata riadattandola completamente su una superficie di 1.500 metri quadrati e intervenendo sui volumi verticali dello spazio ex industriale di HangarBicocca. Formata da una serie di scenari oscuri e da elementi architettonici che giocano sul contrasto tra visibile e invisibile, tra realtà e illusione, essa si compone strutturalmente di tre piani e due ascensori in continuo movimento. Dal piano superiore, il visitatore fruisce della visione di una superficie con forme geometriche che contiene buchi e condotti reali e illusori. Al livello intermedio, invece, appaiono figure scultoree singole o in gruppo bloccate nei loro atteggiamenti in una dimensione temporale e spaziale indefinita. Muñoz crea un insieme architettonico asettico attraverso elementi strutturali, come griglie e finestre sbarrate. E’ l’artista stesso a definire l’esperienza dello spettatore come se si trovasse in una città anziché in un museo (da Double Bind at Tate Modern, Tate Publishing, Londra 2001). La mostra Double Bind & Around, nel suo complesso, raggruppa alcune delle opere più importanti di Juan Muñoz, tra cui The Wasteland (1986), formata da un pavimento di pattern geometrici colorati e dal manichino di un ventriloquo poggiato su una mensola, Waste Land (1986), dove il ventriloquo è collocato su un muro di fronte a un pavimento optical, e Many Times (1999), formata da una “folla” di figure dal volto orientale disposte nello spazio le cui espressioni raffigurano dei ghigni taglienti. Sono presenti inoltre diversi Conversation Piece, gruppi scultorei sviluppati dai primi anni Novanta: sono composti da figure anonime collocate in spazi altrettanto generici. I personaggi, le cui forme ricordano quelle umane, hanno delle strutture sferiche al posto delle gambe. Ciascuna figura occupa lo spazio, assumendo pose diverse, mentre conversa, osserva o ascolta fatti ed eventi che rimangono taciuti e incomprensibili allo spettatore. I personaggi di Hanging Figures (1997) sono invece raffigurati in pose inverosimili mentre fluttuano nell’aria come acrobati. Quest’opera è ispirata al capolavoro di Edgar Degas Mademoiselle La La al Circo Fernando del 1879 in cui l'artista rappresenta un’acrobata con un ardito scorcio dal basso.
l'Hangar Bicocca è un posto unico.
e questa mostra gli rende giustizia.
non posso immaginare luogo più consono alla straordinaria comunicativa di questo autore e delle sue opere.
la vastità degli spazi, la possibilità di camminarci dentro, pressochè soli, e di prendere direttamente la misura dell'arte, la nudità grezza e muraria industriale delle pareti, la ricostruzione su due piani di Double Bind e la possibilità di perdercisi, tutto concorre a fare di questa visita un'esperienza.
mi sono sentita dentro un'opera teatrale, a una rappresentazione scenica istantanea, me co-protagonista, dell'estraniamento.
superlativo.
non si entra dall'entrata principale ma di lato, percorrendo all'esterno i muri altissimi della struttura, camminando, nel mio caso nella notte, intorno a questo magazzino post industriale dalle imponenti fattezze neo archeologiche. si entra e si scorgono, di lato, le torri di Kiefer, sua magnificenza. bene, so dove sono.
ma poi non lo so più, le figure piccole, ma alla mia altezza, di Muñoz, sono mute ma parlano, eccome se parlano. sono assordanti di mutismo e cecità. e mi fanno sentire incapace di comunicare, sola, sperduta, oppressa.
c'è un effetto magico, direi, in questi personaggi che, se hanno le gambe, sono senza piedi, e se non le hanno, si reggono come su sacchi arrotondati sferici. sono fissi ma in movimento, hanno mani espressive e movimenti del busto, alcuni hanno occhi ciechi, si avvicinano e si parlano, sembrano scappare e rincorrersi.
sono, dunque, dei paradossi, sembrano morbidi ma hanno superfici dure e taglienti, di resina. c'è una contraddizione palpabile che ti coglie e ti mette in imbarazzo. cerco di parlare loro, sono ridicola?, o sto parlando a me stessa, a una me stessa ingabbiata in un movimento probabile ma impedito dalla mia stessa natura, dura e coriacea.
cammino e penso, alzo gli occhi e vedo figure galleggianti nell'aria, non sono impiccati, sono tenuti in aria da una corda che entra nella gola, una specie di cappio esofageo, una tortura inimmaginabile, un soffocamento stritolato di aria e di parola.
salgo le scale scricchiolanti di una struttura metallica e mi trovo al piano superiore di un luogo agghiacciante: ascensori, vuoti, emergono dal basso su una superficie molto ampia e luminosa piena di buchi, reali e virtuali, provenienti da un luogo sottostante, misterioso. mi viene in mente Metropolis, la città superiore e il mondo operaio agli inferi, ora sono sopra ma potrei passare di sotto in qualsiasi momento, la vita è imprevedibile.
sotto, invece, si sta al buio, spiragli di luce arrivano dai buchi, che non suono vuoti, ma abitati da figure che guardano contro un muro, che entrano in una fessura, che si siedono, che portano abiti e indossano stoffe, potrei dire, abitano l'ignoto.
non si calca la mano, non c'è angoscia, c'è una grande domanda, un enorme punto di domanda nella testa, una gran solitudine, una dimensione umana che in fondo si conosce, è nota a tutti, l'alienazione.
alla fine entro in un'enorme sala, un grande magazzino dalle pareti grezze, cemento scrostato, c'è una scala a chiocciole infinita che porta a un piano superiore; immagino, lassù, un luogo che porta dritto all'infinito senza ritorno. in basso, al mio livello ci sono decine di persone (?) quelle con le gambe ma senza i piedi, parlano tra loro, sono orientali, hanno occhi a mandorla, ridono, si dicono cose, fanno movimenti con le braccia, scostano i cappotti, sono tutti parte di una grande comunità...e io...sono fuori da tutto, esclusa.
chiedo e faccio domande: perché ridi? ma nessuno mi risponde, mi ignorano. ridono ma non sono felici, di questo sono sicura, ridono solo della loro superiorità, del potere dell'esclusione che hanno su di me.
è questo il seme della paranoia.
una mostra, meglio, una passeggiata indubbiamente interessante, quella con le creature di Muñoz.
e con se stessi.
fonte: nuovateoria.blogspot.it
venerdì 29 maggio 2015
David Garrett
nome d'arte di David Bongartz è un violinista e compositore tedesco-statunitense.
Particolarmente apprezzato come musicista da Zubin Mehta e Daniel Barenboim, suona un violino Stradivari e un Guadagnini.
Si è fatto conoscere dalla critica per il suo repertorio di musica rock adattato all'orchestra e, in particolare, al violino, che tende nelle sue cover a sostituire le chitarre di artisti quali Brian May, Angus Young, Slash, Kirk Hammett, Jimmy Page o Kurt Cobain, ma anche le voci, come quelle di Axl Rose o Michael Jackson. In modo analogo, accompagnato da chitarre e batterie, ha portato celeberrimi brani classici a tonalità più rock.
