è strepitosa questa mostra a Palazzo della Ragione.
avrei anche potuto vederla meglio, l'ho visitata in chiusura un giovedì sera, forse mezz'ora in più sarebbe stata ottimale.
ma quel che ho visto mi è piaciuto moltissimo.
grandi autori italiani, grandi foto, bellissima presentazione, panelli come vagoni di un treno, un treno che viaggia in Italia. è la più grande mostra di fotografia mai dedicata all’Italia in due momenti distinti ma collegati:
INSIDE 21 marzo –21 giugno 2015: i fotografi italiani
OUT 1 luglio –27 settembre 2015: i fotografi del mondoINSIDE 21 marzo –21 giugno 2015: i fotografi italiani
c'è di tutto in questa mostra, potessi metterei qui tutte le foto che ho visto. 250.
tutte.
e di tutto c'è in questa mostra, in questi immagini, grazie a questi fotografi, 42: Marina Ballo Charmet, Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Letizia Battaglia, Gianni Berengo Gardin, Antonio Biasiucci, Tommaso Bonaventura, Luca Campigotto, Silvia Camporesi, Lisetta Carmi, Vincenzo Castella, Giovanni Chiaramonte, Cesare Colombo, Mario Cresci, Paola De Pietri, Pietro Donzelli, Franco Fontana, Vittore Fossati, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Guido Guidi, Giovanni Hänninen, Guido Harari, Alessandro Imbriaco, Francesco Jodice, Mimmo Jodice, Martino Marangoni, Nino Migliori, Domingo Milella, Paolo Monti, Ugo Mulas, Walter Niedermayr, Federico Patellani, Franco Pinna, Francesco Radino, Riverboom, Claudio Sabatino, Marta Sarlo, Fabio Severo, Shobha, Massimo Siragusa, Toni Thorimbert, Paolo Ventura, Massimo Vitali.
fotografia è storia e conoscenza, è coraggio e denuncia, è bellezza e natura, è indagine e pieghe di un volto. ho visto l'Italia in queste foto, tante immagini che mi raccontano una storia, non sono mai stata tanto patriottica!!
Testimoni di un paese
Mendini : «Non ho mai fatto foto, eppure nel paese, come negli scatti, cerco poesia »
Alessandro Mendini, classe 1931, architetto e designer, nonché uno degli intellettuali più ironici del nostro Paese, attraversa la Venezia surreale di Berengo Gardin, si sofferma davanti alla Roma fotografata da Gabriele Basilico, ammira gli scorci torinesi di Massimo Siragusa. Poi si gira e sorride: «Confesso: in vita mia non ho mai scattato una foto». Forse è questo lo sguardo giusto da posare su «Italia Inside Out», la grande mostra che si apre domani a Palazzo della Ragione Fotografia e che, nelle parole della curatrice, Giovanna Calvenzi, «non vuole essere tanto un racconto dell'Italia, quanto un racconto della visione dell'Italia dagli anni Cinquanta a oggi». Un lavoro molto accurato perché lascia a casa la tentazione dell'ordine cronologico, spariglia le carte nella rappresentazione e, soprattutto, come dice Mendini, «non pare tanto una mostra di fotografia, quanto un sistema visivo, una narrazione completa».L'architetto, che ha vissuto in pienezza l'arco di tempo raccontato nelle 250 immagini (di 42 artisti) sorprende nelle sue intuizioni da profano della camera oscura, perché davanti alla Modena inusuale di Franco Fontana (uno conosciuto per i suoi paesaggi iperrealisti, dai colori fortissimi) china la testa e sussurra: «Che scelta dura quella di mostrare una città colta nella sua notturna solitudine. Ma le nostre città sono anche questo. Modena è, nel segreto, una città di meditazione». Davanti ad una Torino de-saturata, quasi solare di Massimo Siragusa, osserva: «Questa interpretazione mi piace perché miniaturizza gli umani. Qui sembrano tante figurine alla maniera di Bosch o Bruegel». Mendini gioca da sempre con la scala delle dimensioni: dalla celebre poltrona Proust (in mostra ad Aosta in una retrospettiva a lui dedicata) agli spiritosi accessori da cucina per Alessi. Ecco perché, inserendosi nello spirito della mostra, non presta attenzione tanto alle rappresentazioni socio-antropologiche (come la bellissima Sardegna arcaica di Pinna), quanto a dettagli come: «La Roma di Basilico pare un quadro del 700».Davanti alle sconvolgenti periferie milanesi di Toni Thorimbert però una riflessione si impone: «Quante utopie urbane degli anni Settanta si sono rivelate illusorie». E sui Navigli di Paolo Monti la visione acquatica di una Milano mai del tutto sparita ha il sopravvento. «Quelli come me hanno vissuto due Milano, pre e post guerra. Le abbiamo interiorizzate entrambe e, in qualche modo, raccontate in molti modi». È la poesia che lo affascina. Ecco perché il Delta del Po ritratto da Pietro Donzelli con un misto di casualità e di «tesa tranquillità» come in