giovedì 22 gennaio 2015

Raffaello Matarazzo

è stato un regista italiano.

Gli inizi

Nato a Roma da una famiglia di origini napoletane resta ben presto, con i suoi due fratelli, orfano di padre e deve lavorare come fattorino postale per potersi mantenere agli studi frequentando il liceo classico. Si interessa di cinema sin da giovanissimo e nel 1929 entra nella redazione del quotidiano romano Il Tevere, ove istituisce la pagina di critica cinematografica, e con il quale lancia una iniziativa per la realizzazione di una "Università del cinema", idea che poi troverà attuazione nel 1935 con l'istituzione di quello che oggi è il Centro sperimentale di cinematografia. Nel frattempo fu anche chiamato a svolgere l'incarico di capo ufficio stampa del Dopolavoro dell'Urbe. Nello stesso anno partecipa a delle discussioni sull'avvento del sonoro, dove ha occasione di conoscere i registi Camerini e Bragaglia, ed è quest'ultimo che gli commissiona un soggetto, che poi però non sarà realizzato.

Nel 1931 diviene revisore di soggetti cinematografici per la Cines e sale per la prima volta sul "set" durante le riprese di Figaro e la sua gran giornata, quale aiuto regista di Camerini. Dopo aver scritto la sceneggiatura di un paio di pellicole (La telefonista diretto da Malasomma e Due cuori felici di Negroni), inizia l'attività registica con la direzione di due documentari celebrativi delle opere del regime: Littoria - la moderna Latina - sulla bonifica dell'agro pontino - e Mussolinia di Sardegna, che dichiarerà poi di non aver potuto rifiutare di girare, pur essendo di idee antifasciste.

I film degli anni Trenta

Nel 1933, a soli ventitré anni, firma il suo primo lungometraggio con Treno popolare, opera che presenta alcuni tratti innovativi rispetto allo stile cinematografico dell'epoca, tra cui il fatto che fu tutto girato in esterno e che gli interpreti vestivano abiti dimessi. Al film lavorò anche un altro esordiente, Nino Rota, che ne scrisse le musiche. La pellicola venne presentata a Roma al cinema Barberini e fu accolta in modo molto negativo del pubblico, costituendo un clamoroso smacco che Matarazzo, ancora a distanza di molti anni, ricorderà con amarezza.

Tuttavia l'insuccesso del film non ne arresta l'attività, e negli anni successivi, oltre a proseguire con l'attività di sceneggiatore, dirige numerose opere, mediamente più di una all'anno. Dopo Kiki (1934) è la volta de Il serpente a sonagli (1935) nel quale, tra gli altri, lavorano attori come Andreina Pagnani, Lilla Brignone e Paolo Stoppa e che segna l'ingresso di Matarazzo nel genere giallo. Entrambe queste pellicole risultano attualmente introvabili. Rimane nel giallo dirigendo subito dopo L'anonima Roylott (1936) e Joe il rosso (1937), due storie con immaginarie ambientazioni estere, americane e francesi. In tutti questi film Matarazzo collabora strettamente con uno sceneggiatore che poi diventerà noto anche per altri motivi, cioè Guglielmo Giannini.

Nel 1937 dirige ancora due film: È tornato carnevale! - anch'esso oggi non reperibile - e Sono stato io!, con il quale inizia la collaborazione con i fratelli De Filippo. Sia Eduardo che Peppino e Titina ne sono infatti gli interpreti. Collaborazione che proseguirà poi nel 1939 con Eduardo e Peppino ne Il marchese di Ruvolito, pellicola di cui purtroppo non rimane copia. Nello stesso anno torna al genere giallo con L'albergo degli assenti, un, film ambientato in Costa Azzurra, con qualche venatura di horror.

Gli anni Quaranta tra guerra, Spagna e dopoguerra

La guerra non interrompe la prolifica attività di Matarazzo che gira sei film in quattro anni. Dopo due pellicole in tono minore, Giù il sipario e Trappola d'amore, entrambi del 1940, arriva nel 1941 un commedia scanzonata e brillante - certo in contrasto con il clima d'ansia e paura per la guerra in corso - L'avventuriera del piano di sopra in cui recitano Vittorio De Sica ed una Clara Calamai ancora lontana dalla Ossessione viscontiana. Visto il successo di questo film, nello stesso anno realizza una seconda commedia, Notte di fortuna, meno apprezzata della prima, nella quale torna a lavorare con uno dei De Filippo, Peppino.

