domenica 1 marzo 2020

coronavirus: cecità collettiva!


di Gianni Lannes
Geopolitica totalitaria? La psicosi innescata dal sistema di dominio mondiale sembra aver trasformato l'Italia nel luogo dei senza nome, in uno Stato di polizia, nel teatro di un racconto distopico, dove addirittura la paura iniettata nel corpo sociale da autorità, istituzioni e mass media, è stata commercializzata un tanto al chilo in ragione del profitto economico. Gli scaffali vuoti dei supermercati, la gente in fila per accaparrarsi beni di prima necessità (disinfettanti come l'amuchina), lo sciacallaggio, politico, gli episodi di sopraffazione e in aggiunta la solita dose massiccia di razzismo italico. Insomma, nel belpaese - ora che il calendario generale segna la fine del febbraio 2020 - si sopravvive in uno scenario post-apocalittico, comunque in assenza dell’apocalisse. La letteratura, pur ignorata dalla masse, tratta da tempo immemorabile, almeno da Manzoni a Camus,  il tema dell’epidemia - letale, irreparabile, catastrofica. Ebbene, il romanzo che più di d'ogni altro ci racconta le eterodirette dinamiche sociali che stiamo affrontando adesso, potrebbe essere Cecità dell'inimitabile José Saramago.

Un essere umano in auto è in sosta al semaforo quando improvvisamente non vede più nulla. È questo l’attacco appunto di Cecità, romanzo pubblicato nel 1995 con il titolo originale di Ensaio sobre a cegueira (“Saggio sulla cecità”). L’uomo viene accompagnato dal medico, che non riesce però a trovare una spiegazione per quella misteriosa malattia, fin quando non si rende conto di essere stato contagiato anche lui. Il medesimo destino accomuna tutti i pazienti che sono nella sala d’attesa. Quando la cecità inizia a contaminare la massa urbana in maniera capillare, il governo decide di mettere i ciechi in quarantena. Divisi in gruppi e rinchiusi in edifici fatiscenti, i non vedenti regrediscono ad uno stadio primitivo. È su queste basi che Saramago elabora una lucida analisi della natura umana. Si tratta di un ritratto di cogente attualità.
I personaggi non hanno un nome e sono identificati attraverso le loro inclinazioni, il mestiere o il ruolo sociale. C’è il medico, il primo malato o paziente zero, la moglie del medico, la ragazza con gli occhiali, il vecchio con la benda. L’epidemia rende l’essere umano impersonale, rimuove la sua identità anagrafica. Anche noi oggi non abbiamo più un nome, bensì un codice a barre.
Saramago sorvola sulle implicazioni storiche e politiche, concentrandosi sull’umano. La sua descrizione della quarantena è un saggio antropologico sulla specie umana, spontaneamente incline alla sopraffazione. Quando il governo consegna il cibo ai ciechi nell’edificio, iniziano a spuntare le fazioni. Il cibo diventa motivo d’ossessione, e lo è anche nella nostra realtà odierna. Il principale pensiero dei cittadini in seguito ai primi casi del coronavirus è stato quello di razziare gli scaffali dei supermercati, arrivare prima degli altri per garantirsi la sopravvivenza. Nel romanzo qualsiasi oggetto diventa potenzialmente un’arma di ricatto, di minaccia o di speculazione. I gruppi che detengono il potere lucrano sul cibo e sugli altri beni vitali. La trasposizione odierna è l’amuchina venduta su Internet a prezzi esorbitanti, la mascherina equiparata ad un bene di lusso, insomma, la commercializzazione della paura.
«È di questa pasta che siamo fatti: metà di indifferenza e metà di cattiveria» scrive Saramago in un passaggio del romanzo. Inizialmente l’indifferenza è stata l'atteggiamento evidente: l’epidemia era in Cina, lontanissima e le uniche preoccupazioni erano lo sciacallaggio. I politicanti italidioti, infatti, hanno sfruttato la paura collettiva per la personale propaganda. Quando il virus è emerso nel belpaese, l’indifferenza si è spostata altrove. L’attenzione sul virus e l’allarmismo conseguente ha oscurato le catastrofiche emergenze italiane. La vera cecità è non vedere la morte di tanti bambini, i diritti umani che continuano a essere calpestati in tutto il mondo. Come ha scritto Saramago: «È una vecchia abitudine dell’umanità passare accanto ai morti e non vederli».
In sostanza Saramago ha scandagliato le dinamiche sociali che si creano all’interno di un’emergenza. Durante la quarantena un unico gruppo detiene il possesso del potere e tiene gli altri ciechi in una fame costante. È l’egoismo di pochi che prevale sulla sofferenza di molti: la ricetta dell'imperialismo globale. E a proposito di discriminazioni: l’uomo non guarda in faccia il dolore degli altri, ma lo usa per rafforzarsi e ferire il prossimo.
La cecità non è una menomazione fisica, non riguarda gli occhi ma una condizione insita nella propria natura. È quindi il buio della ragione e si palesa ancor di più quando i ciechi abbandonano la quarantena e si ritrovano in uno scenario in cui la città è un tempio del male, con gli uomini a combattere per un tozzo di pane, a occupare abusivamente le case degli altri, a ingannare il prossimo. L’inganno viene perpetrato in una condizione di instabilità, dove l’essere umano è indifeso, non può affidarsi a nulla se non al suo istinto di sopravvivenza. Questo romanzo dopo 5 lustri ha illuminato la nostra attualità.
Il seme del male è già presente nell’uomo anche prima della diffusione di un morbo. L’uomo attende una giustificazione per esternare i suoi istintivi istinti peggiori. Saramago è stato in grado di scarnificare l’individuo e mettere in evidenza tutti i suoi limiti, fino a capire che il virus più letale è quello che ci riconduce a uno stadio primitivo, al male inteso come dimora della nostra cecità, quella che non è collegata agli occhi. Ancora Saramago: «Con l’andare del tempo, più le attività di convivenza e gli scambi genetici, abbiamo finito col ficcare la coscienza nel colore del sangue e nel sale delle lacrime, e, come se non bastasse, degli occhi abbiamo fatto una sorta di specchi rivolti all’interno, con il risultato che, spesso, ci mostrano senza riserva ciò che stavamo cercando di negare con la bocca (... ) Se non siamo capaci di vivere globalmente come persone, almeno facciamo di tutto per non vivere globalmente come animali».
Il coronavirus non ci ha reso individui peggiori, ma ha solo evidenziato ciò che realmente siamo, ovvero ciechi da sfiorare il cinismo. Oggi la speranza è quella di prendere come lezione questa esperienza e aprire gli occhi. Altrimenti la cecità comune proseguirà anche quando i contagi finiranno e il delirio apocalittico cederà campo alla vita di tutti i giorni, ovvero un’infinita quarantena in cui non riusciamo a vedere oltre il nostro naso.
Parola di Saramago: «Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che non vedono, ciechi che, pur vedendo, non vedono”.

Riferimenti:

http://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2020/02/italia-aria-piu-inquinata-deuropa-e.html 

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=coronavirus

SU LA TESTA 

Nessun commento:

Posta un commento