domenica 24 marzo 2019

"Quel sorcio di Gesù": solo in un racconto fiabesco, e senza essere blasfemi!


E’ solo una fiaba siciliana alla quale è difficile assegnare una precisa collocazione storica, seppure sia presente un solo richiamo federiciano. Non è presente alcun elemento denigratorio nei confronti della religione cristiana, è giusto precisarlo: si sa da sempre, del resto, “Scherza con i fanti, ma non con i Santi”. Poi, Gesù è Santissimo, figuriamoci, allora! Un riferimento immediato di una riscrittura parabiblica, giusto per parallelismo, potrebbe essere Parola di Giobbe di Giobbe Covatta. Insomma, è una forma di fede su un piano di racconto, mettiamola così: nient’altro di più! Ecco, per l’occasione, per l’appunto, questo piccolo testo, che, a dire il vero, non è poi così tanto noto ai più. 
Una volta una vecchietta usciva il cuore dal petto per il desiderio del latte. Se ne stava in malinconia alla finestra quando vide passare capre che suonavano piene di sonagli nella lucente aria del mattino. “O buon capraio”, fece, “mi date un quarto di litro di bel latte?”. Quello glielo diede, schiumeggiò bianco nella ciotola. La vecchietta Maria Maddalena lo conservò in un cassetto per lasciarlo puro, odoroso. Intanto si sentì la campana della messa, i tetti erano sereni.

Quella si vestì e andò in chiesa. Qui sull’altare maggiore in un cesto di giunchigli, anemoni e gigli, c’era Gesù bambino che dormiva. Ma il re Federico[1] lo aveva saputo e con pomposa schiera di conti e baroni, e soldati ben armati, lo cercava. Uno gli disse: “Cerchi bambinello? Se la dorme beatamente in chiesa”. “O prete traditore”, disse il Re. “E noi a cercarlo per prati e monti”. La chiesa fu circondata, suonò piano la campana. Il prete che era un pretino con la zimarra[2] scura, ma l’anima sgombra, disse a Gesù: “Scappa, figlio mio! Non c’è scampo altrimenti!”. E quello che era in lucentezza di mente, per creare confusione si disse: “O padre mio [3]Macone d’Allah figlio fammi diventare un topo”. E fu topolino con coda in argento, occhi furbi.

“Un topo, un topo!”, gridò la gente che ginocchioni pregava il Dio, la Dea, l’Aurora che fa cambiare l’Ora. Immaginate quello che avvenne, come finì la ricerca di Gesù. “Maestà, tutti scappano!”, gridarono i soldati. “E’ in grande spavento il Regno ed il Popolo”. Gesù non fu trovato, rimase sull’altare il canestro con i giunchigli. Il topolino Gesù s’andò a nascondere nella casa di Maria Maddalena, e siccome aveva fame si mangiò il latte nel cassetto dove si riaddormentò. La donna tornò, aprì il cassetto e vide la ciotola vuota con dentro il topo addormentato, o tapinello! Lo acchiappò, gli strappò la coda con la faccia fiera. Gesù topolino si svegliò dal gran dolore, sangue glauco gli stillò dalla mancante coda. Scappò per la casa, e quella lo rincorse dal tavolo alla sedia, dalla sedia al comodino, dal comodino al letto, dal letto alla vicina finestra illuminata dal giorno, dalla finestra al letto, ma oltre non poteva andare. Gesù, che si sentiva topo, piangeva senza coda. Disse: “Vecchietta Maria Maddalena, mi dai la coda?”. Quella non poteva sapere che il topo era Gesù, troppa fame aveva patito. “Te la dò se tu mi porti il latte”, s’intenerì. Il sorcio parte, scende dal tetto, arriva al prato, vede una pecorella che meriggiava stanca. Disse: “Me lo dai un po’ di latte?”. “Sì, se tu mi porti l’erba”. Il sorcio camminò di prato in prato, secchi per ardore di sole, e a un orto che sonnecchiava in mezzo ai sassi, disse: “Orto, mi dai un po’ d’erba, così la dò alla pecora che mi dà il latte, porto il latte alla vecchietta Maria che mi ridà la coda?”. Come non mettere in relazione, a questo punto, la catena di associazioni, tipica delle fiabe, con una canzone cult di A. Branduardi? In fondo, dal cascame dei generi letterari, fiaba compresa, nasce anche la produzione canta-poetica.


Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò
E venne il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo
che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto,
che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne l'acqua che spense il fuoco che bruciò il bastone che picchiò il cane
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il toro, che bevve l'acqua, che spense il fuoco,
che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il macellaio, che uccise il toro, che bevve l'acqua,
che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

E l'angelo della morte, sul macellaio, che uccise il toro, che bevve l'acqua,
che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E infine il Signore, sull'angelo della morte, sul macellaio,
che uccise il toro, che bevve l'acqua, che spense il fuoco,
che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto,
che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.


Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò…


Ma proseguiamo con la nostra narrazione, fatto questo brevissimo intermezzo, doveroso, credo! 
L’orto disse: “E come faccio? Non vedi che dormo su crude pietre? Ho tanta sete d’acqua”. Riparte il topo, attraversa l’ombra dell’ulivo, attraversa un poggio, passa sotto un rovaio nodoso di spine, arriva a una fontana. “O fontana, o fontanella, mi dai l’acqua, così la porto all’orto, questo fa crescere l’erba, porto l’erba alla pecora che mi dà il latte?”. Rispose la fontana triste: “E come te la posso dare se la nuvola non mi dà la pioggia?”. Il sorcio non aveva pace, corse per secche selve, per prati senz’erba, pervenne al tranquillo mare. Chiese, disse in preghiera Gesù: “Oh, fai nascere dal tuo fondo una nuvola, così mi dà l’acqua, che porto all’orto che rifiorisce e rinverdisce e mi dà l’erba che porto alla pecora che mi fa il latte per la crudele Maria Maddalena che mi ha spiccicato la coda!”. Il mare veramente voleva dormire, sfilavano dentro lui le onde piccine, si mescolavano piano piano; fragile e sonnolento era tutto il giardino del mare. “E perché dovrei farlo io per te?”. “Ma io sono Gesù bambino!”. “Per davvero? Chi lo sa!”. Comunque, il mare ebbe pena, soffiò dall’in giù all’in su, venne fumo fino fino, solo l’occhio del delfino lo vedeva. Si formò una nuvola che dapprima, con poco desio di pioggia, s’andava annacando e sfavillando per il cielo. Il sorcio Gesù la pregò, quella guardò in giù sulla spiaggia dove si rotolava il mare con le onde. “Ti prego, nuvola, nuvoletta, nube, nubina, sono senza coda”. Quella sbadigliando e risbadigliando si disse: “E va bene”. E in sollazzo amoroso dentro di sé, dove i bioccoli nuvolosi erano riannodati come orecchio, fece la pioggia. Cadde. Il topo la prese col bombolo, la portò all’orto da cui nacque l’erba sui languenti sassi. Gesù sorcio: “O orto, mi dai l’erba?”. Quello gli diede l’erba, la portò alla pecora; questa la intramò in latte, e si sentì bella; il sorcio ebbe il latte, con piede svelte lo portò alla vecchia che lasciò i pensieri amari e si sentì come rosa novella. Gesù topolino topo e sorcio riebbe la coda. La portò di gran corsa al fabbroferraio che nel nostro paese è Mario Musso. “Me la appiccichi la coda? Me la sono fatta dare dalla vecchia che me la spiccicò perché le mangiai il latte”. “Va bene, ma tu non mi mangiare il gatto che con i suoi occhi rossi mi scalda nell’inverno”. “Va bene, non te lo mangio”. Il fabbroferraio, che infuoca un ferro, vibrò, sprizzò, e appiccicò la coda. Il sorcio gli disse: “Grazie, amico, io sono Gesù diventato topo”. Don Mario Musso rise, fece: “Gesù? Mi pare di avere sentito questo nome”. Il sorcio se ne andò ma cadde ammalato. Venne il dottore con cappello e libro sotto l’ascella, lo visitò, lo palpò, consigliò l’unguento della Maddalena. “Odora, non punge, ti rinfresca dalla febbre”. Glielo applicò sì, ma il sorcetto morì. Morì il sorcio Gesù nostro, Altissimo onnipotente. Suonarono le campane, la vecchia si sentì derelitta e afflitta, e si morse lo stinco. Gesù sorcio morto era in una grotta dove vennero tutti gli animali del mondo: il passero, l’agnello, la capra, il gallo, il pulcino, l’erba tremolilla[4], la santa fava nostra, il grillo, la stessa nube, lo splendore grandissimo del sole. E’una piccola fiaba: finisce qui! 


Francesco Polopoli

fonte: I VIAGGIATORI IGNORANTI

Bibliografia 
A.A. V.V., Fiabe del Sud, a cura di Elvi Argento e Ketty De Michele, Bergamo 2002, pp. 143-145.




[1] Re Federico: Federico II di Svevia, sovrano entrato nel mondo delle fiabe meridionali.
[2] Zimarra: tonaca.
[3] Macone: Maometto, figlio di Allah.
[4] Erba tremolilla: pianta erbacea provvista di spighe che si muove anche al vento leggero.

FRANCESCO POLOPOLI
Nato nel 1973, filologo, esperto di filologia neotestamentaria e divulgatore gioachimita. Ha partecipato a Convegni di italianistica, in qualità di relatore, sia in Europa (Budapest) che in Italia (Cattolica di Milano). Attualmente risiede a Lamezia Terme e da articolista si prende cura dell’antico non solo tramite le testate on line della propria cittadella natale ma anche attraverso Orizzonte Scuola e Tecnica della Scuola, diffondendo in comunità virtuali sempre più condivise i propri contributi. Attualmente è docente di latino e greco presso il Liceo Classico di San Giovanni in Fiore e Membro del Centro internazionale di studi gioachimiti. Ultimo è il volume Vitamina classica. Approccio semiserio alla cultura dell’antico.

venerdì 15 marzo 2019

la prostituzione sacra


Con il termine prostituzione si indica l'attività di chi offre prestazioni sessuali dietro pagamento di un corrispettivo in denaro. L'attività, fornita da persone di qualsiasi genere e orientamento sessuale, può avere carattere autonomo, sottoposto, professionale, abituale o saltuario. Strettamente legato alla prostituzione è il suo sfruttamento, o lenocinio, praticato per trarre profitto dall'attività di chi offre il servizio, da parte di persone che generalmente si presentano e s'impongono come protettori, o lenoni, cioè intermediari e procacciatori di clienti. Inoltre vi sono altre figure legate al fenomeno della prostituzione per cui può configurarsi, al posto dello sfruttamento vero e proprio, il reato di favoreggiamento. La prostituzione nel mondo è regolamentata giuridicamente in modo estremamente variegato: passando da società che contemplano una legalizzazione completa ad altre che ne reprimono lo svolgimento per mezzo della pena di morte. La storia della prostituzione copre e si estende a tutte le culture, sia antiche che moderne; vi è anche un modo di dire che definisce essere "il mestiere più antico del mondo". 


Un argomento che, forse, pochi conoscono è quello relativo alla prostituzione sacra: con questa terminologia si intende quel rituale consistente in un rapporto sessuale, o altra attività di tipo erotico, svolto nel contesto di un culto religioso. Tali attività erano svolte, in prevalenza, all'interno degli stessi luoghi di culto, forse come forma di un rituale di fertilità o di un matrimonio divino. Un'altra possibilità è legata alla ierogamia, rito sessuale in cui due o più partecipanti umani rappresentano la sacra unione tra un dio e una dea. Utilizzo le parole di Mircea Eliade per spiegare dettagliatamente la ierogamia: «In generale l'orgia corrisponde alla ierogamia. All'unione della coppia divina deve corrispondere, sulla terra, la frenesia generativa illimitata. [...] Gli eccessi rappresentano una parte precisa e salutare nell'economia del sacro. Spezzano le barriere fra uomo, società, natura e dei; aiutano la circolazione della forza, della vita, dei germi, da un livello all'altro, da una zona della realtà a tutte le altre. Quel che era vuoto di sostanza si sazia; il frammentario si reintegra nell'unità; le cose isolate si fondono nella grande matrice universale. L’orgia fa circolare l'energia vitale e sacra.» 
Gli studiosi hanno considerato tali pratiche come essere in uso comune nel mondo antico, soprattutto nelle civiltà del Vicino Oriente, ma non mancano attestazioni in Grecia. Alcuni ricercatori preferiscono il termine sessualità sacra per indicare la prostituzione sacra, nei casi in cui non fosse coinvolto una qualche forma di pagamento per i servizi offerti; spesso i riti di accoppiamento sacro erano celebrati dietro il pagamento di una somma di denaro, piccola o grande che fosse. Tutto quello che veniva offerto in cambio del sesso era accumulato con il tesoro del tempio. La motivazione principale che diede origine e impulso alla pratica di una forma sacrale di prostituzione era il tentativo di immagazzinare l'energia vitale: nel tempio, il sacerdote (a volte il fedele stesso) si univa carnalmente alla sacerdotessa, celebrando con la loro unione un rito inneggiante alla Dea dell'amore in modo tale da propiziare la fertilità delle donne appartenenti alla comunità e, indirettamente insieme ad essa, anche la prosperità economica generale della società stessa. 