Con Giorno di nozze (1942) viene ancora proposta la commedia, giocata con ritmi frenetici, mentre l'anno successivo avverrà l'unico incontro di Matarazzo con colui che sarà uno dei principali ispiratori di quella corrente neorealista che tante critiche riserverà poi alle sue opere: è infatti Cesare Zavattini uno degli sceneggiatori de Il birichino di papà, ultimo film che il regista dirige prima di trasferirsi in Spagna.

I temi ispiratori dei film "larmoyant" di Matarazzo sono - ha scritto Prudenzi - i romanzi di appendice, il modello "feuilleton"", i romanzi di Sue, Hugo, e Carolina Invernizio, che, secondo la testimonianza di Liana Ferri pubblicata sul quaderno del "Movie club" torinese, erano anche tra i libri preferiti del regista.
Molti commentatori hanno inoltre evidenziato la stretta relazione tra il cinema melodrammatico - quello di Matarazzo in particolare - e la contemporanea, enorme diffusione dei fotoromanzi, ed anzi v'è stato chi ha ipotizzato che l'idea del produttore Lombardo di realizzare Catene derivasse proprio dal vasto successo di tali riviste.
Come ha scritto Raffaele De Berti «le storie di Grand'Hotel, Bolero film e Sogno anticipano e poi convivono perfettamente con il neorealismo d'appendice di Matarazzo». Thumb
Il modello dei rotocalchi «riconduce ad avventure incredibili, basate su equivoci, traversie, dolori e redenzioni finali». Le storie presentate nei film e nei settimanali sono analoghe e talvolta, hanno gli stessi titoli: in Bolero film compaiono infatti fotoromanzi che si chiamano proprio "Catene" e "Tormento". Nel 1950, l'anno di Catene, alcune testate iniziano a rappresentare le storie non più con disegni stile fumetto, ma con le fotografie: Si tratta di un cambiamento che richiede la presenza di persone reali: così iniziano la loro carriera quelle che diventeranno le più note attrici italiane, la Loren e la Lollobrigida, ed anche un giovane Gassman parteciperà ad alcune storie.
Negli anni Cinquanta i principali rotocalchi di fotoromanzi conoscono diffusioni di milioni di copie. Ed è proprio questo fenomeno «con i suoi aspetti mesti ed ingannevoli, di povero paradiso di cartapesta e diffusioni di fragili e deleterie utopie» che ispirerà a Fellini negli stessi anni (1952), Lo sceicco bianco, suo primo film di regia "autonoma".

Si stabilisce a Madrid dove dirige due film, di cui si conoscono soltanto i titoli (Dora la espia del 1943, nella quale lavora un'ex diva del muto, Francesca Bertini, e Empezo en boda nel 1944) e scrive alcuni testi di prosa, uno dei quali, Una donna tra le braccia, viene anche rappresentato nel 1944 in un teatro della capitale spagnola. Quando, finita la guerra, torna in Italia nel mondo del cinema è in atto un profondo cambiamento e solo nel 1947 Matarazzo riuscirà a rientrarvi dirigendo di nuovo un giallo La fumeria d'oppio che annovera tra gli sceneggiatori Fellini e Monicelli. Di questa pellicola, come della successiva, la commedia Lo sciopero dei milioni (1948) - cui collabora come sceneggiatore anche Steno - non risultano attualmente rintracciabili copie.

Il successo degli anni Cinquanta

Nel 1949 Matarazzo si cimenta con una riedizione della nota vicenda di Paolo e Francesca, che costituisce «un passaggio dalla commedia al melodramma» e, forse per questo, viene chiamato da Gustavo Lombardo, proprietario della "Titanus", a dirigere Catene, che il produttore intende destinare ai circuiti minori. Il film, che esce nel 1950, ottiene invece un inatteso e clamoroso successo commerciale, con un incasso di circa 735 milioni di lire, che lo situa ai primissimi posti, quanto ad introito, delle pellicole italiane di quell'anno. Si apre così un filone, con la coppia Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson quali principali interpreti, che per tutta la prima metà degli anni Cinquanta collezionerà, al tempo stesso, enorme popolarità di pubblico, incassi record e disinteresse, oppure valutazioni negative - talvolta sprezzanti - da parte della critica "ufficiale".

