sabato 30 dicembre 2017

lo stupro di Artemisia


Artemisia Gentileschi nacque a Roma nel 1593, primogenita di sei figli. Il padre, Orazio, era un pittore nativo di Pisa che si era trasferito a Roma poiché la città era un grande centro artistico e l'atmosfera che si respirava era unica nel mondo. La riforma cattolica, in risposta alla controriforma luterana, riuscì a regalare alla città di Roma una spinta propulsiva nella ristrutturazione e nel restauro di moltissimi edifici sacri al cattolicesimo. La città fu invasa da pittori e artisti toscani, particolarmente da fiorentini. Non solo la città ma anche il Vaticano conobbe Firenze da vicino: nel cinquecento ben due Medicei ascesero al soglio pontificio con i nomi di Leone X e Clemente VII. La piccola Artemisia vide la luce in un contesto sociale e culturale in perenne movimento. All'età di dodici anni, nel 1605, rimase orfana di madre. In questo periodo la piccola si avvicinò al padre e alla sua arte, rimanendone affascinata e folgorata. Sviluppò un'ammirazione incondizionata per il padre e le opere prodotte dal suo pennello. Artemisia fu avviata alla professione sotto l'attenta guida di Orazio, che riuscì a valorizzare il precoce talento della figlia. 


Il padre, orgoglioso delle sue abilità, decise di allocarla sotto la guida di Agostino Tassi con cui collaborava alla realizzazione della loggetta della sala del Casino delle Muse a Palazzo Rospigliosi. Il Tassi, il padre di Artemisia doveva saperlo essendo un assiduo frequentatore della sua abitazione, era soprannominato lo smargiasso a causa del suo carattere violento e dei trascorsi burrascosi. Il pittore fu coinvolto in diverse disavventure giudiziarie poiché si riteneva fosse il mandante di diversi omicidi. Orazio Gentileschi era ammirato dall'arte del pittore Tassi, dimenticando le violenze dell'uomo Agostino. Grazie a questa venerazione, Orazio fu entusiasta quando il Tassi accettò di iniziare la giovane alla prospettiva. Gli eventi che seguirono presero una piega spiacevole. Agostino Tassi si innamorò di Artemisia, che all'epoca aveva diciotto anni, tentando di sedurla in diverse circostanze. La giovane ragazza non ricambiava i sentimenti del pittore, rifiutando sempre gli avvicinamenti dell'uomo che si trasformerà in carnefice. 


Nel maggio del 1611 avvenne l'irreparabile, dopo l'ennesimo rifiuto da parte della ragazza. Agostino Tassi, approfittando dell'assenza del padre della ragazza, stuprò Artemisia. La giovane rimase sconvolta per le violenze subite, tanto che tutta la sua futura arte sarà influenzata in modo drammatico da questo evento. La violenza carnale si consumò nell'abitazione dei Gentileschi, in via della Croce, con la compiacenza di Cosimo Quorli, furiere della camera apostolica e di una vicina di casa che era solita accudire Artemisia quando il padre non era in casa. La giovane descrisse la violenza con le seguenti parole: «Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch’io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne». Agostino Tassi, per rimediare al disonore arrecato, avanzò la promessa di sposare la ragazza. 


Il matrimonio riparatore è presente già nella Bibbia, nel Deuteronomio 22, 23-29: «quando una fanciulla vergine è fidanzata e un uomo, trovandola in città, giace con lei, condurrete tutti e due alla porta di quella città e li lapiderete a morte: la fanciulla, perché, essendo in città, non ha gridato, e l'uomo perché ha disonorato la donna del suo prossimo. Così estirperai il male in mezzo a te. Ma se l'uomo trova per i campi la fanciulla fidanzata e facendole violenza giace con lei, allora dovrà morire solo l'uomo che è giaciuto con lei, ma non farai nulla alla fanciulla. Nella fanciulla non c'è colpa degna di morte: come quando un uomo assale il suo prossimo e l'uccide, così è in questo caso, perché egli l'ha incontrata per i campi. La giovane fidanzata ha potuto gridare, ma non c'era nessuno per venirle in aiuto. Se uno trova una fanciulla vergine che non sia fidanzata, l'afferra e giace con lei e sono colti in flagrante, l'uomo che è giaciuto con lei darà al padre di lei cinquanta sicli d'argento; ella sarà sua moglie, per il fatto che egli l'ha disonorata, e non potrà ripudiarla per tutto il tempo della sua vita». Il costume del matrimonio riparatore sopravvisse nella cultura occidentale sino a tempi molto recenti: in Italia la prima donna che si ribellò a questa consuetudine fu Franca Viola. Sino al 1981 in Italia un uomo che commetteva nei confronti di una donna stupro o violenza carnale, onde evitare il processo, poteva offrire alla ragazza il matrimonio riparatore facendo cessare ogni effetto penale e sociale del suo delitto. Artemisia cedette alle richieste di Agostino Tassi, continuando ad intrattenere rapporti intimi con lui nella speranza del matrimonio, che mai arriverà. 


