venerdì 3 febbraio 2017

3 agosto 1922 Parma respinge i fascisti


In seguito all’inasprirsi delle violenze fasciste contro le organizzazioni e le sedi del movimento operaio e democratico, l’Alleanza del Lavoro (organo di un ampio fronte sindacale) proclamò per il 1° agosto 1922 uno sciopero generale nazionale in “difesa delle libertà politiche e sindacali”. Contro la mobilitazione dei lavoratori si scatenò la violenza delle squadre fasciste lungo tutta la penisola.
L’Alleanza del Lavoro sospese lo sciopero il 3 agosto, ma le aggressioni aumentarono e solo in poche città fu organizzata la resistenza alle azioni delle camicie nere. Le spedizioni punitive ebbero così un totale successo con la distruzioni di circoli, cooperative, sindacati, giornali ed amministrazioni popolari.
A Parma, sola eccezione, gli sviluppi dello sciopero furono ben diversi: la città divenne teatro di una resistenza armata alle squadre fasciste che, dopo cinque giorni di combattimenti, risultò vittoriosa. I lavoratori avevano risposto compatti allo sciopero e, forti delle tradizioni locali del sindacalismo rivoluzionario, mostrarono ancora una volta grande capacità di mobilitazione e di combattività.
Parma era “rimasta quasi impermeabile al fascismo” ed inoltre, dal luglio 1921, operava contro le aggressioni delle squadre nere l’organizzazione armata degli Arditi del Popolo, costituita dal deputato socialista Guido Picelli, che reclutava giovani lavoratori soprattutto tra le fila del socialismo radicale e dell’anarchismo.
Nei giorni di agosto furono mobilitati dal Partito Fascista per la spedizione su Parma circa 10.000 uomini, giunti dai paesi del Parmense e dalle province limitrofe; a comandarle venne inviato Italo Balbo, già protagonista di analoghe spedizioni militari a Ravenna e a Forlì.
Mentre a livello nazionale lo sciopero si esauriva e il fronte democratico veniva sconfitto, a Parma la resistenza si faceva sempre più tenace e, nei borghi dietro le barricate popolari, i poteri passarono al direttorio degli Arditi del Popolo e al suo comandante Picelli.
All’alba del 2 agosto 1922 affluiscono a Parma circa 15 mila squadristi provenienti da tutta l’Emilia, dal Veneto, da parte della Toscana, dal Manto­vano e dal Cremonese. Il prefetto e il questore ritirano tutta la forza pubblica dai quartieri a rischio (l’Oltretorrente e il Naviglio), mentre gli arditi del po­polo, – che da giorni attendevano la spedizione punitiva – si organizzano:
I caposquadra – racconterà Picelli dodici anni più tardi – scelti fra gli operai militari, eb­bero il compito dell’addestramento degli uomini, mentre gli addetti ai servizi speciali furono incaricati di mantenere il contatto coi soldati dei reggimenti di permanenza a Parma per il rifornimento di armi e munizioni. […] Il Comando degli «Arditi del Popolo» appena ebbe no­tizia dell’arrivo dei fascisti, convocò d’urgenza i capi squadra e capi gruppo e dette loro di­sposizioni per la costruzione immediata di sbarramenti, trincee, reticolati, con l’impiego di tutto il materiale disponibile. All’alba, all’ordine di prendere le armi e insorgere, la popolazio­ne operaia scese per le strade, impetuosa come le acque di un fiume che straripi, con picconi, badili, spranghe ed ogni sorta di arnesi, per dar mano agli «Arditi del Popolo» a divellere pie­tre, selciato, rotaie del tramway, scavare fossati, erigere barricate con carri, banchi, travi, la­stre di ferro e tutto quanto era a portata di mano. Uomini, donne, vecchi, giovani di tutti i par­titi e senza partito furono là; fusi in una sola volontà di ferro: resistere e combattere.
Viene quindi divisa la città in quattro settori: due nell’Oltretorrente (Nino Bixio e Massimo D’Azeglio) e due in Parma nuova (Naviglio e Aurelio Saf­fi). Le squadre di arditi del popolo, composte da otto-dieci uomini, si suddi­vidono le zone d’operazione sulla base dell’estensione territoriale dei quar­tieri. Ventidue sono impegnate in Oltretorrente, sei nel Naviglio e quattro nel rione Aurelio Saffi: circa trecento uomini, solo la metà dei quali armati di fucili modello 1891, moschetti, pistole d’ordinanza, rivoltelle automati­che e bombe SIPE. Nei punti ritenuti tatticamente importanti vengono rafforzate le difese e gli sbarramenti minando il sottosuolo; i campanili ven­gono numerati e utilizzati come osservatorii. I poteri passano nelle mani del Comando degli Arditi del popolo, costituito da un ristretto numero di operai (eletti dalle squadre) tra i quali viene ripartita la direzione delle branche di servizio: “difesa e ordinamento interno”, “approvvigionamenti” e, infine, “sanità”. I commercianti e le classi medie simpatizzano con gli antifascisti e mettono a loro disposizione l’occorrente (viveri e quant’altro).