La rievocazione simbolica di una ierogamia e dell'unione dell'umanità con la divinità, era un rito di fertilità che si praticava in connessione con un rituale del tempio preposto. Ne erano spesso protagoniste fanciulle vergini di buona famiglia, oppure anche schiave, o sacerdotesse del tempio, che nella maggior parte dei casi si univano carnalmente a dei perfetti estranei. Sulle origini dell'usanza e sulle caratteristiche che assumeva nelle diverse località in cui veniva praticata sussistono molti punti oscuri: alcune di queste località, tra le più celebri, vi erano la Fenicia, Corinto, Erice e Locri in Magna Grecia. La pratica della prostituzione sacra non è mai stata accuratamente motivata, nelle sue effettive intenzioni, in nessuna cultura de Vicino Oriente antico, nonostante le molte descrizioni popolari di essa. Gli studiosi in generale credono che una forma di matrimonio sacro rituale si mettesse in scena tra il sovrano di una città-stato sumera e la Somma Sacerdotessa di Inanna, la dea sumera dell'amore sessuale, della fertilità nonché della guerra, ma non vi è prova certa sopravvissuta per dimostrare che vi fosse incluso anche l'effettivo rapporto sessuale. In tutta la Mesopotamia c'erano molti santuari e templi dedicati a Inanna; il tempio di Eanna, che significa casa celeste a Uruk era il più grande di questi. La controparte della sumera Inanna tra gli accadi era Ištar, mentre tra i cananei era Astarte, che i Greci hanno accolto sotto il nome di Afrodite. L'equivalente nell'antica Roma era Venere. Secondo lo scrittore cristiano del IV secolo Eusebio di Cesarea, i fenici delle città di Aphaca e Heliopolis hanno continuato a praticare la prostituzione templare fino all'epoca dell'imperatore Costantino I, quando ne fu impedita la venerazione proibendone qualsivoglia prosecuzione rituale. 
Nell'antica Grecia, la prostituzione sacra era conosciuta con certezza nella città di Corinto, dove il tempio di Afrodite impiegava un numero significativo di dipendenti di sesso femminile, per lo più etere, durante tutto il periodo dell'antichità classica. Nell'anno 2 a.C. Strabone nella sua descrizione storico-geografica della città di Corinto scrisse alcune osservazioni riguardanti gli oblati (nel monachesimo cristiano sono coloro che si dedicano a Dio o al suo servizio) di sesso femminile residenti nel tempio di Afrodite a Corinto: "Il tempio di Afrodite era così ricco che impiegava stabilmente più di mille hetairas (compagno di sesso femminile). Molte persone visitavano la città esclusivamente a causa loro, quindi queste hetairas hanno contribuito in una maniera notevole al benessere economico della comunità: i capitani delle navi hanno sempre speso allegramente lì i loro soldi, da qui il detto: 'Il viaggio a Corinto non è per ogni uomo”. Nei territori colonizzati e rimasti sotto l'influenza dell'ellenismo la "prostituzione sacra" era nota, oltre che a Cipro, anche in Sicilia, nel Regno del Ponto e in Cappadocia. 


In alcune parti dell'antica India, le donne entravano in competizione per vincere il titolo di Nagarvadhu o "sposa della città". La donna più bella che in tal maniera era stato scelta veniva rispettata e onorata come una Dea, incarnazione di Lakshmi. Ella serviva principalmente come una cortigiana ed il prezzo che esigeva per la danza di una sola notte era molto alto, a portata solo per il re, i principi ed i signori di più alto lignaggio. 
Concludo questo articolo con la prostituzione sacra nelle antiche popolazioni precolombiane. 


I Maya hanno mantenuto nel corso della loro storia diversi culti religiosi a simbolismo fallico, con una prostituzione templare di tipo omosessuale. 
I capi religiosi aztechi erano eterosessuali celibi che s'impegnavano in atti omosessuali tra di loro come pratica rituale religiosa; gli idoli del tempio erano spesso raffigurati impegnarsi in rapporti omoerotici, e il dio Xochipilli (presente nelle culture dei Toltechi e dei Maya) era sia il patrono degli omosessuali che degli uomini che di dedicavano alla prostituzione maschile. 
Gli Inca a volte dedicavano giovani adolescenti come prostituti del tempio; i ragazzi venivano vestiti in abiti femminili, cosicché i capi e gli altri uomini più importanti avrebbero potuto intrattenere rituali rapporti omosessuali con loro durante le cerimonie religiose e nei giorni festivi. Xochiquetzal era adorata come Dea della potenza sessuale, patrona delle prostitute e degli artigiani coinvolti nella produzione di articoli di lusso. 


I conquistadores rimasero letteralmente inorriditi dalla diffusa accettazione dell'omosessualità, dell'efebofilia (è l'interesse sessuale primario di un adulto nei riguardi della medio-tarda adolescenza, generalmente in una fascia d'età compresa tra i 14/15 e i 17/19 anni; il termine era originariamente utilizzato tra la fine del XIX secolo e la metà del XX), della pederastia (indica una relazione, spesso anche di tipo erotico, stabilita tra una persona adulta e un adolescente, che avviene al di fuori dell'ambito familiare) e della pedofilia (indica un disturbo della preferenza sessuale avente per oggetto bambini e neonati e comunque prepuberi) tra i popoli dell'America centrale e dell'America meridionale; utilizzarono pertanto la tortura, la morte sul rogo, la decapitazione di massa e altri mezzi per sradicare queste forme di pratica religiosa e sociale. 

