Lorenzo il Magnifico discendeva direttamente dalla linea di sangue reale Inca. Era un meticcio: metà italiano (fiorentino) e metà andino. E la vera origine – occultata – del gran signore di Firenze, massimo promotore del Rinascimento italiano, dimostra una verità che ancora non si vuole ammettere, anche se sta ormai emergendo. Quale? Eccola: le maggiori signorie italiane rinascimentali (non solo Firenze, ma anche Milano e altre) erano in strettissimo contatto con le potenze d’oltreoceano. Legami pericolosi, per la Chiesa dell’epoca, perché rischiavano di demolire la teologia cristiana e il potere ecclesiastico, ripristinando l’antica conoscenza universale racchiusa nel culto solare, a cui sarebbe ispirata la stessa urbanistica rinascimentale, che nelle piazze italiane avrebbe riprodotto le piazze cerimoniali incaiche. E’ la tesi sostenuta da uno straordinario ricercatore come Riccardo Magnani, autore nel 2020 del saggio “Ceci n’est pas Leonardo” (ovvero, “Quello che non vi dicono su Leonardo da Vinci e il Rinascimento”).
La stessa spedizione di Colombo del 1492, da cui si pretende inizi 
l’era moderna, secondo Magnani sarebbe un’invenzione storica: un 
escamotage del Vaticano per poi aprire la strada alla sanguinosa 
conquista cristiana delle Americhe, allo scopo di spezzare il legame con
  l’élite
 europea allora incarnata dalle signorie italiane come quella medicea. 
L’analisi di Magnani, tra le altre cose, ha il pregio di accendere i 
riflettori su dettagli che, in realtà, sono da sempre sotto gli occhi di
 tutti, benché sembra che si faccia finta di non vederli. Uno di questi è
 la presenza della “mascapaicha”, tradizionale copricapo Inca, nei 
dipinti della corte medicea (ben prima dell’ipotetica missione delle 
famose caravelle). «Fino ad oggi – scrive Magnani sul “Wall Street International Magazine”
 – nessuno ha posto l’accento sul fatto che, tra le innumerevoli 
evidenze contenute nell’arte rinascimentale, a rivelarci l’esistenza di 
numerosi viaggi in America (di gran lunga anteriori a quello presunto di
 Cristoforo Colombo) vi sia un antico simbolo regale e sacerdotale del 
popolo Inca, costituito da tre piume da portare in capo».
l’élite
 europea allora incarnata dalle signorie italiane come quella medicea. 
L’analisi di Magnani, tra le altre cose, ha il pregio di accendere i 
riflettori su dettagli che, in realtà, sono da sempre sotto gli occhi di
 tutti, benché sembra che si faccia finta di non vederli. Uno di questi è
 la presenza della “mascapaicha”, tradizionale copricapo Inca, nei 
dipinti della corte medicea (ben prima dell’ipotetica missione delle 
famose caravelle). «Fino ad oggi – scrive Magnani sul “Wall Street International Magazine”
 – nessuno ha posto l’accento sul fatto che, tra le innumerevoli 
evidenze contenute nell’arte rinascimentale, a rivelarci l’esistenza di 
numerosi viaggi in America (di gran lunga anteriori a quello presunto di
 Cristoforo Colombo) vi sia un antico simbolo regale e sacerdotale del 
popolo Inca, costituito da tre piume da portare in capo».
Ufficialmente, scrive, le tre piume su mazzocchio vengono iscritte 
tra le imprese familiari del primo Rinascimento a partire da quella 
personale di Cosimo il Vecchio, che si vuole esser stata inserita per la
 prima volta nel tempietto del Santo Sepolcro: un edificio collocato 
nella cappella ancora oggi consacrata e annessa alla ex chiesa di San 
Pancrazio, accanto alla Basilica di Santa Maria Novella a Firenze. «Il 
tempietto, posizionato nel Sacello che si ispira al modello della 
Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, è costruito su progetto di 
Leon Battista Alberti e raccoglie le spoglie del suo committente, 
Giovanni di Paolo Rucellai, morto nel 1481». Le magnifiche tarsie che 
decorano le pareti esterne del sacello del Santo Sepolcro – continua 
Magnani – presentano le formelle istoriate che riportano gli stemmi 
araldici di  Lorenzo
 il Magnifico, Cosimo il Vecchio e Piero il Gottoso. Lo stemma di 
Giovanni Rucellai, il committente, «rappresenta una vela spiegata al 
vento, con le sartie sciolte, forse proprio a intendere l’uso alla 
navigazione transoceanica».