Dall’altra parte delle barricate il ritratto ora esposto viene confermato. Nel suo stile telegrafico posticciamente tardo-futurista, il comandante su­premo della spedizione punitiva (appena giunto da Ferrara), ricorderà così la situazione:
I dirigenti di Parma mi danno l’antefatto. I fascisti locali pochi: la città è rimasta quasi impermeabile al Fascismo: invece nella provincia la conquista fascista è quasi completa. Lo sciopero non potè essere impedito in città per la debolezza delle nostre forze. Fu più o meno generale. […] Parma divisa secondo i vecchi confini dalle fazioni in lotta: l’oltretorrente completamente in mano dei rossi. La popolazione asserragliata nelle case trasformate in for­tezze, con abbondanza d’armi e di tiratori scelti sui tetti: le strade bloccate da barricate col materiale delle scuole e delle chiese.
E, a proposito dello schieramento avversario, Balbo, dopo aver osser­vato genericamente che il fulcro della resistenza sono i comunisti, annota nel suo diario:
Forze avversarie. – Hanno solidarizzato con i rivoltosi: la Camera del lavoro sindacalista, con Alceste De Ambris alla testa. […] La Camera del lavoro socialista […]. Molti popolari. Partecipano alla resistenza sovversiva persino alcuni preti in sottana che hanno offerto viveri e banchi di chiesa per gli sbarramenti. I giovani popolari sono capeggiati da un noto avvocato della città. Frazioni di partiti borghesi, legati alla democrazia nittiana […]
In effetti lo schieramento politico che appoggia i rivoltosi è assai ampio. Ma una tale ampiezza gli deriva dall’essere uno schieramento sociale di po­polo, non certo un blocco di sigle, molte delle quali contrarie a qualsiasi ten­tativo di risposta violenta al fascismo. I socialisti, i comunisti e ancor più i popolari, che appoggiano attivamente la rivolta, lo fanno in dissenso, o quan­tomeno discostandosi, dall’indirizzo delle rispettive direzioni politiche. (Come sottolinea Dianella Gagliani (che ha raccolto alcune testimonianze, tra le quali quel­la di Dante Gorreri), la mediazione raggiunta dai comunisti parmensi con la “Centrale” fu quella di partecipare alla difesa unitaria con proprie squadre, subordinate al Comando degli Arditi del popolo. “Gruppi comunisti avevano il controllo militare di alcune vie, sostanzial­mente all’interno dell’organizzazione degli arditi del popolo” (cfr. D. Gagliani, Arditi del popolo, in AA.VV., Dietro le barricate, cit., p. 166). La partecipazione come combattenti di operai e, in generale, di cittadini che facevano riferimento al PPI ci viene confermata, oltre­ché dallo stesso Picelli (in tempi non sospetti, cioè prima del VII congresso dell’IC), dalla morte del consigliere popolare del PPI Ulisse Corazza (colpito al capo da una fucilata dopo essersi presentato – come scrisse Picelli – qualche ora prima, “col proprio moschetto a un ca­posquadra, per chiedere di partecipare al combattimento a fianco degli «Arditi del Popo­lo»”). Anche la partecipazione dei sacerdoti è confermata da più parti: il parroco di San Giu­seppe, ad esempio, mise a disposizione i banchi della sua chiesa per costruire una barricata, ma si oppose fermamente a Picelli quando questi gli chiese di issare la bandiera rossa sul campanile (cfr. Pietro Bonardi Cattolici e chiesa nella lotta politica, in AA.VV., Dietro le barricate, cit., pp. 271-72). Anche Balbo nel suo diario, dopo aver annotato la morte di Ulis­se Corazza, scrive: “I fascisti hanno visto un grosso prete rubicondo agitarsi dietro le barri­cate dei sovversivi a portare panche e sedie di chiesa. Momento di aberrazione. Contrasto con le parole cristiane di Monsignor Conforti [l’arcivescovo di Parma che la sera prima era andato a trovare Balbo con l’intento di pacificare le parti]” (I. Balbo, cit., p. 131).)