Fabio Casalini
Fotografie
1 - Tempio Kaṇḍāriyā Mahādeva facente parte del complesso templare del sito di Khajuraho
2 - Vaso di Ishtar: la dea è raffigurata con indosso il cerimoniale copricapo della Somma Sacerdotessa
3 - Afrodite
4 - Tempio del sito di Khajuraho
5 - Xochipilli
6 - Xochiquetzal

Bibliografia
Bullough, Vern and Bullough, Bonnie (1978). Prostitution: An Illustrated Social History.New York: Crown Publishers 

Keegan, Anne, "World's oldest profession has the night off," Chicago Tribune, 10 luglio 1974

Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, 2009 

Greenberg, David. The Construction of Homosexuality.Chicago: University of Chicago Press, 1990 

Flornoy, Bertrand. The World of the Incas. Trans. by Winifred Bradford. New York: Vanguard Press, 1956 

Guerra, Francisco. The Pre-Columbian Mind. Burlington, Mass.: Academic Press, Inc., 1971

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

giovedì 14 marzo 2019

il significato esoterico del Natale



di Sabrina Parisi


Gesù è nato in Palestina duemila anni fa, ma questo è soltanto l’aspetto storico del Natale. L’apparizione del Cristo è soprattutto un evento cosmico: rappresenta la prima manifestazione della vita nella natura ed il principio di tutto ciò che esiste.
Nel corso dell’anno il sole passa per i quattro punti cardinali (equinozio di primavera, solstizio d’estate, equinozio d’autunno, solstizio d’inverno). Nel corso di questi quattro periodi avvengono nella natura grandi trasformazioni, circolano potenti energie che influenzano la terra e tutti gli esseri che la popolano.
La Scienza Iniziatica, che ha studiato tali fenomeni, ha constatato che se l’uomo presta attenzione, si prepara e si mette in uno stato di armonia per ricevere quegli influssi, si possono realizzare in lui grandi trasformazioni. Il 25 dicembre rappresenta il momento in cui il sole è appena entrato nella costellazione del capricorno. 
Infatti il capricorno rappresenta simbolicamente le montagne e le grotte: è appunto nell’oscurità di una grotta (l’interiorità) che il Bambino Gesù può nascere. 
Per tutto il resto dell’anno la natura e l’uomo hanno svolto una grande attività. L’approssimarsi dell’inverno corrisponde alla sospensione di molte attività, i giorni si accorciano, le notti si allungano: è il momento della meditazione, del raccoglimento.

Queste attività consentono all’uomo di penetrare nella profondità del suo essere e di trovare le condizioni per la nascita del Bambino. Attorno alla data del 25 dicembre ha luogo nella natura la nascita del principio cristico (la luce ed il calore che trasformano tutto). 
Gesù non è soltanto un personaggio storico, ma rappresenta un simbolo che riveste le innumerevoli realtà della vita spirituale. 
Fino a quando l’uomo non possiederà in sé luce ed amore, il bambino Gesù non potrà nascere in lui: potrà attenderlo, festeggiarlo ma nulla di più. Se fosse bastata la venuta di Gesù sulla terra le guerre, le miserie, le malattie sarebbero già scomparse da tempo. 
Certamente non si vuole negare che la nascita di Gesù abbia rappresentato un evento storico di grande importanza, ma l’essenziale sta negli aspetti cosmico e mistico della festa di Natale. 
La nascita del Cristo (sé superiore) rappresenta un avvenimento che si ripete ogni anno nell’universo, ma che si può verificare simbolicamente dentro di noi in ogni istante della nostra esistenza. 
Da secoli si ripete questa storia senza capirla, perché il simbolismo universale è andato perso.
Per esempio Giuseppe e Maria sono due simboli della vita interiore: il padre Giuseppe è l’intelletto, lo spirito dell’uomo, il principio maschile; la madre Maria è il cuore, l’anima, il principio femminile. Quando il cuore e l’anima sono purificati lo Spirito Santo (l’Anima Universale) sotto forma di fuoco (amore divino) viene a fecondare l’anima ed il cuore dell’essere umano e nasce il figlio. 
La stalla e la mangiatoia rappresentano le povertà dell’anima e le difficoltà che l’uomo incontra per raggiungere la spiritualità. E che cos’è la stella? È l’uomo stesso. 
Un pentagramma vivente che deve esistere in duplice forma (ciò che è in alto è come in basso e ciò che è in basso è come ciò che è in alto).
Quando l’uomo ha sviluppato in pienezza le cinque virtù (amore, saggezza, verità, giustizia, bontà) un altro pentagramma (la stella luminosa) lo rappresenta sui piani sottili. 
Quella stella che brillava sopra la stalla rappresenta appunto la luce cristica che ogni essere può far brillare dentro di sé. 
Anche i grandi capi religiosi (Melchiorre, Baldassarre e Gaspare) sentono che non sono ancora giunti a quel grado di spiritualità che credevano, per cui vanno ad apprendere, ad inchinarsi ed a portare in dono oro, incenso e mirra: l’oro significava che Gesù era re (il colore giallo è il simbolo della saggezza), l’incenso significava che era un sacerdote (l’incenso rappresenta il campo religioso, il cuore e l’amore), la mirra il simbolo dell’immortalità (ci si serviva della mirra per imbalsamare i corpi e per preservarli dalla decomposizione).


I Re Magi hanno quindi portato dei doni che hanno un legame con i tre mondi: pensiero, sentimento e corpo fisico. In quella stalla vi erano solo il bue e l’asinello.
Perché? La stalla rappresenta il corpo fisico ed il bue, come il toro, anticamente è stato sempre considerato come il principio generativo (in Egitto, per esempio, il bue Apis era il simbolo della fertilità e della fecondità). L’asino, invece, rappresenta la personalità (la natura inferiore dell’uomo). Questi due animali erano là per servire Gesù. Quando l’uomo comincia a compiere su di sé un lavoro per la sua evoluzione, entra in conflitto con la sua personalità e con la sua sensualità. L’iniziato è appunto colui che è riuscito a dominare queste due energie ed a metterle a suo servizio, ma non le reprime in quanto sono energie straordinariamente utili se messe all’opera sotto il giusto controllo.

Il Natale dunque ci ricorda che il significato dell’esistenza umana è quello di risvegliare il sé inferiore al cospetto dell’anima e ciò avviene, all’inizio, mediante l’arte di vivere. Questo è un processo che comporta prove ed errori (spesso attraverso l’esperienza della sofferenza come illusione che infine conduce verso la verità immanente). Ciò è ottenuto gradualmente tramite un riorientamento dei desideri e, in una fase successiva, l’identificazione con il sé superiore. Sono molti gli individui che consapevolmente orientano la propria vita verso le finalità più alte: alcuni si stanno preparando, altri stanno già operando per raggiungere queste finalità. Sono individui che si sintonizzano sempre più con la propria anima e si allontanano da una realtà personale ed egoistica.