La "Titanus", dove nel frattempo a Gustavo Lombardo, deceduto nel 1951, era subentrato il figlio Goffredo, non esita a sfruttare il travolgente exploit di Catene. Viene ripreso ed aggiornato, ancora con la coppia Nazzari - Sanson, un soggetto la cui trasposizione sullo schermo aveva già riscosso grande successo nei primi anni Venti, I figli di nessuno. Nello stesso anno, sempre sull'onda del filone e con lo stesso cast, esce anche Tormento. I risultati sono ancora più clamorosi: le due pellicole balzano rispettivamente al primo ed al secondo posto della classifica degli incassi del 1951, totalizzando un introito complessivo di quasi un miliardo e 700 milioni, somma mai raggiunta nelle sale italiane prima di allora e che poi, anche per tutto il decennio, pochi altri registi riusciranno a raggiungere.

Il 1952 è per Matarazzo, ormai diventato il fondatore di un "genere" molto imitato, un anno di relativa tranquillità: dirige, con Massimo Girotti come interprete, il tenente Giorgio, di scarso successo. Ma è solo una pausa, perché l'anno successivo Giuseppe Verdi e Chi è senza peccato... (nel quale ritorna la coppia Nazzari - Sanson) salgono di nuovo in vetta alle classifiche d'incasso. Il successo dei film di Matarazzo prosegue anche nel 1954, anno in cui escono ben tre pellicole dirette dal regista: accanto a Vortice e Torna!, che ripropone di nuovo la coppia Nazzari - Sanson, viene distribuito anche La nave delle donne maledette, considerato anomalo rispetto ai canoni delle altre pellicole. Ancora una volta i titoli dei film diretti da Matarazzo raggiungono le parti alte delle classifiche commerciali.

L'angelo bianco, del 1955, inizia esattamente dove era terminato I figli di nessuno (ovviamente con gli stessi interpreti Nazzari - Sanson), di cui è un sequel. A questo titolo si aggiunge Guai ai vinti!, che tenta una incursione nei drammi provocati non più solo dalle vicende private e famigliari, ma dalla violenza della guerra. Anche queste due pellicole ottengono un buon successo di pubblico, pur non raggiungendo più le vette delle classifiche. I gusti cominciano a cambiare: l'anno successivo, il 1956, Matarazzo dirige La risaia, che consente a Elsa Martinelli il primo ruolo importante in Italia e che molti vedranno come una riedizione di Riso amaro; pellicola, comunque, anch'essa premiata da un buon successo di pubblico

Declino e solitudine negli anni Sessanta

Sul finire degli anni Cinquanta la crisi, prima latente, del melò diventa palese. Escono, L'ultima violenza nel 1957, con la sola Yvonne Sanson, e, nel 1958, Maliconico autunno, in cui, quasi in un tentativo di rinverdire i passati successi, Matarazzo lavora ancora, e per l'ultima volta, con Nazzari e Sanson in un film il cui titolo sembra evocare la sua personale parabola professionale. Matarazzo approda con difficoltà agli anni Sessanta. Nell'anno de La dolce vita, simbolo di un cambiamento profondo nei gusti e nei valori sociali, egli dirige Cerasella, una commedia con canzonette napoletane, di scarso successo.

Negli anni successivi Matarazzo, in qualche modo prigioniero di un "cliché" che lo vuole regista di melodrammi incontrerà crescenti difficoltà a lavorare. Nel 1963 tenta con scarsi risultati di inserirsi nella commedia all'italiana con Adultero lui, adultera lei, ricorrendo ad un comico famoso ed amato come Gino Bramieri ed a due attrici "di genere" come Marilù Tolo e Maria Grazia Buccella. Ma le produzioni ormai non considerano più importante l'attività del regista, tanto che il suo penultimo film I terribili 7 (1964) avrà modesto riscontro di pubblico anche a causa di una distribuzione molto limitata. A questo punto decide di auto produrre, investendovi molte sostanze personali, quello che sarà il suo ultimo film, Amore mio (1964), che però risulterà un nuovo insuccesso, distribuito dalla "Titanus" solamente in alcune città di provincia e mai proiettato a Roma.