Il padre, prontamente informato dalla figlia, decise di tacere nell'attesa degli eventi. Nel marzo del 1612 la famiglia Gentileschi scoprì che Agostino era coniugato, quindi impossibilitato al matrimonio. Orazio ribollì di rabbia, tanto da decidere di scrivere una petizione a papa Paolo V, dimenticando i vincoli professionali che lo legavano ad Agostino Tassi. Nella denuncia si leggeva: «una figliola dell'oratore [querelante] è stata forzatamente sverginata e carnalmente conosciuta più et più volte da Agostino Tasso pittore et intrinseco amico et compagno del oratore, essendosi anco intromesso in questo negozio osceno Cosimo Tuorli suo furiere; intendendo olre allo sverginamento che il medesimo Cosimo furiere con sue chimere abbia cavato dalle mane della medesima zitella alcuni quadri di pitture di suo padre et in specie una Juditta di capace grandezza. Et pechè, B[eatissimo] P[adre], questo è un fatto così brutto et commesso in così grave et enorme lesione et danno del povero oratore et massime sotto fede di amicizia che del tutto si rende assassinamento». Ebbe inizio un processo durissimo e complicato per Artemisia, che fu compromesso dall'utilizzo di falsi testimoni da parte della difesa. Lo scopo era quello di minare la reputazione della famiglia Gentileschi. La ragazza, ancora profondamente colpita nell'animo, fu costretta a interminabili e ripetute visite ginecologiche durante le quali il fisico fu esposto alla morbosa curiosità dei presenti. Un notaio accertò la lacerazione subita. Non bastò. Per verificare la veridicità delle accuse, le autorità giudiziarie disposero che Artemisia Gentileschi fosse sottoposta ad un interrogatorio sotto tortura. Il supplizio scelto dai nuovi carnefici, così mi sento di definire coloro che amministravano al tempo la giustizia, fu quello dei Sibilli: consisteva nel legare i pollici a delle cordicelle che, tramite l'utilizzo di un randello, si stringevano sempre di più sino a stritolare le falangi. Artemisia avrebbe rischiato di perdere la capacità di dipingere, quindi il futuro. 


La forza di voler vedere riconosciuti i propri diritti, e le colpe del suo carnefice, fu una straordinaria prova di carattere. Sotto tortura non ritrattò nulla. Il 27 dicembre del 1612 le autorità condannarono Agostino Tassi per sverginamento. La pena consisteva in 5 anni di reclusione o, in alternativa, l'esilio perpetuo da Roma. La scelta era a discrezione del carnefice. Il pittore scelse l'allontanamento ma non abbandonerà mai Roma, coperto da amici e committenti potenti che esigevano la sua presenza in città per concludere i lavori che gli erano stati affidati. Chi pagò doppiamente fu Artemisia, violata nel fisico e nella credibilità da parte di un popolo ignorante e maschilista. Molti romani credettero ai falsi testimoni procurati dalla difesa del Tassi, creando una grandissima quantità di sonetti licenziosi con la pittrice come protagonista. Il 29 novembre del 1612, il giorno successivo all'epilogo del processo, Artemisia si sposò con un modesto pittore fiorentino, Pierantonio Stiattesi. Artemisia Gentileschi seguì lo sposo nella città sulle rive dell'Arno, per seguire l'attività del ragazzo, la propria bravura ma soprattutto per lasciarsi alle spalle una violenza che non l'abbandonerà mai.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

Bibliografia
Tiziana Agnati, Artemisia Gentileschi, in Art dossier, vol. 172, Giunti, 2001 

Giorgio Cricco, Francesco Di Teodoro, Il Cricco Di Teodoro, Itinerario nell’arte, Dal Barocco al Postimpressionismo, Versione gialla, Bologna, Zanichelli, 2012 

Emma Bernini, Roberta Rota, Storia dell'Arte. Il Cinquecento e il Seicento, Bari, Laterza, 2001 

Marialuisa Vallino, Valeria Montaruli, Artemisia e le altre: Miti e riti di rinascita nella violenza di genere, Armando Editore, 2016 

Judith Walker Mann, Artemisia e Orazio Gentileschi, Milano, Skira, 2001

Francesco Solinas, Sono Artemisia e ardo d'amore, Il Sole 24 Ore, 18 settembre 2011

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

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