Fino a oggi ha venduto oltre 2,5 milioni di dischi.
Il padre è un avvocato tedesco mentre la madre, Dove Garrett, è una ballerina statunitense. Proprio dalla madre ha preso il cognome utilizzato come nome d'arte, scelto dai suoi genitori perché «più pronunciabile».
A 11 anni collabora con la Filarmonica di Amburgo, mentre nel 1994, a quindici anni, stipula un accordo con la Deutsche Grammophon per l'incisione di diverse opere come solista. Nel 2004 si diploma alla scuola di arte Juillard di New York.
Nel 2008 è entrato nel Guinness dei primati per aver eseguito il volo del calabrone in un minuto e sei secondi.
Con l'album Rock Symphonies del 2010 si fa conoscere alla platea internazionale; nel disco Garrett unisce il genere classico con il rock, fondendo brani di autori quali Vivaldi e Beethoven con altri come U2, Nirvana, Metallica e Aerosmith.
Riguardo al suo strumento musicale, a undici anni ha ricevuto il suo primo violino Stradivari. David Garrett possiede anche un violino Guadagnini del 1772; nel 2007, dopo un'esibizione presso il Barbican Centre di Londra vi cadde sopra danneggiandolo gravemente, ma poté riutilizzarlo nuovamente poco tempo dopo.
Il 12 ottobre 2012 è uscito il suo nuovo lavoro intitolato Music, anticipato dalla cover al violino di Viva la vida dei Coldplay.
Nel 2013 debutta come attore cinematografico nel film Il violinista del diavolo, dove è protagonista nel ruolo di Niccolò Paganini.
Discografia
Album
1995 - Mozart: Concerto per violino K 218 e 271, sonata per violino e pianoforte in B bemolle maggiore, K. 454
1995 - Violin Sonata
1997 - Paganini Caprices
2001 - Tchaikovsky, Conus: Violin Concertos
2002 - Pure Classics
2006 - Free
2007 - Virtuoso - disco di platino in Germania
2008 - Encore - nona posizione nella classifica in Austria e cinque dischi d'oro in Germania
2009 - David Garrett
2009 - Classic Romance
2010 - Rock Symphonies
2011 - Legacy (BeethovenKreisler/Rachmaninov) - Garrett/Marin/Royal Philharmonic Orchestra, Decca
2012 - Music, Universal Classics - seconda posizione in Germania, terza in Austria, settima in Svizzera e quinta nella Classical Albums
2013 - 14, Le prime registrazioni di David Garrett - Garrett/Markovich, 1995 Deutsche Grammophon
2013 - Garrett vs. Paganini, Decca - quinta posizione in Austria e ottava in Germania
2014 - "Timeless" - Bruch Brahms - Conc. vl. n. 1/Conc. vl. op. 77, Garrett/Mehta/Israel PO, Decca - nona posizione in Austria
Collaborazioni
2004 - Nokia Night of the Proms
2008 - The New Classical Generation 2008
Videografia
DVD
2009 - David Garrett Live - In Concert & In Private
2010 - David Garrett: Rock Symphonies - Open Air Live
2011 - Legacy (BeethovenKreisler/Rachmaninov) - Garrett/Marin/Royal Philharmonic Orchestra, Decca (anche Blu-ray Disc)
Filmografia
Il violinista del diavolo (The Devil's Violinist), regia di Bernard Rose (2014)
fonte: Wikipedia
Milano è centro di una compiuta civiltà alimentare
bene , cibo molto cibo, siamo un via vai di proposte culinarie.
perché la sensazione, ripeto la sensazione, è che Expo sia un gran ristorantone, molto cool, molto high tech, molto trendy, molto allargato e di successo, un gran successo architettonico, più che un luogo di riflessione sull'alimentazione nel pianeta.
ma ancora andare ci devo, quindi aspettiamo di vedere e rimanere attoniti e stupiti.
a farmi riflettere sulla gran tradizione culinaria di Milano, "in ogni tempo Milano è stata patria di gloriose osterie", ci ha pensato il buon Savinio e le sue pagine sul Bonola, ristorante di Milano, laboratorio di culinaria sperimentale della durata di due anni.
Ai nostri tempi, Milano ebbe un laboratorio di culinaria sperimentale: il ristorante Bonola. Se Apollonio di Tiana conosceva tutte le lingue, a imitazione degli apostoli i quali acquistavano questa conoscenza soltanto nel giorno della Pentecoste, Bonola conosceva tutte le cucine del mondo, e da questo universale della gastronomia aveva dedotto con molta pazienza, con molta intelligenza, con molto studio, una cucina "sua". Bonola era un mistico del gaudii palatali.
Il locale era di modesta apparenza, ma non entrava da Bonola chi voleva. Bonola aveva una clientela sceltissima, gente che si faceva fare tutto su misura: le scarpe, le sigarette, i pasti. I suoi clienti Bonola li conosceva uno per uno, intimamente, nella vita e nei gusti. Dirò meglio: i suoi clienti Bonola se li sceglieva da sé. A ciascun cliente egli preparava una cucina personale, piatti che "somigliavano" al cliente, riflettevano i suoi desiderii, illustravano il suo carattere. Erano "pasti ritratto".
Un giorno entrò da Bonola un tale. Fu come l'apparizione di un uomo nero, di un bruto, di un mostro infoiato in mezzo a un girotondo di bianche educande. I clienti si guardarono esterrefatti, ciascuno la forchetta sospesa sul proprio ritratto culinario. Bonola spedì con molta discrezione un cameriere ad avvertire l'intruso che quello non era posto per lui; ma quegli si risentì, fu insistente, cocciuto.
"Facciamo pagare molto caro" confidò il cameriere con l'untuosità di un consigliere spirituale.
"Pagherò" ribattè colui, e volle la lista delle vivande. Gli dissero che da Bonola la lista delle vivande non c'era.
"Fatemi mangiare lo stesso".
Bonola, secondo il suo costume, compose il pranzo da sè: un brodino, due uova su canapè di asparagi, qualche cosuccia per terminare. E finito colui di mangiare, Bonola gli presentò il conto: 270 lire.
Citato in pretura, Bonola dimostrò che ci aveva rimesso: gli asparagi li aveva fatti venire dall'Egitto, la cottura delle uova all'occhio di bue gli era costata 200 lire di cognàc.
Nel firmamento delle culinaria milanese, Bonola fu appena una cometa: brillò due anni, e poi passò.
Alberto Savinio
Ascolto il tuo cuore, città
ironia, aristocrazia, privilegio. contro la cultura dell'eccesso. forse un no expo?
fonte: nuovateoria.logspot.it
giovedì 28 maggio 2015
Giuseppe Fava
Simone Barbato
è un attore e cabarettista italiano.
Attore, pianista, cantante lirico ed autore, si diploma presso il conservatorio "Antonio Vivaldi" di Alessandria in pianoforte.
Noto al grande pubblico televisivo per la sua partecipazione al programma di Canale 5 Zelig nella parte del mimo, entra a far parte del cast del programma Avanti un altro!.
