giovedì 15 giugno 2017

lettera di un Templare


I fatti qui riportati potrebbero turbare la quiete dei lettori più sensibili, la storia si basa su fatti storici veramente accaduti, intrecciati a delle leggende tramandate da secoli.
La descrizione seguente ed il personaggio sono frutto della mia fantasia.

Varcammo le alte mura di Costantinopoli nella buia notte del 12 aprile 1204, un silenzio solenne arieggiava come uno spettro dannato per maledirci di tale affronto, noi mortali ed ignoranti non potevamo ancor comprendere che il male si vestiva di giustizia e di verità nelle nostre menti, ero solo un giovane cavaliere templare che aveva giurato con la spada di combattere per Dio e la fede, ma in questa notte solo il maligno prese il dominio, Dio era morto, o mai esistito.
L'ingegnosità veneziana fece costruire delle piattaforme sulle cime degli alberi delle navi per poi inclinarle facendole toccare in un bacio di morte alle pietre millenarie di quelle mura, appena il legno veneto tocco la pietra bizantina come schegge penetrammo con le spade affamate di sangue martoriando ogni soldato che incontravamo sulla via, morivano come bestie impaurite, cristiani come noi cadevano sotto le nostre spade cattoliche e non appena fummo all'interno della città, crociati tedeschi appiccarono un incendio devastante che costrinse l'imperatore Alessio V a fuggire.
Il caos e la ferocia regnarono sovrani in quella notte, corpi mutilati di bambini morenti a terra, ricoprivano di rosso le vie della città,  le donne vennero stuprate, i vecchi trucidati ed ogni tesoro, reliquia venne saccheggiata, ricordo ancor che io e i miei compagni inorriditi e spaventati dalla nostra prima crociata, ci rifugiammo all'interno della Cattedrale di Santa Sofia, violentata e privata di ogni suo oro, di ogni sua icona sacra e della sua eterna maestosità, vidi con gli occhi colmi di lacrime una prostituta francese canticchiare ubriaca strofe volgari seduta sul trono del patriarca, e ai suoi piedi cadaveri di bambini e madri che si rifugiarono nella notte sotto la muta protezione divina.
Il terzo giorno di saccheggio e devastazione, si udirono voci che dei soldati violentarono suore in dei conventi e che Enrico Dandolo Doge di Venezia sedeva tenebroso sul trono di Costantinopoli.



La mia compagnia in quel meriggio, trovò una strana nicchia nei sotterranei di una piccola desolata cappella, al suo interno le pareti erano affrescata da arcaiche profezie e i suoi tesori splendevano come la luce del sole nell'oro delle sue coppe, eravamo in sei templari seguiti da un vecchio abate quando con ferocia il più anziano fra noi impaurito dagli sguardi severi della volta celeste sopra la nostra testa e dagli inferi dipinti dinanzi ai nostri occhi decise di fracassare la nicchia con un colpo violento di spada e nel frastuono, in terra cadde un vecchio scrigno in ferro battuto, prima di aprir quel tesoro, giurammo tra noi di non rivelare a nessuno ciò che stava per succedere, e quando io, il più giovane fui incaricato di aprire lo scrigno, con mani tremanti, sollevai quell'antico pezzo di legno ed un volto imponente inciso su di un lino ingiallito dal tempo si gettò sul mio sguardo impaurito, sollevai il telo in lacrime, e lo stesi sull'altare dinanzi all'affresco del paradiso, ci inginocchiammo tremanti quando vidimo sui polsi e sui piedi i segni della crocifissione e sul petto la perforazione del costato da parte di una lancia, alzai il volto in estasi quando riportai i miei occhi su quell'uomo misterioso che la morte aveva dominato e vinto, e nonostante la fronte insanguinata dalla corona spinata, il suo sguardo evocava beatitudine, sino a poter respirar la sua grandezza e la mia inutile piccolezza. Cristo risorto era dinanzi ai nostri capi trattenuto sul telo funebre che lo avvolse nel gelido attimo della sua morte terrena.
Dopo aver pregato ai suoi piedi, decidemmo che essa doveva appartenere all'ordine dei templari e venerata come testimonianza della venuta di Nostro Signore, abbandonammo segretamente Costantinopoli con l'intento di giungere ad Atene, lontano dagli ingordi Veneti che riempivano il loro grasso tesoro di ogni oro e opere d'arte.
Posai l'ultimo sguardo sugli occhi di Cristo, mentre ripiegavamo il lino nella cassa e come un lampo ebbi la consapevolezza, che la sofferenza, l'umiltà e la miseria rendeva tutte quelle persone più vicino alla sua passione, alla sua misericordia, e che il suo più grande insegnamento era violato dagli uomini più che la bestemmia. “Amatevi fratelli come io ho amato voi”.
Regnava ancor in quella stanza un silenzio sacro accompagnato da invisibili mani che mi accarezzavano il volto, e l'odore di rosa penetrava fino alle ossa, nonostante qui non vi fosse neanche l'ombra di un petalo.
Ogni leggende era vera.
Ora ho un nuova missione più grande da compiere madre.
Un nuovo inizio.
Una nuova nascita nella consapevolezza.
Non tornerò in Francia,
Addio.


Simone De Bernardin

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

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