Le uniche forze politico-sindacali che sostengono apertamente la rivolta (oltre al nucleo “picelliano” della Camera confederale del lavoro di via Imbriani) so­no quelle dei sindacalisti rivoluzionari dell’UldL (con sede presso la Camera del lavoro di Borgo alle Grazie, guidata da Vittorio Picelli, fratello di Guido), dell’Unione sindacale parmense (aderente all’USI) e dei libertari (UAI).
La difesa di Oltretorrente è una lotta di popolo vera e propria. La divi­sione tra combattenti e ausiliari non-combattenti, usuale per qualsiasi con­flitto civile (si pensi alla Resistenza), non è in questo caso ben determina­bile. Accanto ai circa trecento arditi del popolo c’è infatti la quasi totalità della popolazione. Come annota Picelli, dopo aver descritto la situazione nel borgo del Naviglio:
Anche nell’Oltretorrente i servizi andarono man mano migliorando: requisizione e distribu­zione di viveri, posti di medicamento, cucine, vigilanza, informazione, rafforzamento delle co­struzioni difensive. Grande fu la partecipazione delle donne, le quali accorsero ovunque a pre­stare l’opera loro preziosissima e ad incitare. […] Un elemento molto importante del successo nella lotta armata è la certezza di vincere. È interessante osservare come questa «certezza» fosse in ognuno assoluta; nessuno ebbe il più piccolo dubbio. Nelle case si attese alla fabbricazione di ordigni esplodenti, di pugnali fatti con lime, pezzi di ferro, coltelli, e alla preparazione di acidi Dalle finestre di una delle casupole di Borgo Minelli, una ragazza di diciassette anni, tenendo le­vata in alto la scure ed agitandola, gridò ai compagni sulla via: «se vengono io sono pronta!». Alle donne vennero distribuiti recipienti pieni di petrolio e di benzina, poiché in base al piano di­fensivo, nel caso in cui i fascisti fossero riusciti ad entrare in Oltretorrente, il combattimento si sarebbe svolto strada per strada, vicolo per vicolo, casa per casa, senza risparmio di sangue, con lancio di liquidi infiammabili, contro le camicie nere e sino all’incendio e alla distruzione com­pleta delle posizioni.
Notizie, queste, confermate da Balbo che così descrive, lasciando an­che trasparire una certa dose di ammirazione, l’organizzazione della dife­sa in Oltretorrente:
Partecipano alle azioni le donne e i ragazzi. Ora per ora le trincee vengono approfondite e perfezionate. Servizio di sentinella. Operai che si danno il turno. Disciplina militare. Picelli ha il suo quartier generale al centro dell’oltretorrente. Arditi del popolo militarizzati. Stato mag­giore. Disciplina di guerra. […] Molti operai sono in divisa di ex soldati col relativo elmetto. I ragazzi sono in gran parte adibiti a spari a tradimento che colpiscono i fascisti persino nella piazza maggiore della città. Mentre i difensori sono di guardia alle trincee, le donne, mobilitate anch’esse, preparano il rancio. Sono coadiuvate da gruppi di cucinieri. Le popolane portano al­le cucine antifasciste pane, vino, frutta, lardo, patate. Il rancio viene distribuito due volte al giorno. L’ora del rancio è fissata con uno squillo di tromba. Altri squilli regolano l’ora della ri­tirata e l’ora della sveglia, nonché gli allarmi.
In realtà, contrariamente a quanto afferma Balbo, i giovanissimi (come il quattordicenne Gino Gazzola, ucciso inerme da un cecchino fascista) sono impiegati sui tetti e sui campanili in servizio di pattugliamento, men­tre le armi e le munizioni in possesso degli insorti non sono poi molte. An­zi, alcuni di loro, utilizzando un espediente di rimembranza garibaldina, durante la notte salgono sui tetti armati di tubi e bastoni impugnati a mo’ di fucile.