Lorenzo
 il Magnifico, Cosimo il Vecchio e Piero il Gottoso. Lo stemma di 
Giovanni Rucellai, il committente, «rappresenta una vela spiegata al 
vento, con le sartie sciolte, forse proprio a intendere l’uso alla 
navigazione transoceanica».
Iniziato nel 1457, il tempietto venne completato nel 1467. Non è neppure la prima volta che le tre piume vengono associate al “Pater Patriæ” fiorentino: esiste infatti un dipinto antecedente al tempietto – spiega lo studioso – in cui ritroviamo Cosimo il Vecchio associato a questo particolarissimo ornamento: siamo nella Cappella dei Magi del palazzo di famiglia, Palazzo Medici Riccardi in Via Larga a Firenze. «Qui, nel 1459 Benozzo Gozzoli dipinge il Corteo dei Magi, un affresco che tra le pieghe della sua rappresentazione risulta celebrativo proprio dei primi viaggi in America». L’opera celebra anche i personaggi che, a vario titolo, «si legarono alla famiglia de’ Medici in questa avventura, che condurrà in seguito Sisto IV e molti suoi alleati a ordire la Congiura dei Pazzi», delineando una palese ostilità tra la potenza romana e quella fiorentina. Il pretesto iconografico di questo decisivo ciclo di affreschi, ricorda Magnani, è quello dei festeggiamenti che la città di Firenze riservò a Mattia Corvino, eletto in quell’anno Re d’Ungheria, che proprio per questo guida il corteo a cavallo.
Secondo Magnani, è palesemente errata l’interpretazione data finora 
dagli storici dell’arte, che lo identificano con un ritratto poco 
realistico di Lorenzo il Magnifico, forse in un tentativo di esaltarne 
la bellezza e la magnificenza. «Nonostante la presenza in questi 
affreschi dei molti bizantini che parteciparono al Concilio di Firenze –
 dice il ricercatore – è da ritenersi che i Magi a cui il corteo 
nominalmente si riferisce siano proprio i Magiari», cioè gli ungheresi, 
«guidati dal neoeletto Mattia Corvino», e quindi non i 
sacerdoti-astrologi dell’antica religione
 persiana di Zoroastro, il Mazdeismo, che secondo il Vangelo di Matteo 
giunsero a Beltemme, condotti dagli astri, per onorare la nascita di  Gesù.
 Nel dipinto dei Medici, i Magi – secondo Magnani – sono idealmente 
rappresentati dal bizantino Giorgio Gemisto Pletone (riferimento 
culturale assoluto del primissimo Rinascimento), dal patriarca di 
Costantinopoli e da Giovanni VIII Paleologo, anch’esso di Bisanzio.
Gesù.
 Nel dipinto dei Medici, i Magi – secondo Magnani – sono idealmente 
rappresentati dal bizantino Giorgio Gemisto Pletone (riferimento 
culturale assoluto del primissimo Rinascimento), dal patriarca di 
Costantinopoli e da Giovanni VIII Paleologo, anch’esso di Bisanzio.
«Gli Ungheresi – scrive Magnani – ebbero un ruolo attivo nei primissimi viaggi oltre oceano», tanto da potersi imputare a loro persino la scelta del nome dato al Nuovo Mondo: «Il nome America, infatti, è derivato da Emmerich (Amerigo, in italiano), figlio di Stefano I, primo Re d’Ungheria e fondatore della Chiesa Ungherese». Per lo studioso non deve stupire, dunque, o ritenersi anacronistico, che all’interno dello sviluppo del Corteo che accompagna Mattia Corvino – tra animali, piante, scene di caccia e rappresentazioni geografiche del nuovo mondo – Cosimo il Vecchio venga ritratto da Benozzo Gozzoli nei panni di un imperatore Inca (nello specifico Pachacutéc, che proprio nel 1459 morirà), con la classica pettinatura dei nativi sudamericani, la tipica tunica bordata d’oro del sommo sacerdote Inca e le tre piume in testa. «Sarà proprio questo particolare ad aiutarci a fare maggior chiarezza sul significato intrinseco di queste tre piume, e del perché sono diventate un emblema associabile alle famiglie che per prime, con molti anni di anticipo, ebbero contatti amichevoli con i nativi del Sudamerica».