Matarazzo sopravvive due anni a questa nuova sconfitta. Morirà a Roma il 17 maggio 1966 e della sua morte, così come della sua vita, si sa poco. «Di lui sappiamo - ha scritto Stefano Della Casa - che è morto per un infarto dovuto alla paura di essere malato». Uomo timido, riservato in modo quasi ossessivo (al punto che di lui non è facile neppure trovare immagini che lo ritraggano), geloso dei suoi libri e della sua collezione di dischi di jazz, molto superstizioso, la sua scomparsa passa quasi inosservata nel mondo del cinema italiano della metà degli anni '60, benché per diversi anni abbia fatto parte del gruppo dei registi più conosciuti. Dovranno passare dieci anni, ma in realtà più di venti dai suoi film di maggior successo, perché si riparli della sua attività.

Anche se alcuni film di Matarazzo degli anni Cinquanta hanno avuto altri interpreti, è indubbio che sono stati Amedeo Nazzari ed Yvonne Sanson gli attori simbolo del filone cinematografico che sarà poi denominato "neorealismo d'appendice". Nazzari veniva dal successo degli anni precedenti la guerra, dove nel '39 era risultato l'attore italiano più amato dal pubblico, ma poi aveva avuto un periodo di calo nel dopoguerra, tanto da trasferirsi per qualche tempo in Spagna ed Argentina. Il successo dei film diretti da Matarazzo non gli impedì comunque di interpretare negli stessi anni altri ruoli importanti, come ad esempio in Processo alla città o ne Il brigante di Tacca del Lupo.
La Sanson aveva iniziato con ruoli molto diversi da quelli di "moglie - madre - suora" interpretati con Matarazzo: conturbante femme fatale ne Il delitto di Giovanni Episcopo o ex prostituta in Campane a martello. Rievocando l'ambiente di quei film Nazzari ricorderà che «qualche intoppo [sul set-ndr] lo avevamo per via della Sanson che, poverina, era timidissima, soprattutto nelle scene d'amore. Bisognava aiutarla, assisterla come una bambina».

Matarazzo e la critica

Il cinema di Matarazzo è stato per molti anni tanto amato dal pubblico quanto ignorato o denigrato dalla critica cinematografica italiana. Questo fenomeno è stato spiegato da molti commentatori come il risultato di un pregiudizio di natura ideologica. Ad esempio Spinazzola la attribuisce ad «una critica di sinistra del dopoguerra tutta orientata nella battaglia per il neorealismo, inteso come unica possibilità di rinnovamento del cinema italiano; i film popolari erano visti come l'eredità del cinema fascista, [per cui] erano da condannare e la miglior condanna era non occuparsene». Ancora più esplicitamente Massimo Marchelli afferma che «quello di Matarazzo è stato un autentico "caso" in buona parte ascrivibile all'ostilità dell'intellettuale italiano del tempo verso ciò che persegue ed incontra successo popolare. Al creatore della coppia Nazzari - Sanson non viene perdonato di aver commosso gli spettatori con fatti vicini alla sensibilità italiana».

La discussione negli anni Cinquanta

Il contrasto tra successo di pubblico ed atteggiamento della critica emerge sin dagli anni Cinquanta, quando un critico cinematografico de L'Unità, Ugo Casiraghi, scrive un articolo su tale argomento. È in quella occasione che si verifica uno dei rarissimi interventi pubblici di Matarazzo, che invia a quel quotidiano una lettera in cui orgogliosamente rivendica che «Trentasette milioni di spettatori hanno visto miei film». Nel suo intervento il regista osserva, con ironia, che «da tanto tempo assisto al fenomeno di una critica quasi sempre concorde nello stroncare [i miei film] e di un pubblico quasi sempre concorde nell'approvare». Più oltre sostiene che «i critici, con semplici aggettivi (popolare, popolaresco, deteriore, facile, romanzo d'appendice) hanno liquidato l'argomento», concludendo con una domanda: «non sarebbe più utile per tutti una obiettiva ed onesta ricerca delle varie ragioni che hanno spinto una folla a gradire uno spettacolo piuttosto che un altro?».