un film di Visconti, Mendini immagina di veder spuntare, da un momento all'altro, «Marcello Nizzoli o Zavattini». Occhi spalancati di fronte al bellissimo (diremmo commovente) lavoro di Vittore Fossati, scatti rubati sulla sponda del Tanaro, semplicemente alberi e boccate d'aria fresca che ti sembra di vedere. «Molta poesia sta nella sospensione, in quel momento indefinito in cui le cose non le puoi chiamare per nome. Nel design è importante per definire l'anima di un oggetto» dice Mendini, che poi, con leggerezza, passa alle foto, in un bianco e nero accecante, di Letizia Battaglia: «Questa Palermo è, sì, recente ma sembra medievale. Una caratteristica questa non solo del Sud ma anche delle valli del Nord. L'Italia ha angoli senza tempo».Ci giriamo e su una parete si impone, con potenza, un gigantesco abisso verde che sorregge un borgo bianco. È la Puglia di oggi vista da Domingo Milella, quasi un contraltare alla Calabria in bianco e nero degli anni 50 (e qui stampata per la prima volta) di Ugo Mulas o alla pietrosa Matera di Patellani, del 1953. «Che strano, commenta Mendini passeggiando tra rovine e paesaggi, c'è molta architettura ma poco design. Come se questa ricerca avesse seguito una strada a sé». Difficilmente rappresentabile a meno che si sorrida sulle forme poetiche distorte del collettivo Riverboom, che si diverte con una Firenze inaspettata, kitsch nei suoi souvenir e con le statuette sconce del David di Michelangelo. Meglio sorridere per Mendini, che davanti alle Marche di Giacomelli nota che somigliano alle opere di Burri e di fronte alle gigantografie dei sentieri della Grande Guerra di Campigotto osserva che sarebbe «meglio metterne uno solo. Come qualcuno dei miei mobili: si impongono così tanto singolarmente che se li allineo poi fanno a pugni». Una mattinata trascorsa a percorrere oltre 50 anni della nostra storia e una lezione di vita: i veri maestri non smettono mai di prendersi in giro.
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Corriere della Sera
Scorranese Roberta
incredibile Letizia Battaglia, e le sue bambine.
L’idea di trascendenza, di continuità domina anche le foto di Letizia Battaglia e della figlia Shobha. «Sia che fossi sul luogo di un’azione violenta, di un delitto o di un arresto, cercavo sempre la bambina» rivela la Battaglia. «Quando la trovavo — e quando la trovo ancora adesso — tremavo per l’emozione: niente mi fa tremare come l’incontro con quel mondo pieno di desideri, di speranze, forte, di una bambina che si sta affacciando all’adolescenza. Ho capito che in queste bambine cerco qualcosa che si è spezzato dentro di me». E dunque La bambina col pallone, La bambina e il buio, La bambina e il pecoraro, La bambina non è mai andata a scuola. Mora, seria, magrissima. Consapevole di essere a un passo dall’adolescenza, la bambina della Battaglia sfida il tempo, quasi a dire: io ci arrivo prima. Sfida il tempo con in mano il pallone da calcio, lo sfida in posa da donna, lo sfida lavando i piatti invece di andare a scuola, lo sfida con la gonna a pieghe.
Teresa Ciabatti - La lettura
Teresa Ciabatti - La lettura
e anche i bambini di Pioltello di Toni Thorimbert che mi fa pensare aRagazzi di vita, di Pasolini, che sto leggendo ora...
"Io ero come loro, di poco più grande. Andavo da casa mia a piedi lungo la provinciale. Avevo i capelli lunghi, una Nikkormat prestata, il 28 millimetri. Mi sputavano. I negativi sono trasparenti. Non so nemmeno dire come le facevo. A scuola avevo visto le foto di William Klein. Fulminato. Volevo irrompere dentro la Vita, starci dentro con la macchina, con tutto me stesso. Pioltello era la periferia della periferia. Casermoni, malavita, “anfe”, stereo rubati. Il disagio, il disagio totale. Quando ci sono tornato, tanti anni dopo ne ho ritrovato nessuno, di questi ragazzini. Uno. Gli altri erano in galera, o morti. Io mi sono salvato perché ho fatto queste foto. Non avevo questo destino."
e poi ci sono gli Italians di Guido Harari....
È proprio all’interno del significato globale della mostra, nell’accostamento alle opere degli altri artisti, che i ritratti di eccellenze italiane (Italians 1979-2004) di Guido Harari, diventano altro: immagini tombali, artisti, intellettuali, scienziati, in maggioranza anziani, i più oggi morti. Margherita Hack (foto del 1999) che annaffia il giardino e guarda in su, alla fronda dell’albero, o oltre.
Teresa Ciabatti - La lettura
e altri ancora.
fonte: nuovateoria.blogspot.it
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