Il rapporto con i soldati di truppa è un altro aspetto saliente della condotta dei resistenti. Il tentativo di occupare il quartiere popolare da parte del generale Lodomez – al quale nel frattempo erano passati i poteri – fallisce per due moti­vi: per la netta opposizione del Comando degli Arditi del popolo al tentativo mediatorio del comitato cittadino dell’AdL e a qualsiasi richiesta di smobilita­zione avanzata dagli ufficiali (con la promessa che i fascisti si sarebbero poi al­lontanati dalla città), ma soprattutto perché i difensori accolgono i soldati del generale letteralmente a braccia aperte. (Come nota Picelli: “Gli ufficiali protestarono dicendo che avevano l’ordine; ma gli operai non cedettero. Anch’essi avevano un ordine! Il contegno dei soldati fu tale da non incoraggiare gli ufficiali ad insistere troppo. Due ore dopo il battaglione venne ritirato. Le manovre di com­promesso furono sventate e il tentativo di disarmare gli operai fallì” )
Un Balbo indignato scrive infatti:
Alle 14 le truppe del generale Lodomez entravano nei quartieri occupati dai sovversivi con mitragliatrici e con due cannoni. L’apparato di forze era grande. Si riteneva accanita la resistenza degli avversari. Invece non è stato sparato un colpo di fucile. Gli operai stessi han­no aiutato i soldati a sgombrare le barricate e a disfare le trincee. Da tutte le viuzze dell’oltre-torrente le masse sovversive accorrevano incontro ai soldati gridando «viva l’esercito prole­tario». Applausi senza fine agli ufficiali. Molti soldati abbracciati dalle donne che offrivano vino. Segni di vittoria in tutti i quartieri che fino a pochi momenti prima erano in stato di guerra. Le truppe, i carabinieri e le guardie regie non hanno sequestrato che tre o quattro mo­schetti. […] In una piazzetta dell’oltretorrente è stata scodellata ai soldati una polenta di 15 chili. Non sono mancate le musiche e i balli popolari.
Il mistero di questa manifestazione di giubilo e di solidarietà con l’Esercito è stato subito svelato. Il prefetto Fusco è sceso a patti con gli arditi rossi di Picelli. […] Si è presentata a Picelli la soluzione prefettizia come una clamorosa vittoria delle organizzazioni rosse […]. In­somma era tutto un equivoco. Inoltre le dimostrazioni fatte all’Esercito suonavano oltraggio all’Esercito stesso, che si tendeva a far apparire come bolscevizzante. (Se non corrisponde a verità il fatto che il prefetto Federico Fu­sco, uomo di Facta, simpatizzasse con gli insorti, è però vero che la sua condotta (ispirata dall’esclusiva volontà di non far giungere le parti a un sanguinoso scontro fisico) fu diversa da quella della maggioranza degli altri prefetti del regno, quasi tutti filofascisti. Come ha do­cumentato Palazzolo il prefetto di Parma inviò, il 6 agosto del ’22, un telegramma in cui si dice tra l’altro che “neanche il minimo atto di ostilità è stato compiuto dai socialisti contro la truppa e i Funzionari ed Agenti della forza pubblica […]. I socialisti hanno sparato e costrui­to barricate solo per difendersi dai fascisti, né occorre che io smentisca di avere, anche con un tacito consenso, incoraggiato tali barricate.” ).
In sintesi, dopo tre giorni di combattimenti che impegnano più che l’Ol­tretorrente il quartiere Naviglio (la cui difesa viene organizzata dall’anarchi­co Antonio Cieri), le truppe di Balbo devono battere in ritirata.
CRONACA (da la Gazzetta di Parma del 3 agosto 1922)
Lo sciopero iniquo
Se non fosse il movimento dj truppe, ed il girare attorno, sempre a tutte le ore compiendo miracoli di resistenza dei pochi funzionari e agenti della forza pubblica, non si avrebbe affatto l’im­pressione che lo sciopero… prosegue.
Mancano i treni cittadini? Ma se forse, è meglio.
Tutti i servizi procedono regolarmente. Gli spazzini stessi, ora che si sono messi a ragionare con la toro testa e non più con quella dei mestatori e dei politicanti, sono fermi al loro posto.
Mentre prima, facevan forse peggio dei tramvieri.
I ferrovieri (personale di fatica) si so­no messi quasi tutti in sciopero. Ilt de­posito di Parma con circa quattrocen­to agenti, ha più di trecentocinquanta scioperanti.
E ciò — ci diceva l’Ispettore della circoscrizione Ing. Carini — mentre a Piacenza. Reggio Emila e Modena, non uno ha scioperato, tutti sono rimasti fermi, comprendendo a pieno, quanto sia pazeesco e iniquo questo sciopero.
Eppure, a Parma, sono passati par­titi, arrivati, tutti i treni viaggiatori ed anche qualche treno merci a grande velocità.
In stazione fanno servizio squadre di fasciati; sui treni viaggiano dei fascisti; il personale di macchina è di ferrovieri fascisti.
Ed i treni passano recando le ban­diere dai sacri colori della patria sulle locomotive.