Nella 5ª puntata della 6ª edizione di Italia's Got Talent ha partecipato alle selezioni come cantante lirico, per poi esibirsi come mimo, l'artista riceve la standing ovation dal pubblico.
Filmografia
Cinema
Colpi di fulmine, regia di Neri Parenti (2012)
Televisione
Zelig Off, Programma TV - Italia 1 (2009)
Zelig, Programma TV - Canale 5 (2010)
Avanti un altro!, Programma TV - Canale 5 (2011-)
Italia's Got Talent, Programma TV - Sky Uno (2015) Ospite
fonte: Wikipedia
O SOLE MIO
domenica 24 maggio 2015
Steve McQueen
nato Terence Steven McQueen, è stato un attore statunitense.
È stato uno dei più celebri attori tra gli anni sessanta e gli anni settanta. Famoso per il suo atteggiamento spericolato e da anti-eroe, nonostante sia sempre stato un attore piuttosto problematico per registi e produttori, riuscì sempre ad ottenere ruoli di grande rilievo e ingenti compensi.
Infanzia
Figlio di uno stuntman che abbandonò la moglie, il piccolo Steve, appena nato fu mandato a vivere a Slater, nel Missouri, presso uno zio. All'età di 12 anni tornò a vivere con la madre, che nel frattempo si era trasferita a Los Angeles, in California. A 14 anni era già membro di una gang di strada e la madre si vide costretta a mandare il ragazzo presso una scuola di correzione californiana, la California Junior Boys Republic presso Chino Hills.
Abbandonato l'istituto, McQueen entrò nel corpo dei Marines dove prestò servizio dal 1947 al 1950. Nel 1952, grazie ad un prestito fornito agli ex soldati, iniziò a frequentare i corsi di recitazione presso l'Actor's Studio di Lee Strasberg a New York. Dei 2000 candidati presentatisi alle selezioni, solo lui e Martin Landau riuscirono a entrare nella scuola. Nel 1955 Steve McQueen esordiva a Broadway.
Carriera d'attore
McQueen esordì nel mondo del cinema con un piccolo ruolo nel film Lassù qualcuno mi ama (1956) di Robert Wise, ma la sua prima grande interpretazione può essere considerata quella del cowboy Vin nel western I magnifici sette (1960) di John Sturges, regista che lo aveva precedentemente diretto in un altro suo film, sebbene in un ruolo minore, Sacro e profano (1959). L'anno successivo fu la volta del film bellico L'inferno è per gli eroi (1961) di Don Siegel, in cui ritrovò l'amico James Coburn, con il quale aveva già lavorato ne I magnifici sette, e in cui interpretò il difficile ruolo di John Reese, un ex sergente che viene degradato per insubordinazione e per ubriachezza.
La definitiva consacrazione per McQueen giunse nel 1963 grazie a La grande fuga (1963), sempre diretto da John Sturges, in cui interpretò il ruolo dell'audace e spericolato capitano Virgil Hilts, uno dei personaggi che lo resero maggiormente celebre nel mondo del cinema.
Nel 1965 il regista Norman Jewison lo scritturò per Cincinnati Kid (1965), dove McQueen recitò il ruolo del giocatore di poker Eric Stoner; soddisfatto per l'intensa e carismatica interpretazione dell'attore, Jewison tornerà a dirigerlo tre anni dopo nell'elegante Il caso Thomas Crown (1968), affiancandolo a Faye Dunaway. Nello stesso anno l'attore venne diretto da Peter Yates nel poliziesco Bullitt (1968).
Successivamente, nel 1972, Sam Peckinpah gli propose un ruolo da protagonista nel western moderno L'ultimo buscadero (1972), offerta prontamente accettata da McQueen, che riuscì in modo sorprendente a farsi apprezzare dal regista, tanto da proseguire la collaborazione con lui in un altro ruolo da protagonista, questa volta nel poliziesco Getaway! (1972).
Nel 1973 fu la volta di Papillon (1973), pellicola avventurosa di ambiente carcerario, diretta dal regista Franklin J. Schaffner. Il personaggio di Henri Charrière, un galeotto realmente esistito, nonché autore dell'omonimo romanzo da cui è tratto il film, viene considerata da molti l'interpretazione fisicamente ed esteticamente migliore e più impegnativa di McQueen.
L'anno dopo John Guillermin lo diresse in un ambizioso progetto di genere catastrofico, il kolossal L'inferno di cristallo (1974), accanto a Paul Newman e a William Holden. Nella seconda metà degli anni settanta la carriera dell'attore entrò in una fase di declino. Nel 1980 interpretò Tom Horn nell'omonimo film diretto da William Wiard. La sua ultima apparizione sul grande schermo, prima della sua prematura scomparsa, risale al 1980 ne Il cacciatore di taglie (1980), un poliziesco con sfumature comiche, diretto da Buzz Kulik.
La malattia e la morte
Nel 1979 gli venne diagnosticato un mesotelioma (un tumore della pleura associato all'esposizione all'amianto, subita durante il servizio nei Marines). McQueen morì in una clinica messicana in seguito a due consecutivi attacchi cardiaci, alle 15.45 del 7 novembre 1980, accanto all'ultima moglie e all'istruttore di volo e amico Sammy Mason. Ventiquattro ore prima gli era stato rimosso chirurgicamente un tumore allo stomaco. Fu cremato e le ceneri furono sparse nell'Oceano Pacifico.
Vita privata
Il 2 novembre 1956 ha sposato l'attrice Neile Adams, dalla quale ebbe due figli: Terry (1959-1998, che morirà a soli 38 anni per emocromatosi) e Chad (1960). Nel 1972 i due divorziarono.
Il 31 agosto 1973 McQueen sposò l'attrice Ali MacGraw, che recitò con lui nel film Getaway!. La loro relazione, iniziata dopo che lei aveva abbandonato il marito, il produttore Robert Evans, per sposare McQueen, fu piuttosto tumultuosa e terminò con il divorzio nel 1978.
Il 16 gennaio 1980, dieci mesi prima di morire, McQueen sposò la modella Barbara Minty, di 23 anni più giovane.
Negli anni sessanta ha avuto una relazione con l'attrice Lauren Hutton e agli inizi degli anni settanta con l'attrice Barbara Leigh, di 16 anni più giovane.
Motori
McQueen è ricordato, oltre che per il talento recitativo, anche per la sua passione per le corse, motociclistiche e automobilistiche. Quando ne aveva la possibilità, amava fare a meno di controfigure e appariva egli stesso nelle scene che solitamente venivano affidate agli stuntman.
Le più famose scene motoristiche vennero girate per il film Bullitt e nella sequenza della cattura finale di Hilts ne La grande fuga, quando McQueen cerca di raggiungere la Svizzera a bordo di una motocicletta Triumph TR6 Trophy mascherata come se fosse una BMW bellica. Soltanto la scena dell'ultimo salto sul filo spinato fu eseguita dallo stuntman Bud Ekins. McQueen aveva voluto provare la scena una prima volta, ma finì con una caduta e la produzione, per non rischiare un infortunio, impose alla star di punta di non riprovarci. In tutte le altre scene di inseguimento non vi fu mai il bisogno effettivo di uno stuntman.