Il copricapo indossato da Cosimo il Vecchio, infatti, è la 
“mascapaicha” (parola di derivazione quechua), considerata in patria un 
simbolo assoluto del potere
 imperiale incaico. La “mascapaicha”, infatti, «garantiva al Sapa Inca 
il titolo di Governatore di Cusco e, a partire proprio da Pachacutéc (la
 cui statua da pochi anni è eretta nella Plaza des Armas di Cusco), di 
tutto il Tahuantinsuyo, ovvero di tutto il Perù, il più grande Impero 
dell’America precolombiana». Il riferimento a questo oggetto 
ornamentale, usato per sottolineare uno status di ceto e ruolo nella 
gerarchia religiosa Inca – spiga Magnani – è importantissimo: non solo 
per le implicite deduzioni cronologiche che comporta, in ordine ai primi
 viaggi nelle Americhe (viste le datazioni di cui stiamo parlando), ma 
anche per la corretta interpretazione del ciclo pittorico di  Benozzo
 Gozzoli all’interno di Palazzo Medici Riccardi a Firenze. «Solo il Sapa
 Inca, infatti, poteva portare la “mascapaicha” più importante, che 
veniva tramandata da un sacerdote all’altro soltanto in caso di morte 
del predecessore».
Benozzo
 Gozzoli all’interno di Palazzo Medici Riccardi a Firenze. «Solo il Sapa
 Inca, infatti, poteva portare la “mascapaicha” più importante, che 
veniva tramandata da un sacerdote all’altro soltanto in caso di morte 
del predecessore».
Questo ornamento, ricorda Magnani, era costituito da un filo intrecciato dello spessore di un dito, che veniva poi avvolto quattro o cinque volte attorno alla testa. All’epoca ne esistevano di tre tipi: rosso e blu per gli Incas dominanti, nero per gli Incas inferiori o di poco titolo, e poi il Llautu, una nappa di colore rosso e giallo (come appunto quello indossato da Cosimo il Vecchio) per la famiglia reale. Erano le Acllas (dette anche Vergini del Sole, donne prescelte all’interno della comunità Inca) che tessevano il Llautu, chiamato anche Paicha, «termine che esprime la congiunzione di spazio e tempo, assimilabile come concetto al compendio tra energia maschile e femminile». Il Llautu era costituito da una sottile, lunga treccia di lana rossa intarsiata da fili d’oro, ed era di uso esclusivo della famiglia reale. A completamento dell’ornamento imperiale, tre piume di Corequenque (il caracara andino, un rapace del Sudamerica dal piumaggio nero e bianco) venivano infilate nel Llautu.
«Alla luce di tutto ciò – ragiona Magnani – è chiaro quindi che 
l’impresa considerata appartenente a Cosimo de’ Medici, e inserita nel 
tempietto del Santo Sepolcro, derivi idealmente da ciò che egli indossa 
nel dipinto di Benozzo Gozzoli di qualche anno prima: un omaggio a 
Pachacutéc, il primo imperatore Inca, che evidentemente Cosimo il 
Vecchio conosceva, se non altro nominalmente». Nello stesso dipinto, a 
portare la “mascapaicha” sono anche le tre nipoti di Cosimo il Vecchio, 
ovvero le figlie di Piero il Gottoso, nonché sorelle di Lorenzo il 
Magnifico. «Quanto descritto finora ci dice essenzialmente due cose: 
l’origine di questa impresa, che è indiscutibilmente legata ai primi 
viaggi oltreoceano (ovviamente databili ben anteriormente al 1492), e il
 fatto che le tre piume non siano sostenute da un mazzocchio, bensì  da
 una “mascapaicha” (anche se, sostanzialmente, il significato sotteso a 
entrambe è lo stesso: compenetrazione tra il mondo eterico e mondo 
materico)».
da
 una “mascapaicha” (anche se, sostanzialmente, il significato sotteso a 
entrambe è lo stesso: compenetrazione tra il mondo eterico e mondo 
materico)».