Fonte: http://www.cittadiluce.net/significato-esoterico-del-natale-t2717.html

fonte: http://maestrodidietrologia.blogspot.com/

lunedì 4 marzo 2019

Sofonisba Anguissola, la signora del Rinascimento


I primi riferimenti d’artisti donne si devono, probabilmente, a Plinio il Vecchio che riportò il nome d’alcune pittrici greche, tra cui Kalypso e Timarete. 
L’elemento femminile nel mondo dell’arte è sempre esistito, ma è di difficile documentazione, almeno sino al XVI secolo.  Il Rinascimento comportò un cambiamento che permise alle donne fornite di talento di uscire dall'anonimato. Una di queste donne fu Sofonisba Anguissola la cui fama, malgrado rappresentò l’Italia rinascimentale al femminile, non fu pari a quella d’Artemisia Gentileschi o Rosalba Carriera. 


Nata dalla nobile famiglia piacentina degli Anguissola, Sofonisba Anguissola fu una delle prime esponenti femminili della pittura europea. Era la prima dei sette figli d’Amilcare Anguissola e di Bianca Ponzoni, entrambi di famiglia nobiliare. Quattro delle sorelle di Sofonisba, Elena, Lucia, Europa e Anna Maria divennero anch'esse pittrici. Elena, in seguito, abbandonò la carriera artistica per diventare una suora domenicana. La quinta sorella, Minerva, fu insegnante di latino e scrittrice, mentre l'unico fratello, Asdrubale, studiò latino e diventò musicista. Si formò alla scuola del pittore lombardo Bernardino Campi, che, pur non appartenendo alla nota famiglia di pittori cremonesi comprendente i più celebri Vincenzo, Giulio e Antonio Campi, aveva uno stile che si rifaceva agli esponenti di spicco dell'arte manierista in voga nell'Italia settentrionale tra Cinquecento e Seicento. Lo stile di Bernardino influenzò notevolmente Sofonisba, che ne tradusse i tratti essenziali nell'ambito prediletto: quello della ritrattistica. Sofonisba Anguissola partecipò come figura di spicco alla vita artistica delle corti italiane, data anche la sua competenza letteraria e musicale, ed ebbe una fitta corrispondenza con i più famosi artisti del suo tempo. Fu citata anche nelle Vite di Giorgio Vasari grazie a Michelangelo Buonarroti che sosteneva che la giovane fanciulla avesse talento. Fu il padre di Sofonisba a scrivere a Michelangelo e a mandargli i disegni della figlia. 


Fra quei disegni c'era anche un Fanciullo morso da un gambero, nel quale la giovane artista cremonese, allora poco più che ventenne, aveva colto l'espressione del dolore infantile con un'invenzione che piacque molto al grande artista fiorentino. Da una lettera, scritta da Tommaso Cavalieri a Cosimo I de’ Medici, il 20 gennaio 1562 sappiamo che Fanciullo morso da un gambero fu realizzato su suggerimento di Michelangelo, cui era stato inviato in visione, e che rappresentava Asdrubale, fratellino di Sofonisba. Quella smorfia di dolore fermata da Sofonisba si ritrova nel Ragazzo morso da un ramarro di Caravaggio. Tra le tante ipotesi volte a chiarire come Caravaggio conoscesse questo disegno, la più plausibile è quell'avanzata da Rossella Vodret Adamo, secondo cui Caravaggio potrebbe aver visto una copia del disegno in questione nella bottega del Cavaliere d'Arpino. Nel 1559 Sofonisba approdò alla corte di Filippo II di Spagna, come dama di corte della regina, Elisabetta. Fu la ritrattista della famiglia reale fino alla morte, nel 1568, della sua protettrice. 


Un ritratto d’Elisabetta di Valois, conservato al Museo del Prado, è attribuito a Sofonisba. Elisabetta di Valois si presenta in questo dipinto nello splendore della sua giovanissima età e irradia forza e sicurezza. L'abito nero e lungo fino ai piedi, dalle maniche larghissime, fermate sul polso da un gioiello, è illuminato sul davanti da un delicato ricamo di perle che sembrano comporre i gigli di Francia, sua patria d’origine. Una cintura in oro e pietre preziose le cinge la vita e una collana di analogo disegno le pende al collo. Gli abiti ufficiali erano spesso di colore nero. Sia quelli femminili che quelli del re, ossessionato dall'idea dell'austerità, portano un'importante testimonianza sul modo di vestire alla corte. Nel 1573 sposò il nobile siciliano Fabrizio Moncada e si trasferì in Sicilia nel palazzo dei Moncada a Paternò, dove dipinse e lasciò la tela Madonna dell'Itria. 


Un atto datato 25 giugno 1579, attesta la donazione del quadro ai Frati Francescani Conventuali di Paternò. Con la morte del marito, avvenuta nel 1578 in mare durante una visita alla corte spagnola, Sofonisba lasciò l'isola per raggiungere la Liguria. Fermatasi provvisoriamente a Livorno, la pittrice lombarda conobbe e sposò, in seconde nozze, il nobile genovese Orazio Lomellini a Pisa nel 1579. Intorno al 1580 incontrò il giovane pittore Pier Francesco Piola che spinse ad assumere come proprio modello di stile i pittori genovesi Luca Cambiaso e Bernardo Castello. Tornata nel 1615 con il nuovo marito a Palermo, dove egli aveva numerosi interessi, Sofonisba continuò a dipingere nonostante un forte calo della vista, ma, purtroppo, alla lunga questo problema le impedì di continuare a esercitare la sua arte, non prima però di aver raggiunto una grandissima fama, tanto che il celebre Antoon van Dyck, succedutole come ritrattista ufficiale della corte spagnola, confessò tutta la sua ammirazione per l'arte di Sofonisba Anguissola, che incontrò personalmente verso la fine della vita della pittrice, nel 1624 a Palermo, presso la corte del viceré di Sicilia Emanuele Filiberto di Savoia. Nell’occasione del loro incontro, Van Dyck eseguì un disegno della pittrice, oggi al British Museum di Londra, raccontando tutta l’ammirazione per Sofonisba con le seguenti parole: “Ho ricevuto maggiori lumi da una donna cieca che dallo studiare le opere dei più insigni maestri”. Sofonisba Anguissola morì l'anno dopo, il 16 novembre 1625, e fu sepolta nella chiesa palermitana di San Giorgio dei Genovesi, chiesa appartenente alla Nazione Genovese di Palermo, dove ancora oggi si trova la lapide del sacello, nella navata destra. 


Nella sua lunghissima carriera Sofonisba non fu mai pagata in contanti, ma esclusivamente con doni. Sono, invece, documentati i pagamenti ricevuti per suo conto dal padre Amilcare e dal fratello Asdrubale. 