Durante la sua carriera cinematografica McQueen si cimentò in parecchie gare e considerò più volte l'ipotesi di abbandonare il cinema per dedicarsi completamente alle corse. Nel 1970 partecipò alle 12 ore di Sebring insieme a Peter Revson con una Porsche 908 spyder (guidandola con un piede fasciato a causa di un precedente incidente motociclistico), arrivando primo nella sua categoria e secondo assoluto a soli 23" dal vincitore Mario Andretti su Ferrari.
Nel 1971 la stessa Porsche 908 fu usata come camera car per girare il film Le 24 Ore di Le Mans. Il film fu un flop al botteghino e costituì un grosso fiasco nella carriera di McQueen, ma a distanza di anni viene ricordato come una realistica testimonianza su uno dei più famosi periodi della storia motoristica e come uno tra i migliori film di corse automobilistiche mai girato. McQueen comunque non partecipò alla 24 ore del 1970 poiché la produzione del film negò il supporto all'attore nel caso in cui egli avesse gareggiato.
L'attore partecipò anche a parecchie gare motociclistiche durante gli anni sessanta e i settanta, a bordo perlopiù di una Triumph Bonneville e di una Triumph 500cc acquistata da Bud Ekins. Tra le altre competizioni prese parte anche alla Baja 1000, alla Mint 400, al Gran Prix di Elsinore e nel 1964 venne scelto per rappresentare gli USA alla International Six Days Enduro (ISDE).
Alla sua morte, la sua collezione di moto comprendeva oltre 100 modelli per un valore di vari milioni di dollari.
Steve McQueen aveva anche avuto la fortuna di possedere alcune tra le più famose auto sportive dell'epoca come ad esempio:
Porsche 908, Porsche 917, Porsche 356 e Porsche 911 S
Ferrari 512 S e Ferrari 250 Lusso Berlinetta (battuta all'asta da Christie's California nell'agosto 2007, per 2,3 milioni di dollari)
Jaguar D-Type XKSS
Con suo grande dispiacere invece McQueen non riuscì mai a venire in possesso della Ford Mustang GT utilizzata nel film Bullitt. Secondo il regista del film infatti, nessuna delle due auto (ancora oggi esistenti) utilizzate per le riprese è mai stata posseduta dall'attore. Negli anni novanta, all'uscita in commercio della Ford Puma, un suggestivo fotomontaggio fece sì che McQueen la guidasse nello spot pubblicitario: nella sequenza si vede l'attore guidare la Puma per le strade californiane, e poi deporla in una autorimessa insieme ad una replica della moto utilizzata ne La grande fuga e alla Ford Mustang Gt del 1968. Un attimo dopo tutto sparisce e resta solo la Puma.
Filmografia
Cinema
Girl on the Run, regia di Arthur J. Beckhard e Joseph Lee (1953) - Non accreditato (comparsa)
Lassù qualcuno mi ama (Somebody Up There Likes Me), regia di Robert Wise (1956) - Non accreditato
Autopsia di un gangster (Never Love a Stranger), regia di Robert Stevens (1958)
Blob - Fluido mortale (The Blob), regia di Irvin S. Yeaworth Jr. (1958)
Gli occhi del testimone (The Great St. Louis Bank Robbery), regia di Charles Guggenheim e John Stix (1959)
Sacro e profano (Never So Few), regia di John Sturges (1959)
I magnifici sette (The Magnificent Seven), regia di John Sturges (1960)
Per favore non toccate le palline (The Honeymoon Machine), regia di Richard Thorpe (1961)
L'inferno è per gli eroi (Hell Is for Heroes), regia di Don Siegel (1962)
Amante di guerra (The War Lover), regia di Philip Leacock (1962)
La grande fuga (The Great Escape), regia di John Sturges (1963)
Soldato sotto la pioggia (Soldier in the Rain), regia di Ralph Nelson (1963)
Strano incontro (Love with the Proper Stranger), regia di Robert Mulligan (1963)
L'ultimo tentativo (Baby the Rain Must Fall), regia di Robert Mulligan (1965)
Cincinnati Kid (The Cincinnati Kid), regia di Norman Jewison (1965)
Nevada Smith, regia di Henry Hathaway (1966)
Quelli della San Pablo (The Sand Pebbles), regia di Robert Wise (1966)
Il caso Thomas Crown (The Thomas Crown Affair), regia di Norman Jewison (1968)
Bullitt, regia di Peter Yates (1968)
Boon il saccheggiatore (The Reivers), regia di Mark Rydell (1969)
Il rally dei campioni (On Any Sunday), regia di Bruce Brown (1971)
Le 24 Ore di Le Mans (Le Mans), regia di Lee H. Katzin (1971)
L'ultimo buscadero (Junior Bonner), regia di Sam Peckinpah (1972)
Getaway! (The Getaway), regia di Sam Peckinpah (1972)
Papillon, regia di Franklin J. Schaffner (1973)
L'inferno di cristallo (The Towering Inferno), regia di John Guillermin (1974)
Dixie Dynamite, regia di Lee Frost (1976) - Non accreditato
Il nemico del popolo (An Enemy of the People), regia di George Schaefer (1978)
Tom Horn, regia di William Wiard (1980)
Il cacciatore di taglie (The Hunter), regia di Buzz Kulik (1980)
Televisione
Goodyear Television Playhouse: # 4.3 (ep. The Chivington Raid) (1955)
The United States Steel Hour: # 3.14 (ep. Bring Me a Dream) (1956)
Studio One: # 9.20 - # 9.21 (ep. The Defender: Part 1; The Defender: Part 2) (1957)
West Point: # 1.23 (ep. Ambush) (1957)
The 20th Century-Fox Hour: # 2.16 (ep. Deep Water) (1957)
The Big Story: # 8.25 (ep. Malcolm Glover of the San Francisco Examiner) (1957)
Climax!: # 4.17 (ep. Four Hours in White) (1958)
Tales of Wells Fargo: # 2.23 (ep. Bill Longley) (1958)
Trackdown: # 1.21 (ep. The Bounty Hunter); # 1.31 (ep. The Brothers) (1958)
Alfred Hitchcock presenta (Alfred Hitchcock presents): # 4.32 (ep. Human Interest Story) (1959); # 5.15 (ep. Man from the South) (1960)
Ricercato vivo o morto (Wanted: Dead or Alive): 94/94 episodi (1958 - 1961)
Opere dedicate
Steve McQueen è il titolo di un album pubblicato negli anni '80 dal gruppo inglese Prefab Sprout.
Steve McQueen è il titolo di una canzone della cantautrice statunitense Sheryl Crow, secondo singolo estratto dall'album C'mon C'mon pubblicato nel 2002, valse alla cantante un Grammy come Best Female Rock Vocal Performance.
