giovedì 2 maggio 2013
pupù
mi ricordo, mi ha detto, che quando avevo 6 o
7 anni mia madre mi portava sempre
dal dottore e diceva: "non ha fatto la pupù".
lei mi chiedeva sempre: "hai fatto la
pupù?".
sembrava la sua domanda preferita.
e, naturalmente, non potevo mentire, avevo seri problemi
a fare la pupù.
ero tutto un groviglio dentro.
colpa dei miei genitori.
guardavo quegli enormi esseri, mio padre,
mia madre, e sembravano davvero stupidi.
a volte pensavo che facessero solo finta
di essere stupidi perché nessuno poteva essere davvero così
stupido.
ma non fingevano.
mi avevano aggrovigliato dentro come un pretzel.
voglio dire, ero costretto a vivere con loro, mi dicevano
cosa fare e come farlo e quando.
mi davano vitto, alloggio e vestiti.
e ancor peggio, non c'era nessun altro posto dove potessi
andare, nessun'altra scelta:
dovevo stare con loro.
voglio dire, non sapevo molto a quell'età
ma sentivo che loro erano masse informi
di carne e poco altro.
il momento della cena era il peggiore, un incubo
di risucchi, sputi e conversazione idiota.
tenevo gli occhi bassi dentro al piatto e cercavo
di inghiottire il cibo ma
dentro si trasformava tutto in colla.
non digerivo né i miei genitori né il cibo.
deve essere stato quello, perché per me era un inferno
fare la pupù.
"hai fatto la pupù?"
ed eccomi nello studio del dottore di nuovo.
aveva più sale in zucca dei miei genitori ma
non molto.
"dunque, dunque, mio bell'ometto, non hai fatto la pupù, eh?"
era grasso con l'alito cattivo e puzzava di sudore e
aveva un orologio da taschino con una grossa catena d'oro
che gli ciondolava sulla pancia.
pensavo, scommetto che lui fa montagne di pupù.
e guardavo mia madre.
aveva grosse chiappe,
me la immaginavo in bagno,
là seduta leggermente strabica, che faceva la pupù.
era così placida, proprio
come un piccione.
due veri cagoni, in cuor mio lo sapevo.
gente disgustosa.
"allora, ometto, non riesci a fare la pupù,
eh?"
la trasformava in una specie di barzelletta: lui la faceva,
lei la faceva, il mondo la faceva.
io non la facevo.
"dunque, allora, ti daremo
queste pillole.
se non funzionano, indovina
un po'?"
non rispondevo.
"forza, ometto, rispondimi."
va bene, decidevo di dirlo.
volevo andarmene da lì:
"un clistere".
"un clistere" sorrideva.
poi si rivolgeva a mia madre.
"e lei sta bene, cara?"
"oh, io sto bene, dottore!"
certo che stava bene.
faceva la pupù a comando.
poi ce ne andiamo dallo studio.
"il dottore è un uomo gentile, vero?"
non rispondevo.
"vero?"
"sì."
ma nella mia mente cambiavo la risposta in, sì,
fa la pupù.
lui assomigliava a una pupù.
il mondo intero faceva la pupù mentre io
dentro ero aggrovigliato come un pretzel.
poi uscivamo per strada
e guardavo la gente che passava
e tutta la gente aveva il sedere.
"notavo sempre solo quello" mi ha detto,
"era orribile."
"dobbiamo avere avuto infanzie
simili" ho detto.
"però non è che la cosa ci aiuti"
ha detto.
abbiamo dovuto superare entrambi questa
cosa" ho detto.
"ci sto provando" ha
risposto.
CHARLES BUKOWSKI
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