Anche l’associazione che sottolinea Benozzo Gozzoli (che proprio sotto l’indio si auto-ritrae) tra Cosimo il Vecchio e Pachacutèc, idealizzata nel segno della “mascapaicha” con cui è raffigurato il potente “Pater Patriæ” fiorentino, per Magnani «è molto importante ai fini di una revisione storica, in quanto narra di un rapporto evidentemente gioviale e amichevole tra i due popoli». Un rapporto «ben diverso da quanto poi la storia ci consegnerà in un secondo tempo, relativamente al genocidio operato dal colonialismo spagnolo post-colombiano e al ruolo interpretato dai frati, domenicani prima e gesuiti poi». La percezione di un rapporto di profonda amicizia tra i due popoli – aggiunge Magnani – ci viene confermata da una ulteriore rappresentazione di questo ornamento regale, anteriore sia all’affresco di Benozzo Gozzoli (1459) e sia all’arma intarsiata nel tempietto del Santo Sepolcro di Firenze (1461-1467). «Sto parlando di un oggetto molto particolare, tipico dell’epoca, oggi conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York».
Magnani allude a un “desco da parto”, cioè un tipico vassoio 
commemorativo (in oro e argento) con cui venivano celebrate le nascite 
più importanti, da parte delle ricche famiglie del Rinascimento. Un 
manufatto «evocativo dell’offerta di dolci che tradizionalmente veniva 
portata alla partoriente». Opera di Giovanni di Ser Giovanni Guidi 
(detto Scheggia), questo vassoio venne creato nel 1449 per celebrare la 
nascita di Lorenzo, figlio di Piero de’ Medici e Lucrezia Tornabuoni, 
nipote prediletto di Cosimo il Vecchio e futuro capo della signoria che 
diede lustro a Firenze, tanto da meritarsi il soprannome di Magnifico. 
«Dipinto dal fratello minore di Masaccio, il vassoio fu poi conservato 
proprio negli alloggi privati di Lorenzo, nel Palazzo Medici Riccardi di
 Firenze». Attenzione: «L’intreccio ideale tra il popolo Inca e la 
famiglia de’ Medici qui è rafforzato dal fatto che le tre piume sono 
associate all’anello mediceo, che si sostituisce al mazzocchio e al 
Llautu,  rafforzato
 dal motto familiare “semper” (per sempre), mentre gli stemmi delle due 
famiglie riconducibili ai genitori del nascituro, Medici e Tornabuoni, 
sono nella parte alta del vassoio stesso».
rafforzato
 dal motto familiare “semper” (per sempre), mentre gli stemmi delle due 
famiglie riconducibili ai genitori del nascituro, Medici e Tornabuoni, 
sono nella parte alta del vassoio stesso».
Per Magnani, dunque, emerge sempre più chiaramente come la prima 
apparizione dell’arma di Cosimo de’ Medici non possa essere considerata 
quella sul tempietto di Giovanni Rucellai (il cui figlio, Bernardo, 
sposerà una nipote di Cosimo, Lucrezia, detta Nannina, che insieme alle 
sorelle Bianca e Maria nel dipinto del Gozzoli porta le tre piume della 
“mascapaicha”). Anzi, l’esistenza di questo vassoio «metterebbe in 
dubbio anche il fatto che le tre piume rappresentassero l’arma di 
Cosimo, lasciando intendere come il vero titolare dell’impresa, mutuata 
da Pachacutéc, fosse invece proprio Lorenzo, oggetto del “desco da 
parto” in visione». Oltretutto, il ritrovare le tre piume sia sul capo 
di Cosimo, nell’evidente atto di richiamare Pachacutéc e la 
“mascapaicha”, sia sul vassoio commemorativo della nascita di  Lorenzo,
 «forse legittima un dubbio che confermerebbe una volta di più il 
carattere amichevole sottostante alle relazioni tra alcune famiglie 
dello schieramento politico ghibellino italiano e le più alte gerarchie 
dei popoli nativi del Sudamerica».
Lorenzo,
 «forse legittima un dubbio che confermerebbe una volta di più il 
carattere amichevole sottostante alle relazioni tra alcune famiglie 
dello schieramento politico ghibellino italiano e le più alte gerarchie 
dei popoli nativi del Sudamerica».