Fabio Casalini

fonte: I VIAGGIATORI IGNORANTI

Bibliografia

Giovanna Motta, La Moda contiene la Storia e ce la racconta puntualmente, Edizioni Nuova Cultura, 2015 

Millo Borghini, Sofonisba. Una vita per la pittura e la libertà Edizione Spirali, 2006 

Daniela Pizzagalli, La signora della pittura. Vita di Sofonisba Anguissola, gentildonna e artista nel Rinascimento, Rizzoli, Milano 2003


FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

venerdì 15 febbraio 2019

reddito e pensioni, la truffa gialloverde che piace a Juncker

Finalmente abbiamo il decreto su reddito di cittadinanza e sulla “cosiddetta” (lo dice anche il testo della legge) quota 100. Vengono tutte confermate le peggiori anticipazioni di questi giorni, che spesso sui social erano state bollate come “fake news” dai fanatici del governo. Purtroppo non è così. Vediamo i punti cardine dei due provvedimenti. Cominciamo dal reddito. Di cittadinanza ce ne è davvero poca, e anche di reddito; naturalmente non si può che essere contenti se lo Stato dà dei soldi ai poveri, tuttavia non possiamo certo chiamare dignitoso e civile un sistema che sottopone il povero disoccupato a clausole sempre più vessatorie fino a diventare insopportabili. Questo è il modello Thatcher che vediamo denunciato nei film di Ken Loach: ti dò dei soldi ma tu sei a disposizione della burocrazia e delle imprese. Vediamo. Il reddito viene assegnato a chi ha un Isee inferiore a 9.360 euro, i famosi 780 euro mensili che rappresenterebbero la soglia della povertà assoluta. Il principio è che lo stato concorre con quanto manca per raggiungere quella cifra. Quindi hai Isee zero? Allora prenderai tutti i 9.360 euro, ma tutto ciò che guadagni (o il valore della casa che eventualmente possiedi) ti verrà scalato da quella cifra.
Naturalmente qui faccio un esempio limite; ci sono spese, c’è la famiglia, si possono cumulare più redditi se in una famiglia ci sono più disoccupati maggiorenni, insomma bisogna andare al Caf e poi all’Inps con una pila di documenti, ad esempio per Giorgio Cremaschidimostrare quanto è vecchia l’auto, se se ne ha una. Tuttavia alla fine il concetto è chiaro: saranno davvero pochi coloro che incasseranno tutti i 780 euro mensili, che titolano il provvedimento. Anche il governo, per chiarire, ha scritto che comunque nessuno degli aventi diritto potrà avere meno di 480 euro all’anno, 40 al mese. Il reddito viene assegnato a tutti i residenti in Italia che ne abbiano diritto. Attenzione però, perché bisogna essere residenti da almeno 10 anni. Questo vale per i migranti, ma anche per cittadini italiani che siano andati a lavorare all’estero e poi siano tornati avendo perso lì il lavoro. Il limite avrebbe dovuto essere di soli 5 anni, ma Salvini è intervenuto per evitare che troppi migranti avessero il reddito. Così, per togliere soldi ai migranti, li hanno tolti anche agli italiani in difficoltà. Meditate, razzisti, meditate.
Il reddito va anche ai pensionati con più di 65 anni che prendano meno di 780 euro mensili. Siccome questi sono milioni e si prevede di sostenerne solo una piccola quota, spetterà all’Inps fare una selezione sociale (come, lo vedremo). Il reddito verrà versato in una social card che ha degli obblighi di spesa. Chi la detiene potrà prelevare solo 100 euro al mese in contanti. Il resto dovrà essere speso direttamente e mensilmente. Ci sarà un controllo su come vengono spesi i soldi. In ogni caso i soldi sono sempre quelli, quanti che siano coloro che ne avrebbero diritto. In una clausola chiaramente concordata con Bruxelles, il governo si impegna a tenere fissa la spesa per il reddito. Per capirci: se alla fine ne avesse diritto un milione di persone, la Salvini e i migrantispesa è 6 miliardi. Se però fossero tre i milioni a fare domanda, la spesa sarebbe sempre di 6 miliardi, quindi gli stessi soldi sarebbero divisi tra più persone. Altro che 780 euro. “Rimodulare”, si chiama, nel linguaggio del governo.
Tutti gli interessati al reddito che hanno meno di 65 anni dovranno rendersi disponibili al cosiddetto Patto di Lavoro. Esso è indispensabile per ottenere il reddito, e chi lo sottoscrive entra nel gorgo della collocabilità. Che ha il doppio scopo di costringere le persone ad accettare lavori purchessia, o di far risparmiate tanti soldi allo Stato. Infatti il reddito dura 18 mesi, poi si salta un mese e successivamente lo si può riavere, ma a terribili condizioni. La principale delle quali è che non si può rifiutare nessuna proposta di lavoro in tutto il territorio nazionale. Un disoccupato calabrese che rifiuti un lavoro di 800 euro a Milano perderà il reddito. Ma la tagliola scatterà anche prima. Infatti solo la prima proposta di lavoro “congruo” (chissà che vuol dire) sarà entro 100 km e nei primi 6 mesi di reddito, poi scatteranno 250 km, che sono tanti, implicano già il trasferimento, e dopo 12 mesi questa proposta non potrà essere rifiutata. Insomma, alla fine o emigri o perdi tutto. Salvini odia i migranti esteri e vuole rimpiazzarli con tanti migranti interni.
Il Patto di Lavoro implica 35 ore mensili medie di lavori socialmente utili, partecipazione obbligata a corsi di formazione e una partecipazione quotidiana alle piattaforme informatiche di collocamento istituite apposta. Il tutto sotto gli occhi di un tutore-collocatore. Le aziende che assumeranno i titolari di reddito riceveranno un premio se non li licenziano prima di 24 mesi; questo, per il governo, è l’assunzione a tempo indeterminato. Il premio sarà pari almeno a 5 mensilità di reddito. Lo stesso premio lo riceveranno i tutori-collocatori o gli enti bilaterali tra sindacati e imprese, che avranno un ruolo centrale in tutto il percorso formativo e che riceveranno almeno 5 mensilità per ogni lavoratore collocato. Sa un po’ di caporalato di Stato, ma tanti termini inglesi aggiusteranno tutto. In conclusione, il reddito di cittadinanza era stato presentato come un strumento atto a rendere più forti le persone nel mercato del lavoro, per impedire la concorrenza al ribasso sui salari. Qui invece si fa Di Maiol’opposto, si usa il reddito per l’avviamento coatto al lavoro alle condizioni peggiori, “o mangi ’sta minestra o salti dalla finestra” è il motto che guida il reddito di cittadinanza sfruttata di Di Maio.
Vediamo ora la “cosiddetta” quota 100. Come era chiaro da tempo, non c’è nessuna abolizione e neppure riforma della legge Fornero, che resta pienamente in vigore con alcuni interventi temporanei e con una finestra di pensionamenti anticipati e penalizzati che si chiuderà. Dal 1° aprile cominceranno ad andare in pensione coloro che hanno già maturato il requisito di 62 anni di età e 38 anni di contributi. Si procederà per scaglioni e, tra la maturazione del diritto e l’effettivo pensionamento, dovranno passare almeno tre mesi per i privati, sei mesi per i pubblici. Il provvedimento vale per il 2019, 2020 e 2021, poi scatterà l’innalzamento in base al legame con l’aspettativa di vita. Cioè è una finestra una tantum. La pensione viene penalizzata sulla base dei meccanismi, che restano in vigore, della legge Fornero. Cioè: si svalutano i contributi in proporzione alla distanza anagrafica dalla pensione di vecchiaia. Il governo riconosce questo, e pertanto favorisce gli accordi tra aziende e sindacati per integrare la pensione. Per capirci: così si aiutano banche e grandi aziende a svecchiare il personale. Per questo Confindustria & C sono felici del provvedimento: via dipendenti anziani e costosi, dentro giovani pagati la metà e senza articolo 18.
Viene soppresso l’aumento di 5 mesi dell’età della pensione di vecchiaia e di quella d’anzianità, scattato il primo gennaio. Però c’è anche qui il trucco dei tre mesi. Chi arriva all’età della pensione deve aspettare almeno in questa misura. Così viene abolito l’aumento di cinque, ma se ne introduce uno di tre mesi, per giunta non pagato. Non so quanto convengano i due mesi risparmiati rispetto alla Fornero. Vengono confermate opzione-donna ed Ape Social, che però sono state fatte proprio da chi ha votato la legge Fornero e non hanno cambiato in nulla le iniquità del sistema pensionistico. I dipendenti pubblici che Pensionatiandranno in pensione a 62 anni dovranno aspettare quasi cinque anni per avere la liquidazione, anche qui in base alla legge Fornero. Tuttavia potranno farsi prestare i soldi da banche con cui le amministrazioni pubbliche dovrebbero definire apposite convenzioni, con i relativi interessi. Cambiano i governi, ma porcate con le banche si fanno sempre.
E a proposito di porcate, non ci saranno sostituzioni per chi esce, visto che le assunzioni pubbliche sono bloccate fino a novembre, cioè fino alla prossima finanziaria lacrime e sangue. Tutto qui, solo la propaganda menzognera del governo, con la stupidità complice delle opposizioni di Pd e Forza Italia, può far credere che qui si sia davvero istituito il reddito di cittadinanza o che sia stata colpita la legge Fornero, che invece continuerà a far danni. Salvini e Di Maio hanno solo varato una versione povera e feroce della legge tedesca Hartz IV e hanno concesso un prepensionamento per alcune generazioni di impiegati, cosa che fanno tutti i governi in tutti i paesi. Per questo Juncker ha messo il suo bollino sulla manovra: essa è perfettamente compatibile con le politiche liberiste della Ue. Anzi le realizza, finanziandole con un poderoso aumento dell’Iva e con i tagli alla scuola e allo stato sociale. Che naturalmente andranno in vigore dopo le elezioni europee. Intanto la montagna di promesse di Salvini e Di Maio ha partorito il topolino di Juncker.
(Giorgio Cremaschi, “E la montagna di promesse di Salvini e Di Maio partorì il topolino di Juncker”, da “Micromega” del 9 gennaio 2019).