Steve McQueen è il titolo di una canzone del gruppo elettronico francese M83, inserita nell'album Hurry Up, We're Dreaming, uscito nel 2011.
L'orologio Rolex Mod. Explorer II, ref. 1655, è usualmente denominato Steve Mc.Queen, però non esistono documenti che provino che l'attore ne abbia mai indossato uno, a differenza del modello Rolex Submariner ref. 5512 che appare al polso destro dell'attore sia durantre le riprese (The hunter- Il Cacciatore di taglie), sia in molte foto che lo ritraggono nella vita privata.
Steve McQueen è citato nella canzone di Vasco Rossi Vita spericolata.
Steve McQueen è citato ancora una volta da Vasco Rossi nella canzone Un gran bel film.
Saetta McQueen è il nome (ispirato all'attore nonché pilota automobilistico) della macchina da corsa protagonista del cartone targato Disney, Cars.
Film biografico
Nel marzo 2015 viene annunciata la realizzazione di un film biografico, grazie a un accordo tra la Lake Forerst Entertainment e la The Exchange. Il titolo provvisorio sembra essere, semplicemente, McQueen, e sarà in parte basato su una biografia del 2010 scritta da Marshall Terrill e intitolata “Steve McQueen: The Life and Legend of a Hollywood Icon”. Ma, secondo il produttore Graham Kaye, nel film ci sarà anche qualcosa che è accaduto nella vita dell’attore e che è stato tenuto segreto per molto tempo: qualcosa di scoperto grazie ai diari dell’infermiera che si prendeva cura di lui nella fase finale della sua vita, mentre cercava di prolungare con terapie alternative la lotta contro il cancro che perse a soli 50 anni.
Doppiatori italiani
Cesare Barbetti in Lassù qualcuno mi ama, Sacro e profano, Per favore non toccate le palline, Soldato sotto la pioggia, Cincinnati Kid, Nevada Smith, Quelli della San Pablo, Boon il saccheggiatore, Le 24 Ore di Le Mans, Getaway!, Papillon, Un nemico del popolo
Rino Bolognesi in Ricercato: vivo o morto
Gianfranco Bellini in Gli occhi del testimone
Pino Locchi in Blob - Fluido mortale, I magnifici sette, L'inferno è per gli eroi, L'ultimo tentativo
Nando Gazzolo in Amante di guerra
Giuseppe Rinaldi in La grande fuga, Il cacciatore di taglie
Gigi Pirarba in Il caso Thomas Crown
Michele Kalamera in Bullitt
Pino Colizzi in L'ultimo buscadero
Sergio Rossi in L'inferno di cristallo
Renzo Stacchi in Tom Horn
Luigi La Monica in L'inferno di cristallo (ridoppiaggio DVD)
fonte: Wikipedia
venerdì 22 maggio 2015
Metropolis
Metropolis è un film muto del 1927 diretto da Fritz Lang, considerato il capolavoro del regista austriaco. È tra le opere simbolo del cinema espressionista ed è universalmente riconosciuto come modello di gran parte del cinema di fantascienza moderno, avendo ispirato pellicole quali Blade Runner e Guerre stellari.
Fu proiettato per la prima volta il 10 gennaio 1927 all'Ufa-Palast am Zoo di Berlino.
Trama
Il funzionamento di Metropolis
Ben prima di George Orwell e del suo romanzo 1984, Lang ipotizza un possibile 2026, esattamente 100 anni di distanza da quello di produzione del film, nel quale le divisioni classiste sembrano accentuarsi; negli sfavillanti grattacieli di Metropolis, infatti, vivono gli industriali, i manager, i ricchi e nel sottosuolo vivono gli operai confinati in un ghetto, di cui i ricchi sembrano neanche ricordarsi. Il capo di tutto questo è l'imprenditore-dittatore Joh Fredersen, che vive in cima al grattacielo più alto, che termina con una serie di rostri, usati come piste di atterraggio per aerei; suo figlio Freder vive in un irreale giardino eterno, popolato da sensuali fanciulle. Improvvisamente irrompe nel giardino l'insegnante e profeta Maria, accompagnata dai figli degli operai, che lo invita a guardare i "suoi fratelli", in un forte campo-controcampo a 180º.
Freder rimane così colpito dalla visita di questa donna, che decide di visitare il sottosuolo e immediatamente si rende conto delle condizioni disumane in cui sono costretti a lavorare gli operai, i quali anche se stremati non possono commettere il minimo errore, pena l'esplosione della macchina di cui si occupano e la morte dei meno fortunati, evento a cui Freder assiste. Ancora in preda alle allucinazioni, dovute allo scoppio e ai fumi fuoriusciti, vede la macchina come un grande Moloch che ingoia le sue vittime umane (il riferimento è al film Cabiria, del 1914). Sconvolto da tanto orrore e brutalità decide di parlarne con suo padre per far cambiare le cose.
Il padre si preoccupa solo della minaccia che l'incidente può costituire per il suo potere.
Freder e Maria
Il responsabile delle macchine Grot porta delle mappe trovate nei vestiti degli operai morti. Fredersen licenzia l'assistente Josaphat per non avergli riferito in tempo dell'incidente e delle mappe trovate in tasca agli operai. Il figlio, disapprovando la scelta del padre, rincorre l'assistente e lo salva dal suicidio; con questa sequenza inizia il viaggio di Freder nei sobborghi di Metropolis, tra i suoi fratelli. Fredersen fa seguire il figlio da una spia, lo Smilzo.
Freder decide di fingersi operaio per vivere sulla propria pelle le fatiche dei lavoratori, regala i vestiti a 11811, un operaio sfinito dalla fatica, e lo sostituisce alla macchina: il suo lavoro è quello di spostare continuamente le lancette su una ruota in maniera da unire due luci che si illuminano sul bordo. In una visione la sua macchina si trasforma in un enorme quadrante di orologio che segna dieci ore, le dieci ore del turno di lavoro, e quando sta per terminare sembra tornare minacciosamente indietro. Ben presto Freder si rende quindi conto delle condizioni disumane in cui sono costretti a lavorare i dipendenti di suo padre, costretti a sopportare calore, fumi e orari impossibili che lo fiaccano alla soglia dello svenimento. Intanto un operaio con aria cospiratrice non riconosce Freder e gli dà appuntamento alla fine del turno nel sottosuolo perché una "lei" li vuole vedere.
Questa donna è Maria, che accoglie gli operai sfiniti dal lavoro raccontando la storia della torre di Babele, che simboleggia la Metropolis costruita dalle loro braccia per farci abitare i ricchi, così come la torre di Babele fu costruita per avvicinarsi al cielo dagli schiavi.
Maria predica la pace futura e l'avvento di un mediatore che porrà fine alle iniquità perpetrate dai capitalisti sugli operai. Questi però, sfiniti dalla dura giornata lavorativa, ascoltano con malavoglia le parole di Maria e uno di loro a gran voce dice che non aspetteranno ancora per molto. Mentre gli operai se ne vanno, Freder rimane inginocchiato, estasiato dalle parole di Maria tanto da innamorarsene, e questo amore viene ricambiato dalla giovane ragazza, che lo bacia e gli dà appuntamento alla cattedrale per il giorno dopo.