Ma la richiesta di Matarazzo di approfondire il tema era destinata a non avere seguito, benché anche altri, in precedenza, avessero tentato di affrontare l'argomento. Il giudizio negativo sull'opera di Matarazzo resterà anche negli anni '60, dopo la sua scomparsa. Pio Baldelli, nel 1967, pubblica un saggio in cui sostiene che i film "melò" «rappresentano il punto di vista di determinate fasce della popolazione piccolo - medio borghese; sono le abitudini italiane, il difetto strapaesano quello che sta alla base di quei sentimenti» e che essi propongono «un concetto deteriore della famiglia, chiusa al resto del mondo e zavorrata da forme arcaiche dell'onore, del peccato, della preghiera».

Le iniziative degli anni Settanta: il "caso Matarazzo"

Nel decennio successivo le cose cambiano. La prima riscoperta dei film di Matarazzo si svolge ad Avignone nel 1974, quando viene presentata da Simon Mizrahi una retrospettiva dedicata al regista. Seguirà, in Italia, nel gennaio 1976, l'iniziativa di un gruppo di giovani critici (tra gli altri Adriano Aprà, Carlo Freccero, Aldo Grasso e Tatti Sanguineti) che organizzano a Savona, città natale di alcuni di loro, l'incontro "Momenti del cinema italiano contemporaneo", nel quale vengono proiettate diverse pellicole di Matarazzo. In tale occasione il "Movie club" torinese pubblica due volumi dedicati all'opera del regista, con documenti e testimonianze dirette di suoi ex collaboratori. Pochi mesi dopo, l'attenzione si sposta nuovamente in Francia, dove il numero estivo del periodico Positif dedica al cineasta italiano un ampio spazio, nel quale, in particolare, è un articolo di Lorenzo Codelli - a quel tempo corrispondente italiano del mensile francese - a difendere con vigore polemico l'opera di Matarazzo, definendo «imbecille» la critica contemporanea al regista e chiedendosi «è possibile che sia stato a tal punto non compreso, disprezzato, non studiato? Come se in America nessuno conoscesse i nomi di Minnelli, di Ford, nessuno si interessasse a loro».

A queste iniziative fa seguito la pubblicazione di un volume, "Neorealismo di appendice" dove si parla per la prima volta di un “caso Matarazzo” e nel quale due critici confrontano le rispettive tesi. Adriano Aprà, ricordando «venti anni di pubblico disprezzo e di citazioni ingiuriose» che avevano riguardato l'opera di Matarazzo, criticava il «moralismo tutto italiano che spacca l'attività di certi produttori in due e non vuole capire che se il produttore di Umberto D è lo stesso di Don Camillo, un qualche rapporto tra le due operazioni ci deve pur essere». Secondo Aprà «Matarazzo non si preoccupa di parlare ad una élite, si rivolge soprattutto ai poveri, raccontando storie di poveri; una "povertà" non economica, ma "dello spirito"». A giudizio di Claudio Carrabba, invece, «rimane difficilmente confutabile la drastica bocciatura formulata a caldo dai protagonisti, critici e registi, della sinistra contro il complesso della cinematografia popolare [in quanto] sottocultura ancorata al conformismo delle idee dominanti». E, quanto a Matarazzo, sarebbe l'interprete di un «vena di un moralismo religiosamente conservatore che lo fa diventare il regista della maggioranza democratico cristiana nel periodo, 1950 - 1955, di consolidamento del potere».

I commenti successivi

Col trascorrere degli anni le valutazioni sull'opera del regista sono diventate più analitiche e meno ideologiche, essendo ormai, come ha scritto Prudenzi «cadute le prevenzioni che lo volevano uno dei principali responsabili del degrado del cinema italiano del dopoguerra e ridimensionate le passioni cinefile». Le sue opere hanno quindi potuto essere inquadrate in una prospettiva storica.