fonte: LIBRE IDEE

domenica 10 febbraio 2019

Moche, civiltà del sesso?


Un articolo di Focus, del febbraio del 2016, titolava: Moche, la civiltà del sesso. Mentre Roma fondava il suo impero, in Perù vivevano i Moche, un popolo dai tratti enigmatici e con una religione basata sul sesso. All’interno dello stesso scritto possiamo leggere: l’archeologo Maximo Terrazos racconta che quando, oltre 50 anni fa, aprì la porta di una stanza del seminterrato del Museo d’Archeologia di Lima rimase a bocca aperta: davanti a lui si spalancò la vista di 1.500 ceramiche incise dalla popolazione Mochica. Tutti quei vasi, boccali, brocche, e vari oggetti, prelevati da sarcofaghi d’adulti, donne e bambini, ritraevano scene porno: masturbazione di gruppo, atti di sodomia, orge, sesso orale, accoppiamenti con scheletri, ranocchie, ermafroditi, e molto altro.


Prima di comprendere quanto possa essere veritiera l’affermazione presente nel titolo dell’articolo della nota rivista, risaliamo la linea del tempo per comprendere chi erano, da dove venivano e come sparirono i Moche. La civiltà Moche o Mochica nacque e si sviluppò durante l’epoca preincaica, tra il I secolo ed il VII, nella lunga striscia di terra desertica della costa settentrionale del Perù. In quella regione ancora oggi possiamo ammirare i templi piramidali, i palazzi, le fortificazioni, i cimiteri e le opere d’irrigazione che testimoniano il livello raggiunto da questa civiltà nei campi della tecnica e dell’arte. Si trattava di una civilizzazione costiera, in una zona dove la fertilità delle valli e l’ampiezza della costa crearono i presupposti per lo sviluppo e la diffusione della civiltà Moche. Nella regione montuosa dell’entroterra, i Moche occuparono solo parzialmente le valli a causa della presenza di una formazione culturale chiamata Recuay che riuscì a frenare l’avanzata della civiltà Mochica, sebbene le tracce ritrovate dimostrino l’esistenza di una relazione, anche profonda, tra le due culture. Non esistono fonti scritte riguardanti la civiltà Recuay. Le interpretazioni dei reperti e degli scavi archeologici hanno portato gli studiosi a delineare una società dedita all’agricoltura ed alla pastorizia, frequentemente coinvolta in conflitti armati. Le scene raffigurate negli oggetti in ceramica rivelano la natura e l’importanza dei riti cerimoniali, incentrati sul culto degli antenati e sulle offerte rituali alla terra ed ai picchi montuosi, luogo d’origine delle risorse idriche.