Il rapimento
Nel frattempo il padre di Freder fa visita all'inventore delle macchine di Metropolis, Rotwang, che vive da solo, struggendosi per la perdita di Hel, la madre di Freder morta di parto, che scelse Fredersen al suo posto. Rotwang ha progettato un uomo-macchina (un robot), in grado di sostituire in tutto l'uomo. Questo robot sembra avere un corpo da donna, e proprio una donna diventerà poiché l'inventore è capace di trasformare quell'ammasso di metallo in una figura indistinguibile da una persona in carne e ossa.
Fredersen chiede all'inventore cosa rappresentino le mappe trovate in tasca agli operai: l'inventore capisce che si tratta delle catacombe, situate ad un terzo livello della città, al di sotto delle abitazioni dei lavoratori. Facendogli segno di seguirlo, lo conduce attraverso un intricato percorso che li porterà ad ascoltare il discorso di Maria. Fredersen capisce che il figlio non aveva tutti i torti quando parlava di possibili rivolte operaie e decide pertanto di prendere le contromisure, incaricando l'inventore di rapire Maria per dare al robot le sue sembianze, in modo da poter controllare i malumori degli operai attraverso la predicazione di una falsa Maria.
L'inventore rapisce la donna e, per mezzo di un congegno basato su onde elettromagnetiche, copia l'esteriorità di Maria e la trasferisce al robot, HEL.
Il robot
La Maria-robot viene inviata in un postribolo della zona dei divertimenti di Metropolis, Yoshiwara, alla presenza dell'aristocrazia di Metropolis, esibendosi in uno spogliarello in cui mette a nudo le grazie ricevute dalla Maria-umana; il pubblico, tutto maschile, rimane a bocca aperta per la bellezza della donna e si scatena in contese e follie dettate dalla lussuria senza freno della donna robot, incarnazione della meretrice di Babilonia. Nella scena la finta Maria appare a cavallo di un mostro che evoca l'Apocalisse di Giovanni.
Il giovane Freder, dopo aver scoperto il robot nell'ufficio del padre e convinto che sia la vera Maria, si ammala e cade preda di terribili allucinazioni. Maria in realtà è ancora nella casa di Rotwang, dove quest'ultimo le confessa di aver programmato il robot affinché esso spinga gli operai a distruggere le macchine, contravvenendo per vendetta alle istruzioni di Fredersen, suo antico rivale in amore; quindi le intima di rimanere con lui. La Maria-robot aizza gli operai a cui non par vero di iniziare la "rivoluzione": solo Freder (con l'aiuto di Josaphat) capisce immediatamente che colei che sta parlando non è la vera Maria, ma non viene creduto perché viene riconosciuto come Freder, il figlio del padrone e per questo viene picchiato e scacciato dal sottosuolo.
Gli operai si ribellano, fuoriescono in massa dal sottosuolo. Maria-robot stessa incita a non lasciare indietro né uomini né donne. Fredersen, avvisato da Grot della situazione, dà ordine di aprire i cancelli e lasciare arrivare la folla alla macchina del cuore (Herzmaschine), il generatore che alimenta la città. La distruzione del generatore causerebbe l'allagamento del sottosuolo, e quindi delle case degli stessi insorti. La falsa Maria, alla testa dei ribelli, sovraccarica il generatore, che esplode.
La ribellione
Metropolis, regno del lusso e del benessere, collassa: il maestoso sistema d'illuminazione cessa di funzionare e le ripide strade della città divengono un cimitero di lamiere. Fredersen si rende conto di quanto sta accadendo dopo essersi recato a casa di Rotwang per ricevere consiglio ed aver scoperto il piano di distruzione di quest'ultimo: preso dalla disperazione, tramortisce lo scienziato, permettendo così a Maria di fuggire e di salvare, assieme a Freder, i bambini imprigionati nel sottosuolo allagato.
Fredersen è disperato per la perdita del figlio, e lo Smilzo gli ricorda che all'indomani dovrà rendere conto a migliaia di persone infuriate di quello che è successo ai loro figli nella città sotterranea.
Maria discende nella città sotterranea per cercare di sedare la ribellione, ma rimane isolata dalla caduta degli ascensori causata dall'esplosione.
La vendetta e la pacificazione
Intanto gli operai, felici per aver distrutto le cause della loro oppressione, ballano e cantano intorno alle macchine; a ricondurli alla ragione ci pensa il guardiano della macchina centrale Grot, che ricorda loro di non aver pensato alle conseguenze del loro operato, ovvero che con la distruzione delle macchine le loro case si sarebbero allagate e all'interno di esse vi erano i loro bambini.
Anche gli operai, dopo aver ascoltato le parole del capo-operaio, cadono in uno stato di prostrazione e in preda al furore vendicativo decidono di punire colei che li ha spinti alla rivolta, Maria. Inizialmente viene catturata la vera Maria, che riesce a fuggire nascondendosi a Yoshiwara. Per un fortunato scambio i ribelli catturano la Maria-robot che viene legata a un palo e bruciata come una strega, tra le urla di Freder, trattenuto a stento dalla folla assetata di vendetta, il quale crede sia la sua amata; di sangue però non ne scorre, poiché "sciolta" l'esteriorità di Maria, rimane il metallo lucido del robot tra lo stupore e lo spavento dei carnefici.
La vera Maria viene nuovamente catturata da Rotwang intenzionato a ucciderla per paura che gli operai scoprano il suo piano e lo uccidano a sua volta. Maria riesce a liberarsi ma egli la insegue fino alla terrazza della cattedrale gotica. Freder li segue e si scaglia contro l'inventore per salvare Maria, la quale viene portata da Rotwang sopra il tetto a spiovente. Nel frattempo Fredersen giunge alla piazza e assiste a tutta la scena, con la paura che il figlio possa essere scaraventato a terra dall'inventore; fortunatamente Freder riesce a spuntarla e a morire è Rotwang, che precipita dalla cattedrale. La sequenza finale segna l'intesa tra gli operai e il padrone avvenuta tramite Freder, il mediatore profetizzato da Maria che finalmente è arrivato a portare pace ed armonia tra le genti.
Il finale del film, scritto da Thea von Harbou, venne in seguito ripudiato da Lang. Quello scritto da Lang avrebbe visto i due innamorati partire su un razzo, mentre la città veniva distrutta dagli sconvolgimenti della ribellione.
Produzione
L'ispirazione per Metropolis deriva da un'esperienza personale di Lang. Mentre stava arrivando negli Stati Uniti per la prima di I Nibelunghi, Lang rimase colpito e impressionato dalla vista notturna di New York e del suo skyline.
La produzione impegnò la troupe per diciannove mesi: trecentodieci giorni di riprese e sessanta notti furono necessarie per produrre 600.000 metri di pellicola. Erich Pommer e la casa di produzione UFA non badarono a spese per la lavorazione, assoldando 36.000 comparse.