I remake

Negli anni settanta, anche a seguito del rinnovato interesse per l'opera di Matarazzo, vennero realizzati i remake dei due film più famosi del regista: Catene ed I figli di nessuno, che, a sua volta, era già stato il remake di un film dei primi anni Venti; il primo fu realizzato dal regista Silvio Amadio ed il secondo dal regista Bruno Gaburro. Entrambe le pellicole uscirono nel 1974, senza riuscire a rinverdire i successi dei loro precursori.
Già Rondolino aveva riconosciuto nel 1977 che Matarazzo «anziché ricalcare pedestremente gli schemi del cinema neorealistico, come fecero altri suoi colleghi, proseguì sulla strada del dramma a forti tinte, stabilendo un contatto estremamente proficuo con quel pubblico piccolo borghese e proletario che, nei medesimi anni, disertava in larga misura i film neorealisti (a cui) oppose un cinema dichiaratamente popolare, senza preoccupazioni colte, intellettuali, politiche. Film che, ad una più attenta lettura, offrono non pochi elementi di indagine per uno studio della società italiana del dopoguerra». Ma questo fenomeno a suo tempo non viene compreso perché - come ha scritto Orio Caldiron - avviene in un periodo in cui «il fantasma del neorealismo è ancora il mito di riferimento di gran parte della critica, che attribuisce all'autore l'aureola del mandato pedagogico sociale, al di fuori del quale non ci sono che basse speculazioni commerciali o bieche corruzioni del gusto».

Successivamente, nel 1982, Brunetta definisce i film melodrammatici, di cui quelli di Matarazzo sono i principali esempi, quali «punto di raccordo tra più tendenze di generi. Dall'opera lirica questi film derivano la nettezza delle passioni. Dal neorealismo la verosimiglianza ambientale, dalla letteratura popolare la complicazione degli intrecci, dai cine e fotoromanzi la capacità di condensazione del racconto».

Sul piano non solo nazionale il significato per il cinema italiano delle pellicole di Matarazzo viene vista da Marchelli come «un'opera di penetrazione senza precedenti nel gradimento del pubblico, solo caso [al mondo -ndr] di sistema melodrammatico originale alternativo a quello hollywoodiano», e questo in un periodo in cui i film americani dominavano la distribuzione nelle sale italiane Infatti, secondo Pellizzari «i film italiani (...) avevano le loro basi in dati altrettanto concreti di una insicurezza collettiva [e] nei film di Matarazzo una insicurezza simile faceva leva sui buoni, piuttosto che sui cattivi sentimenti. La scarsità e le disgrazie non mancavano certo nell'esperienza comune e, altrettanto certamente, il cinema americano non ne rendeva conto».

Filmografia

Sceneggiature

La telefonista (regia di Nunzio Malasomma). (1932)
Due cuori felici, (regia di Baldassarre Negroni). (1932)
La voce lontana, regia di Guido Brignone. (1933)
Fanny, regia di Mario Almirante. [1933)
Frutto acerbo, regia di Carlo Ludovico Bragaglia. (1934)
L'ambasciatore, regia di Baldassarre Negroni. [1936)
L'amor mio non muore, regia di Peppino Amato. (1938)
L'imprevisto, regia di Giorgio Simonelli. (1940)
Violette nei capelli, regia di Carlo Ludovico Bragaglia. (1942)

Regie

Documentari

Littoria (1932)
Mussolinia di Sardegna (1933)

Film

Treno popolare (1933)
Kiki (1934)
Il serpente a sonagli (1935)
Joe il rosso (1936)
L'anonima Roylott (1936)
È tornato carnevale (1937)
Sono stato io! (1937)
L'albergo degli assenti (1939)
Il marchese di Ruvolito (1939)
Giù il sipario (1940)
Trappola d'amore (1940)
Notte di fortuna (1941)
L'avventuriera del piano di sopra (1941)
Giorno di nozze (1942)
Il birichino di papà (1943)
Dora, la espia (1943) (realizzato in Spagna)
Empezó en boda (1944) (realizzato in Spagna)
La fumeria d'oppio (1947)
Lo sciopero dei milioni (1948)
Paolo e Francesca (1950)
Catene (1950)
Tormento (1951)
I figli di nessuno (1951)
Il tenente Giorgio (1952)
Chi è senza peccato... (1953)
Giuseppe Verdi (1953)
Torna! (1953)
La nave delle donne maledette (1954)
La schiava del peccato (1954)
Vortice (1954)
Guai ai vinti (1955)
L'angelo bianco (1955)
L'intrusa (1955)
La risaia (1956)
L'ultima violenza (1957)
Malinconico autunno (1958)
Cerasella (1960)
Adultero lui, adultera lei (1963)
I terribili 7 (1964)
Amore mio (1964)

fonte: Wikipedia

L'ANONIMA ROYLOTT

Nessun commento:

Posta un commento