Per quanto concerne la nascita della cultura Moche, i ricercatori collocano le sue origini tra l’anno 100 a.c. e l’anno zero, e gli attribuiscono una durata di oltre 7 secoli. La cultura Moche fu divisa in cinque fasi dall’archeologo peruviano Rafael Larco Hoyle, che realizzò una sequenza cronologica basata sullo studio di una grandissima collezione di ceramiche. Le prime tre fasi, che corrispondono al primo periodo Moche, presentano una cultura composta da una serie di gruppi indipendenti che abitavano, ciascuno, la propria vallata. Durante la terza fase, Hoyle suppose che i Moche avessero raggiunto l’unità politica ed avessero iniziato il processo di espansione verso Sud. Nella quarta fase la civiltà Mochica raggiunse il suo apogeo, soprattutto in riferimento ai traguardi culturali raggiunti. La quinta fase corrisponde alla decadenza dei Moche, caduta fortemente influenzata dall’insorgere del fenomeno culturale Huari, oltre ad una serie di catastrofi naturali provocate da un fenomeno meteorologico conosciuto come El Nino.  I Huari furono una civiltà preincaica che fiorì nel sud del Perù nel periodo compreso tra il VI ed il XIII secolo. Durante la loro fase d’espansione, che possiamo identificare nei primi decenni dalla loro comparsa, inglobarono molte delle terre delle civiltà Moche, tanto da essere una delle potenziali cause della decadenza di questa cultura.


Attraverso quali strumenti gli archeologici sono riusciti a ricostruire tratti della cultura Mochica?
Le principali fonti dalle quali attingere informazioni sono tre: le tombe, l’architettura e la ceramica. Nel corso del tempo sono state portate alla luce sepolture multiple dove il defunto, probabilmente un personaggio importante, era tumulato assieme ad una serie d’accompagnatori, sacrificati al momento della sua morte. In una serie minore di casi, i Moche preferirono deporre solo parti di un corpo umano, la testa o le mani, ad accompagnare il defunto nel viaggio nell’aldilà. Quest’usanza, innovazione introdotta dai Moche nell’America del Sud, fu seguita dal popolo che s’intrecciò e ne continuò le gesta: i Chimù.


La principale fonte di documentazione per gli studiosi sono le ceramiche; erano principalmente di colore rosso, in alcuni casi arancio o nero fumo. La maggior parte dei reperti, conosciuti come huacos, sono statuette che rappresentavano vari personaggi. I temi rappresentanti sono scene di vita reale: caccia, pesca e scene di combattimento. In un numero nettamente minore si trovano raffigurate anche figure simboliche immaginarie o antropomorfe.
Nel corso del tempo è variato l’approccio nei confronti della ritualità di questa civiltà, soprattutto per quanto concerne il cannibalismo: inizialmente, in seguito al ritrovamento di segni di scarnificazione sulle ossa d’alcuni prigionieri sacrificati, gli archeologi pensarono alla pratica del cannibalismo rituale. Successivamente, ad una più attenta analisi dei reperti, s’ipotizzò che alcuni rituali dei Moche prevedessero la scarnificazione dei sacrificati. Questo rituale fu riportato, occasionalmente, sul vasellame.


Nella maggior parte dei rituali il sangue svolgeva un ruolo fondamentale: è frequente la rappresentazione nel vasellame dell’offerta di sangue del sacrificato raccolto in una coppa.
Giungiamo, infine, al rapporto con il sesso.
I Moche credevano che il cosmo fosse formato da tre dimensioni in contatto: quella dei vivi, quella dei morti e quella degli dei. Le scene di sesso tra vivi e defunti, rappresentate nel vasellame, sono la celebrazione degli scambi tra gli abitanti del cosmo. Secondo l’antropologa Anne-Christine Taylor, “il sesso era il motore che permetteva ai tre mondi di restare in contatto”.


In funzione del titolo dell’articolo di Focus e delle esternazioni dell’antropologa Taylor, ci aspetteremmo una grandissima quantità di materiale sessuale. Sarete stupiti leggendo che solamente una percentuale residuale, circa 1%, delle ceramiche ritrovate riporta soggetti erotici, anche se alcuni sono molto elaborati. Quell’esigua percentuale è bastata a trasformare un’interessantissima cultura in una civiltà basata sul sesso, quando sarebbe stato sufficiente spiegare che una parte della religiosità si basava sull’attività sessuale. Analizzando le ceramiche a sfondo sessuale della cultura Mochica, troviamo peni eretti, masturbazioni di gruppo, sodomia, orge, sesso orale e vulve spalancate. Inoltre in alcuni casi si ritrovano scene di sesso tra uomini e defunti e tra vivi ed animali. In base alla datazione delle ceramiche, fu possibile stabilire un passaggio dal culto della fertilità al sesso come scambio tra il mondo dei vivi e quello dei morti. L’atto più rappresentato è il sesso anale, con scene di penetrazione vaginale molto rare. La Fellatio è presente, raramente, mentre il cunnilingus è assente. Sono stati rinvenuti reperti che raffigurano scheletri maschili che si masturbano o sono masturbati da donne viventi. Una possibile risposta alle rappresentazioni sessuali potrebbe attenere all’importanza per l’irrigazione, ricchezza e fondamento della civiltà, della cultura Moche. Le opere d’arte raffiguravano spesso il passaggio di fluidi, a testimonianza dell’importanza della circolazione e del flusso. Sulla base dei dettagli, realistici, delle ceramiche sono sorte diverse teorie, tra cui quella che fa riferimento alla trasmissione delle conoscenze da parte delle generazioni più anziane a quelle giovani. Conoscenze relative alla reciprocità dell’attività sessuale tra il mondo dei vivi e quello dei morti.


L’immenso patrimonio d’opere d’arte della civiltà Moche dona l’immortalità a questa semi-sconosciuta cultura, aldilà della presunta, e dimostrata per un’esigua percentuale di reperti archeologici, sfrenata attività sessuale.

Fabio Casalini

fonte: I VIAGGIATORI IGNORANTI

Bibliografia

Alva, Walter (October 1988). "Discovering the New World's Richest Unlooted Tomb". National Geographic. Vol. 174 no. 4 

M.N. Gorio, Sangue e oro dei Moche, in Gruner+Jahr/Mondadori, Milano, nº 39, gennaio 2010 

Damiano Laterza, Quanto eros fra i Moche. In Perù il primo museo dell'arte erotica Precolombiana, in Ilsole24Ore, 5 luglio 2012. 

Focus, Moche, la civiltà del sesso: mentre Roma fondava il suo impero, in Perù vivevano i Moche, un popolo dai tratti enigmatici e con una religione basata sul sesso, febbraio 2016 

Sawyer, Alan R. (1966). Ancient Peruvian ceramics: the Nathan Cummings collection by Alan R. Sawyer. New York: The Metropolitan Museum of Art.


FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.