sabato 14 luglio 2018

la strage del Monte Cimone 23 settembre 1917: mille soldati italiani finiti in un cratere




Il 23 settembre 1916 la brigata Sele è sulla cima del monte Cimone di Tonezza (VI). All’alba gli austriaci fanno esplodere due gigantesche mine che polverizzano parte della montagna e fanno strage tra le truppe italiane. Così racconta quei momenti il diario reggimentale: "Poco prima delle ore 6 del 23, il nemico fa brillare due poderose mine che squarciano e travolgono le nostre trincee della vetta del Cimone (q. 1230) ove, appena da pochi minuti il I/219° ha dato il cambio ad un battaglione della “Novara” e alla 259° compagnia alpini.  Tutti gli accessi della posizione sono sconvolti; la 1ª, 2ª e 4ª compagnia del 219° rimangono annientate dallo scoppio immane: i superstiti ammontano a due ufficiali e ventidue uomini di truppa.  Frattanto dalla q. 1217 l’avversario avanza lungo la sottile cresta resa anch’essa impraticabile dall’esplosione ma i pochi superstiti delle tre compagnie, raccolti nel lato orientale della posizione, contendono rabbiosamente al nemico la vetta ad essi affidata, seminata dei Cadaveri straziati dei loro compagni.  Il numero degli assalitori ha però presto ragione del piccolo nucleo di eroici difensori che, minacciati anche dal lato occidentale, son costretti a cedere, non senza aver inflitto agli Austriaci ingenti perdite».
La lettera di un soldato italiano, Gino Ricceri, che passò la censura:

Li 27-9-1916

Carissima Madre
Poco ò da aggiungerti alla mia cartolina antecedente dove tutto ti spiegavo. Per il presente godo ancora buona salute come spero il simile di tutti voi. Cara Madre come già avrai anche appreso sui giornali che il giorno 23 sul Monte Cimone mediante due mine gli austriaci una parte lo anno fatto saltar per aria sconcassando anche tutte le trincee e nel medesimo tempo un gran bombardamento dove i nostri anno dovuto ritirarsi per circa un centinaio di metri ma subito anche la nostra artiglieria a fatto subito il contrattacco in modo che è stata mantenuta la posizione però non posso darti nessun resultato dei danni avvenuti certamente molto bene non lo dovrà essere andata per quei miseri che lassù si trovavano. Cara Madre anche questa volta sono stato fortunato perché anch’io vi dovevo essere ma poi ci mandarono invece che sul monte Cimone nella valle di esso e del Monte Cencio cioè fra la Val D’astico e la Valdazza credi che ormai mi son visto perduto e perso ogni speranza e vero di farsi coraggio ma già è ormai troppo che ce lo facciamo e molto più invece che di sentire qualche buona cosa cioè di pace è un silenzio assoluto un vero mortorio e per dir meglio pare che la guerra incominci ora. Altro non ò da dirti saluta chi ti domanda di me saluta Fratello e sorelle più ricevi i miei saluti
tuo Figlio Gino

I fatti

Alle 5,45 del 23 settembre 1916 sul Monte Cimone ci fu una strage di soldati italiani, ad oggi sconosciuta ai più. Ne diede notizia al governo italiano il cardinale Scapinelli, nunzio apostolico a Vienna il 27 settembre 1916, ben quattro giorni dopo la strage. Due potenti mine austriache avevano fatto saltare la cima del monte, dove, in una trincea lunga quattrocento metri, un migliaio di soldati italiani erano ammassati. Ai loro piedi sì aprì una crepa di venti metri, che letteralmente li inghiottì. I soldati italiani non potevano essere soccorsi poiché dalle cime alpine circostanti i cannoni della nostra armata si erano messi a sparare su ciò che restava del monte Cimone al fine di impedire l’avanzata austriaca. Il fuoco amico seppelliva i propri soldati. Il 25 settembre il comando austriaco propose una tregua di cinque ore, dalle 14 alle 19 dello stesso giorno, per soccorrere i soldati italiani. Lo Stato maggiore italiano rispose: «Essendo accertato che le truppe austro-ungariche, come hanno potuto ugualmente soccorrere, per spirito di umanità, i feriti italiani nel lungo tempo trascorso tra l’esplosione della mina e l’inizio del fuoco italiano, il comandante d’armata non crede di poter sospendere il fuoco». L’artiglieria italiana, in realtà, non aveva mai smesso di sparare, a partire da quarantacinque minuti dopo l’esplosione delle mine. Il nunzio vaticano a Vienna chiede al Papa di intervenire sul governo italiano per sospendere i combattimenti per il tempo necessario a soccorrere i feriti. Il nunzio era stato contattato dal cappellano militare Bruno Spitzl, perché «La battaglia negava qualsiasi possibilità di salvezza per gli italiani sepolti dalla frana». Il comando d’armata italiano ha però seri dubbi sulla buonafede degli austriaci. Il presidente del consiglio Boselli fa sapere al papa che non approva il comportamento del comando d’armata italiano, ma non muove un dito per far sospendere i combattimenti.  Nei giorni seguenti gli italiani lanceranno sulla vetta del Monte Cimone i gas asfissianti. Malgrado ciò, il battaglione salisburghese impegnato nella battaglia si installò sul picco e scavò fino al 2 ottobre tirando fuori i soldati italiani. Vengono estratti ancora vivi un ufficiale e sette soldati. Alla fine gli italiani salvati dagli austriaci saranno 482 su un totale di mille, e tutti finiranno in ospedali e campi di prigionia austriaci. Il nemico rimase padrone del Monte Cimone fino alla fine della guerra.

fonte: http://larapavanetto.blogspot.com/

Fonti: A., Paloscia, Bendetto tra le spie, Editori Riuniti, Roma, 2007.
http://espresso.repubblica.it/grandeguerra/index.php?page=estratto&id=583

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