giovedì 6 dicembre 2012

sii forte


Storia di Amanda che s’è suicidata a 15 anni bevendo candeggina per colpa di un cyberbullo

Amanda Todd, 15 anni, canadese di Vancouver, figlia di Norm e Carol, «visetto carino, sguardo vispo e una vita connessa in Rete come la maggior parte degli adolescenti di oggi». Mercoledì 10 ottobre s’è ammazzata mandando giù un flacone intero di candeggina. Da tre anni, per via di un cyberbullo, la sua vita era diventata un inferno. 
Tutto comincia quando, a 12 anni, Amanda conosce in chat un uomo che la convince a farsi fotografare a seno nudo e poi, siccome la ragazzina si rifiuta di esibirsi in uno spettacolino hard, minaccia di diffondere l’immagine su tutto il web. Per oltre un anno non avviene nulla, lei quasi si dimentica dell’episodio. Poi, improvvisamente, il misterioso individuo si fa vivo creando una pagina su Facebook dove la foto del profilo è proprio quella dei suoi seni. Lei lo viene a sapere dai compagni di classe della scuola Alternate Basic Education di Coquitlam, che frequenta nei pressi di Vancouver, perché ogni suo amico è stato avvertito via Internet dal misterioso individuo, che sembra conoscere tutto di Amanda: l’indirizzo di casa, i nomi dei genitori, gli orari in cui va e torna da scuola. La foto del suo seno è ovunque, la perseguita e a scuola compagni di classe e coetanei iniziano a disprezzarla, offenderla. Quando entra in classe le compagne reagiscono simulando conati di vomito. C’è chi la spinge, chi la insulta. 
Amanda, diventata lo zimbello della scuola, cade in depressione, inizia a bere, a drogarsi, ecc. I suoi cambiano città e la iscrivono in una nuova scuola ma la ragazzina conosce online un altro uomo, più grande di lei, che la corteggia pur essendo fidanzato. La compagna del fedifrago, scoperta la tresca, un giorno aspetta Amanda fuori dalla scuola e davanti a una cinquantina di adolescenti che la incitano ad andarci giù pesante, a dare una lezione a quella ragazzina, la riempie di parolacce calci e pugni lasciandola a terra, piena di lividi, tra i singhiozzi.  
In tre anni Amanda tenta d’ammazzarsi tre volte. La prima, sempre con la candeggina, dopo la scenata a scuola. L’autoambulanza arriva in tempo, in ospedale la salvano con una lavanda gastrica ma non fa a tempo a tornare a casa che su Facebook l’anonimo torna a farsi vivo linkando sulla sua pagina la foto del detersivo. Le immagini che la perseguitano sono diventate due e Amanda non può far nulla per distruggerle. Fra i commenti su Facebook: «Doveva usare un solvente differente»; «Spero che la prossima volta muoia davvero e non sia così stupida». 
Venerdì 7 settembre Amanda, «dita affusolate, lunghissimi capelli ondulati, le labbra tormentate tra morsi e sorrisi accennati», posta su Youtube un video di dieci minuti in bianco e nero (titolo: My Story: Struggling, bullying, suicide and self harm) nel quale racconta le violenze subite con 74 foglietti di carta che mostra a uno a uno, come diapositive, davanti a una webcam. A pennarello ha scritto di aver già provato ad uccidersi perché si sente sola e abbandonata («Piangevo ogni notte, ho perso ogni amico e ogni tipo di rispetto»; «Non ho nessuno. Ho bisogno di qualcuno»; «Ogni giorno penso: perché sono ancora qua?») ma spiega anche di non voler richiamare l’attenzione, solo di voler essere un esempio per altre ragazze e di cercare la forza per superare quel brutto momento. 
«Negli ultimi fotogrammi del video, sulle sue braccia si vedono dei tagli. Non si sa se provocati da altri o da lei stessa, segni arrivati fino alla pelle dall’anima irreparabilmente danneggiata di un’adolescente. Le ferite di Amanda non si chiuderanno più, la sua storia diventerà una cicatrice come altre simili che vedono l’innocenza scontrarsi con la violenza. E quello scorrere di note, cartelli che raccontano il tormento della ragazza dall’inizio alla fine, sono ora il più potente viatico possibile contro l’alienazione umana, presente e agghiacciante anche nella cosiddetta epoca “social”». 
La madre di Amanda ha chiesto a YouTube di non togliere il video dal web affinché diventi «uno strumento per combattere il “cyber-bullismo”» che, secondo il Canadian Medical Association Journal, è la seconda causa di morte tra i canadesi fra i 10 e i 19 anni. 
Il caso dell’impiegato della catena di abbigliamento Mr. Big & Tall licenziato in tronco perché sulla pagina in memoria di Amanda aveva scritto: «Grazie a Dio questa puttana è morta». 
Dopo aver visto in rete l’autopsia di Amanda, «i vendicatori di Anonymous, gli hacker più temuti di Internet, quelli che hanno attaccato la Cia e le banche d’America, entrando perfino nelle segrete web dell’amministrazione di Barack Obama», si sono messi a caccia del mostro che la perseguitava. A un certo punto hanno detto di averlo individuato tracciando i suoi movimenti in rete e in un video su YouTube lo hanno denunciato per nome e cognome con tanto di indirizzo. Si trattava di un trentenne di New Westminster, British Colombia, che giorni fa era già comparso davanti al tribunale di Vancouver per un altro caso di pedofilia. Subito dopo l’annuncio di Anonymous, gli amici di Amanda hanno creato pagine Facebook in cui avvertivano l’uomo di «dormire con un occhio aperto». Poche ore dopo, però, è arrivata la smentita della polizia. Quel tale, sebbene indagato in un altro caso di violenza sessuale, sarebbe la persona a cui Amanda s’era rivolta per essere aiutata. 
Il trentaduenne di Vancouver segnalato per sbaglio da Anonymous come il responsabile della morte di Amanda Todd sostiene ora che il vero mostro è un tale che online si fa chiamare “Viper2323”. E Anonymous, per la seconda volta in pochi giorni, ha pubblicato nome, indirizzo e dettagli “digitali” (tra cui l’account in un sito noto per la pedopornografia in condivisione) del nuovo, presunto responsabile. Secondo gli hacker si tratterebbe di un quarantunenne di Sheboygan, nello Stato americano del Wisconsin. 
Ora «in molti si chiedono – anche in seno ad Anonymous – perché il bullo non dovrebbe avere diritto a un regolare processo. D’altro lato, la campagna di doxing, la pubblicazione di dossier da parte di Anonymous, potrebbe forse dissuadere da casi del genere altri orchi. Ma lo scenario più inquietante è quello di un Terrore digitale, che stia alla rivoluzione digitale come gli anni della ghigliottina facile furono il postulato di sangue che seguì alle utopie della Rivoluzione Francese».

Norm, il padre di Amanda,
 si tatuerà la frase che lui e la figlia avevano deciso di imprimere insieme sulla propria pelle: «Sii forte».
 (a cura di Roberta Mercuri)

2 commenti:

  1. Questi infami personaggi hanno successo solo perché la massa adora il linciaggio.

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  2. E' vero dott Vitali. Il linciaggio...sembra essere ..il "lite motive" di una certa umanità.

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