La lavorazione si protrasse dal 22 maggio 1925 al 30 ottobre 1926. Vennero girati 620.000 metri di negativo, e impiegati (secondo la pubblicità) 8 attori di primo piano, 25.000 uomini, 11.000 donne, 1.100 calvi, 750 bambini, 100 uomini di colore, 3.500 paia di scarpe speciali, 50 automobili.
L'investimento superò i 5 milioni di marchi tedeschi di allora.
Queste spese non vennero coperte dagli introiti della distribuzione, tanto che la UFA andò in bancarotta: Alfred Hugenberg, editore e membro del Partito Nazista, comprò la casa di produzione trasformandola in parte nella macchina propagandistica del nazismo.
Sceneggiatura
La sceneggiatura di Metropolis fu scritta da Fritz Lang e da sua moglie, Thea von Harbou, un'attrice tedesca. Essa deriva da un romanzo scritto dalla Harbou al solo scopo di essere utilizzato per una pellicola. Il romanzo uscì in serie sul periodico Das Illustrierte Blatt.
La Harbou e Lang collaborarono dunque alla sceneggiatura derivata dal romanzo; dalla trama furono rimosse varie parti originali e temi presenti nel romanzo, compresa la maggior parte dei riferimenti alla magia e all'occulto.
La sceneggiatura fu più volte riscritta, e ad un certo punto contenne un finale dove Freder avrebbe volato verso le stelle; questo elemento narrativo diventerà più tardi la base di un altro film di Lang, Una donna nella luna.
Riprese
Il film è costruito come un'opera lirica ed è diviso in tre parti: il "Prologo", che dura per l'intera prima metà del film, un breve "Intermezzo" e un "Furioso", che segna le scene finali.
Dal punto di vista tecnico, nel 1927 Metropolis era un film all'avanguardia. In esso vennero utilizzate tecniche di ripresa strabilianti per l'epoca, tra le quali spiccava l'introduzione del cosiddetto effetto Schüfftan, dal nome del fotografo Eugen Schüfftan, che permetteva la creazione di mondi virtuali a costi relativamente bassi. Si trattava di una proiezione di fondali dipinti, tramite un sistema di specchi inclinati a 45 gradi; lo specchio poteva essere grattato in una o più parti, in modo che lo sfondo comparisse solo in alcuni punti della pellicola, curando nel dettaglio la profondità di campo. Nelle restanti parti si potevano poi usare scenografie tradizionali ed attori in carne ed ossa, con uno straordinario effetto di realtà. Questa tecnica venne usata, ad esempio, per creare l'enorme stadio di Metropolis (effetto Schüfftan nella parte alta e veri corridori nella parte bassa), la città dei lavoratori, la torre di Babele o le viste aeree di Metropolis.
In Metropolis si registra inoltre l'introduzione nel cinema d'autore del passo uno, ovvero le riprese effettuate per singoli fotogrammi. Non esistendo tecniche di editing adatte, le scene con esposizioni multiple sono state realizzate direttamente sul posto, riavvolgendo la pellicola e filmandovi sopra più volte, in alcuni casi anche per trenta passaggi. Questa tecnica era delicata, in quanto un solo errore avrebbe compromesso tutto il lavoro. Tra le scene più complesse quella degli occhi spalancati e sovrapposti nel bordello di Yoshiwara, che rappresenta la libidine degli uomini attratti dall'esibizione della finta Maria.
Essenziale nella cinematografia di Lang è la composizione dell'inquadratura, che crea un vero e proprio universo visionario senza però ostacolare la narrazione della storia. Lang fu anzi un maestro nel raggiungere un perfetto punto di equilibrio tra storia narrata, che scorre chiara e forte, e l'uso di effetti speciali ricchi di immagini travolgenti e simboliche.
Accoglienza e critica
Il film non ebbe grande successo in Europa, ma negli Stati Uniti, al Rialto di New York, alla prima nazionale si presentarono oltre 10.000 persone.
Nonostante la reputazione ottenuta negli anni successivi, Metropolis fu fortemente criticato da alcuni nel periodo della sua uscita. Il critico del New York Times Mordaunt Hall lo definì «a technical marvel with feet of clay» («una meraviglia tecnologica con i piedi di argilla»), H. G. Wells lo definì «the silliest film» («il film più sciocco»), mentre Luis Buñuel lo definì «retorico, banale, intriso di romanticismo superato».
Adolf Hitler amava Metropolis e lo considerava uno dei suoi film preferiti, come altre opere di Lang.
Il valore culturale e tecnico del film lo ha portato ad essere stato il primo film inserito nel registro Memoria del mondo, un progetto dell'UNESCO nato nel 1992 per salvaguardare le opere documentarie più importanti dell'umanità.
Versioni
Esistono diverse versioni del film, che si differenziano per durata e montaggio. Lang montò una prima versione nel 1927, che venne subito accorciata dallo stesso di oltre trenta minuti. In seguito furono distribuite altre versioni. Una prima versione restaurata è quella di Enno Patalas, operata nel 1984 per la Cineteca di Monaco, di 147 minuti.
Esistono inoltre del film una versione di 87 minuti a colori, ridoppiata e con colonna sonora rock, realizzata nel 1984 dal musicista Giorgio Moroder e intitolata Giorgio Moroder presents Metropolis. e un'altra doppiata e dotata di colonna sonora da Philip Glass. Nel 2000 anche Jeff Mills, uno dei massimi esponenti della scena techno mondiale, ha composto una sua personale colonna sonora per la pellicola.
Una versione restaurata è stata edita nel 2001 per il mercato home video.
Il 2 luglio 2008 a Buenos Aires fu ritrovata una bobina presso un collezionista privato in cui era presente il 95% del materiale altrimenti mancante altrove, poiché perduto durante la seconda guerra mondiale. Infatti si riteneva che dell'originale Metropolis sopravvivessero solo tre quarti del negativo ed alcune copie d'epoca di versioni ridotte. Le scene ritrovate sono state prese in custodia dalla Fondazione Friedrich Wilhelm Murnau in Germania, che le ha reintegrate nella pellicola presentando il film completo con orchestrazione dal vivo al 60° Festival internazionale del cinema di Berlino il 12 febbraio 2010. In Italia questa versione, la più completa con i suoi 148 minuti, è uscita in DVD e Blu-Ray il 23 febbraio 2011, distribuita dalla Medusa. Nel marzo 2015, a cura della cineteca di Bologna, il film è stato proiettato in 70 sale italiane e ne è stato distribuito un cofanetto con due DVD e un libro (nel secondo DVD due documentari sul ritrovamento in Argentina di 25 minuti di pellicola ritenuti perduti e il restauro avvenuto in Germania).
Influenza culturale
Il film è il primo modello per tutta la cinematografia fantascientifica e nel tempo sono state moltissime le citazioni e omaggi, soprattutto in epoca contemporanea.