E tutto questo ieri ha dato molto fastidio agli scioperanti ma più che a loro alla teppa che s’affaccia sempre ovunque, che viene sempre a galla quando c’è un po’ di movimento in giro. Tanto che nel pomeriggio, ad un treno che passava, ornato di bandiere è stato sparato contro, da sotto il cavalcavia di via Trento.
Dal treno è stato risposto.
E poi essendo accorsa una squadra di fascisti in perlustrazione, questa nel piazzale interno della Barriera Gari­baldi, venne accolta, da motteggi e fischi.
I fascisti fermatisi, avendo ricevuta una nuova ed eguale dimostrazione ostiìle si slanciarono contro i malintenzionati. Ma questi fuggendo verso viale Mentana e riparando nelle case di borgo del Naviglio, spararono sui fascisti, numerosi colpi di rivoltella.
I fascisti tentarono di retrocedere per entrare in via XX Settembre per pren­dere alle spalle gli sparatori, ma anche in questa strada, malgrado la si vedesse vuota sino in fondo si sparava.
I fascisti erano tutti disarmati, ma nelle case di questo quartiere si usa­vano contro di loro le armi d’ogni sor­ta; che son sempre pronte a portata di mano, e che alla Questura son venne, mai fatto di rinvenire.
Intervenuti i carabinieri, col vice-questore ed il Comandate la Squadra Mobile, i i fascisti si ritirarono.
Ma il dott. Di Sero che aveva affron­tato da solo, con la rivoltella spiana­te, i fascisti non della città e non aven­do segni esteriori di riconoscimento, si ebbe una bastonata che gli ruppe il cap­pello di paglia.
Infatti di fascisti ne sono convenuti in città in numero grandissimo, e hanno continuato ad arrivare per tutta la notte.
Essi sono acquartierati nelle scuo­le di S. Marcellino, delle quali si sono impossessati di sorpresa e vi bivaccano attendendo ordini.
Il Comitato locate dell’ «Alleanza del lavoro» ( ?) ha lanciato un manifestino per inneggiare alla riuscita dello scio­pero che «deve proseguire con rinno­vato fervore» e si compiace perché — esso dice — «l’ordine di effettuare lo sciopero generale è stato accolto ovun­que con entusiasmo vivissimo.».
Si vede che non vuol sentile «l’Alleanza del lavoro » ( ?) le bestemmie che tirano al suo indirizzo gli operai che sono obbligati dalla prepotenza di pochi politicanti, ben stipendiati, a perdere numerose giornate di lavoro.
La Federazione Commerciale Indu­striale Parmense, ha lanciato anch’essa un manifesto agli Industriali e Commercianti, avvertendo che «se nella dannata ipotesi che il movimento di rivolta sovversiva tendesse a prolungarsi oltre le 48 ore, la Federazione, d’accordo con tutte le organizzazioni consorelle d’I­talia agirà inesorabilmente con estrema energia perché esso movimento, venga inesorabilmente stroncato per il bene della Patria e di tutte le classi di cit­tadini».
In città tutti i negozi sono aperti, e la bandiera italiana sventola ovunque per le vie principali. E’ questo forse, il primo sciopero che si svolge con tutti i negozi aperti.
I portalettere, quelli che sono sem­pre, pronti per le feste di Ferragosto, Natale e Pasqua ad essere complimentosi, a salire fino ai quarti piani, a fare inchini e salamelecchi, si sono astenuti dal lavoro. Gli altri, i benpen­santi, sono in afficio e fanno la distribuzione delle corrispondenze dall’ufficio stesso, coadiuvati all’esterno da portalettere militari. Il Direttore e l’Ispettore delle Poste, i capi d’Ufficio per facilitare al pubblico il ritiro del­le corrispondenze, vigilano a che que­ste siano ripartite per quartieri e per strade, a mano a mano che giungano. Poiché gli arrivi e le partenze si suc­cedono con ogni regolarità. Da certi paesi, come ad esempio, Langhirano, la posta è stata portata in città dai fa­scisti in automobile.
Da yuotube una canzone dedicata alle barricate di Parma tratto dall’album “900 Nero 900 Rosso 900 Amore in Blu” (2011)
Alfonso Borghi – Voce, cori, chitarra acustica
Giorgio Terenziani – Basso, programmazione, chitarra acustica solista
Elisa Gior
Fonti:
Eros Francescangeli – Arditi del Popolo – Ed. OdradeK
Gazzetta di Parma del 3 Agosto 1922
fonte: https://storiedimenticate.wordpress.com

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