Ragiona Magnani: «Sia Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, sia Ludovico Sforza, non a caso detto il Moro, erano di sangue misto, meticcio, come peraltro confermerebbero le stesse caratteristiche della fisionomia di questi due celebri personaggi». Lo studioso ricorda che il termine “meticcio” deriva proprio dallo spagnolo “mestizo” e dal portoghese “mestiço”. Non a caso: con questo vocabolo «si definivano in origine proprio gli individui che nascevano dall’incrocio fra i coloni europei (perlopiù spagnoli e portoghesi) e le popolazioni amerindie indigene precolombiane». Qualche anno dopo, aggiunge Magnani, a legare ulteriormente l’impresa con le tre piume a Lorenzo il Magnifico è Giorgio Vasari, pittore e biografo di tutti i più grandi pittori, architetti e scultori del Rinascimento, nel celebre dipinto – conservato a Palazzo Vecchio – che ritrae, tra gli altri animali esotici, anche la giraffa di Lorenzo. In un angolo, il quadro «ripropone proprio le tre piume del Magnifico, inserite in un anello gemmato, la stessa impresa raffigurata sul “desco da parto” di Giovanni di Ser Giovanni Guidi».
Dagli elementi menzionati, e in particolar modo dalla 
rappresentazione che fa Benozzo Gozzoli di Cosimo il Vecchio a Palazzo 
Medici Riccardi, Magnani ricava una certezza: «E’ indubbio il fatto che 
l’assunzione delle tre piume, da parte degli esponenti della famiglia 
de’  Medici,
 sia da porre in strettissima relazione a una frequentazione delle 
Americhe, anteriore al 1492, ricollegandosi all’uso che di questo 
ornamento facevano gli esponenti dell’impero Inca». Lo stesso imperatore
 Pachacutéc era ancora in carica, racconta Magnani, all’epoca in  cui le
 tre piume e la “mascapaicha” fecero la loro prima apparizione nei 
dipinti, nelle imprese e nelle monete di una delle più importanti 
famiglie del Rinascimento, attorno alla prima metà del XV secolo. 
«Questo ornamento, oltretutto, ci testimonia del profondo legame 
esistente tra la famiglia de’ Medici, la famiglia Sforza e il territorio
 lariano, che ospiterà a più riprese il giovanissimo Leonardo a metà del
 XV secolo».
Medici,
 sia da porre in strettissima relazione a una frequentazione delle 
Americhe, anteriore al 1492, ricollegandosi all’uso che di questo 
ornamento facevano gli esponenti dell’impero Inca». Lo stesso imperatore
 Pachacutéc era ancora in carica, racconta Magnani, all’epoca in  cui le
 tre piume e la “mascapaicha” fecero la loro prima apparizione nei 
dipinti, nelle imprese e nelle monete di una delle più importanti 
famiglie del Rinascimento, attorno alla prima metà del XV secolo. 
«Questo ornamento, oltretutto, ci testimonia del profondo legame 
esistente tra la famiglia de’ Medici, la famiglia Sforza e il territorio
 lariano, che ospiterà a più riprese il giovanissimo Leonardo a metà del
 XV secolo».
In due chiese dell’alto Lario, infatti, nel comune di Gravedona – chiosa Magnani – sono riprese scene riconducibili all’affresco di Benozzo Gozzoli. «In una di queste, in particolar modo, un giovane (con tutta probabilità Galeazzo Sforza, figlio di Francesco) ha il capo cinto dalla “mascapaicha”, mentre con la mano regge dei funghi allucinogeni». Il ricercatore italiano non ha dubbi, sull’operazione di occultamento e depistaggio che avrebbe condotto a non riconoscere quel clamoroso legame (precolombiano) tra Firenze e i signori del Perù. «Il corso della storia, nel lungo cammino che ha portato alla nascita del movimento rinascimentale – afferma Magnani – è stato dirottato a beneficio della Santa Sede e dei suoi alleati, mentre le evidenze di quello che fu sono state abilmente cancellate». Ma attenzione: non tutte le prove sono state distrutte, «e quel che rimane è più che sufficiente per ricostruire il reale corso delle cose». La verità sull’America restituita da un copricapo regale: la “mascapaicha”, che da mezzo millennio – a Firenze – suggerisce la sua verità.
fonte: LIBRE IDEE 
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