Tra i tanti film famosi di fantascienza che citano o si ispirano a questa pellicola si ricordano Blade Runner, Terminator, Brazil, La vita futura, Guerre stellari, Agente Lemmy Caution, missione Alphaville Il quinto elemento, RoboCop e Matrix.
Il fumettista giapponese Osamu Tezuka ha creato nel 1949 un manga intitolato Metropolis che ha alcuni temi in comune con il film di Lang, anche se lo stesso Tezuka ha dichiarato che l'idea per il manga gli è venuta dopo aver visto solo un'immagine del film. Esiste un film d'animazione giapponese del 2001 ispirato al manga di Tezuka, intitolato anch'esso Metropolis.
Superman, il supereroe dei fumetti della DC Comics, vive in una grande città chiamata Metropolis.
Brani del film sono inoltre contenuti nel video musicale di Radio Ga Ga dei Queen e Love Kills di Freddie Mercury (quest'ultimo brano è a sua volta presente nella colonna sonora della versione del film di Giorgio Moroder), nel videoclip di Haddaway Life, che si ispira alla scena in cui viene fatto il clone meccanico di Maria, nel video di Madonna Express Yourself (1989), che riprende le scenografie del film, nel videoclip dei Lotus Eaters It Hurts, in cui vengono mostrate diverse scene chiave del film e più recentemente anche nei video di Lady Gaga.
fonte: Wikipedia
FILM COMPLETO
chi è Dio?
Dio esiste? Vi sono molti credenti monoteisti - cristiani, mussulmani, ebrei - i quali appunto credono che Dio esista solo perché l'hanno letto in qualche libro cosiddetto “sacro” o perché glielo hanno insegnato sin da quando erano bambini. Così loro non hanno dubbi che la Bibbia, il Corano o la Torah, sia indiscutibilmente “la parola di Dio”, e che quindi il dio lì descritto, con tutte le sue contraddizioni e le sue assurdità debba esistere realmente.
D'altro canto vi sono poi una minoranza di atei, i quali, al contrario, sono assolutamente certi che Dio non esista. Alcuni di questi si spingono addirittura a pretendere di dimostrare l'inesistenza di Dio con argomenti pseudoscientifici o pseudologici, sostenendo che date le incoerenze dei testi cosiddetti “sacri” allora nessun dio possa esistere (come se l'unico dio possibile sia appunto quello antropomorfo descritto in tali testi), oppure che dato che la scienza permette di misurare le cose materiali allora debba necessariamente poter misurare anche il Creatore, ma non si rendono neanche conto dell'erroneità di base dei loro ragionamenti.
Almeno gli agnostici, cioè coloro che dicono: “Non diciamo nulla, perché non possiamo saperlo” fanno una figura decisamente migliore.
Vi sono un'infinità di cose che gli strumenti scientifici non possono misurare o rilevare, come ad esempio i sentimenti, l'amore, i pensieri, i desideri, le passioni, gli stati d'animo, eppure tutti sanno che esistono perché le sentono, le vedono anche se nessuno strumento scientifico è capace di farlo. Chi sostenesse che sono illusioni solo perché non sono rilevabili o spiegabili scientificamente si coprirebbe di ridicolo. Non è molto differente da chi pretende di mettere Dio sotto il microscopio o di volerlo spiegare con le leggi della fisica.
Come per sapere che i sentimenti o le anime esistono non abbiamo bisogno di strumenti scientifici (né servirebbero a nulla in questo caso), così non abbiamo bisogno di strumenti per sapere se Dio o gli spiriti esistono. L'intelligenza dell'essere umano è l'unico strumento che ci serve! Occorre solo aprire la mente a 360 gradi e ragionare con la logica, abbandonando ogni preconcetto o pregiudizio.
Ragioniamo con la mente aperta: se voi passeggiate in una bellissima foresta incontaminata dall'uomo e a un tratto, in mezzo alle meraviglie della natura, vi imbattete in un sofisticato telefonino, cosa pensate? Che quella combinazione di atomi di plastica, metallo, silicio e vetro siano una combinazione casuale della Natura, del brodo primordiale, oppure pensate che è un prodotto dell'intelligenza umana? Voi direte certamente che se anche in teoria esistesse una remotissima infinitesimale probabilità su miliardi di miliardi che quel telefonino fosse un prodotto del puro caso, è infinitamente più probabile che sia invece un prodotto dell'ingegno umano. Perché? Perché in esso avete riconosciuto un segno inequivocabile di una intelligenza elevata, la quale ha costruito quell'oggetto seguendo criteri precisi, che appunto sono caratteristici e propri dell'intelligenza, non del caso.
Bene. Ora, guardatevi intorno, guardate le meraviglie della Natura, dalla più piccola cellula fino al corpo umano. Dal più piccolo insetto fino agli organismi più grandi. Ebbene, non riconoscete da nessuna parte neppure il più piccolo segno di intelligenza? Pensate davvero che tutto quello che vi è sulla Terra sia semplicemente il frutto casuale e fortuito di un brodo primordiale di atomi che vagavano a casaccio? Diciamo che ci sono le stesse probabilità che un branco di scimmie impazzite, digitando a caso su una tastiera, possano scrivere per puro caso la Divina Commedia o una melodia di Mozart. Semplicemente ridicolo. Non riconoscere alcun segno di intelligenza osservando le meraviglie della Natura è esattamente come non riuscire a sentire alcuna nota ascoltando una musica splendida e dire che è solo rumore. Oppure ancora qualcuno potrà dire, con la caratteristica presunzione umana, che tutte queste meraviglie naturali non sono poi così "intelligenti", non sono così “perfette”. Bene. Allora perché l'essere umano, con la sua intelligenza superiore, non è neppure in grado, con tutta la sua scienza, di rendere vivo neppure un essere vivente, neppure tra quelli più elementari, senza fare ricorso alla Natura?
Allo stesso modo non dobbiamo credere in Dio perché così è scritto in qualche testo cosiddetto “sacro”, pieno di mille contraddizioni e assurdità, scritto da uomini migliaia di anni fa (Gesù stesso ci spiegava di non fare questo errore nel Vangelo), espressione di un’arcaica civiltà pastorale e patriarcale. Ma dobbiamo credere in quello che vediamo, quello che sentiamo e in quello che capiamo. Non lo vedete? Non lo sentite? Non lo capite? Perché allora oltre il 90 per cento delle persone vede, sente e capisce? O sono tutti sciocchi visionari in un'allucinazione collettiva (come sostengono gli atei) oppure vuol dire che sono gli atei a non avere i “sensi” sufficientemente sviluppati. Esattamente come in un popolo dove il 90 per cento vede e il 10 per cento sono ciechi e dicono: “quello che vedete non esiste perché noi non vediamo niente”. Chi ha ragione? Semplice: se i vedenti affermano di vedere le stesse cose, allora è molto probabile che siano i ciechi a sbagliarsi come nel caso di qualche traduttore di cosiddetti “testi sacri” o meglio manipolatore e improvvisato tuttologo extraterrestre.
fonte: sulatestagiannilannes.blogspot.it
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