mercoledì 7 ottobre 2015

Lucerna Zurigo San Gallo

che bella la Svizzera.
davvero, non sto scherzando.
certo, rispetto ai miei viaggi in Europa di qualche anno fa...Scozia, Bretagna, Spagna, Croazia e Slovenia, Austria e Repubblica Ceca...due giorni in Svizzera fanno ridere.
ma i tempi sono questi, soldi pochi, come tutti, da 15 gg a 2, dalla Scozia alla Svizzera.
eppure la Svizzera è bella. 
ma inaccessibile.
forse i giorni avrebbero potuto essere 5 ma i costi, soldi pochi, sono esorbitanti.
dormire e, soprattutto, mangiare in Svizzera è un investimento impensabile per una famiglia in difficoltà.
ci abbiamo provato a Lucerna ma, all'arrivo del conto per quattro miseri wuster e una birra, siamo svenuti a terra e il giorno dopo, a San Gallo, abbiamo rinunciato ai ristorantini all'aperto per andare da McDonald's. e ho detto tutto.
eppure, anche il conto di Mc è stato da denuncia. leggevo che il costo di un pasto medio da McDonald's serve da rilevatore del costo medio della vita in ogni singolo paese.
bene.
chiaro come il sole.
bella e impossibile.

Lucerna, luminosa.



 Zurigo, elegantissima (con le vetrate di Chagall da mettersi a piangere dalla bellezza)




 San Gallo, barocca e maestosa.




fonte: nuovateoria.blogspot.it

droghe pericolosissime vendute legalmente

Ogni giorno vengono vendute droghe pericolosissime con il beneplacito del nostro governo e di quelli che lo hanno preceduto rendendone legale l’immissione in commercio tramite i vari organismi burocratici posti sotto la vigilanza del Ministero della Salute. Il che è tutto dire, dato che alcuni ministri della sanità sono stati colti con le mani nel sacco mentre prendevano tangenti dalle case farmaceutiche. Faccio solo un paio di nomi, Duilio Poggiolini e Francesco De Lorenzo-vaccino epatite b, in internet trovi info e altri con le parole chiavi “ministro della salute tangenti”.

Le cosiddette “droghe da strada”, in quanto a pericolosità rispetto a quelle di sintesi delle case farmaceutiche sono zuccherini.

Esistono medicine naturali, come estratti di piante, l’olio di canapa per esempio, accettate però solo con riduzioni a livelli minimali di componenti che potrebbero creare effetti psicoattivi.

Se intendi curare con medicine naturali privi di effetti collaterali, se sei medico vieni radiato dall’albo se tale uso non corrisponde ai protocolli ufficialmente accettati. E se non sei medico vieni accusato di esercizio abusivo della professione medica.

Ma nulla succederebbe a un medico che prescrivesse una delle pericolosissime droghe farmaceutiche legali a un paziente che facesse una strage sparando a zero sulla folla a seguito degli effetti collaterali prodotti da tali droghe...


Se prendiamo in considerazione gli antidepressivi SSRI, come il Prozac per nominarne uno, ci sono numerosi esempi di persone che sono andate fuori di testa e si sono messe a sparare all’impazzata uccidendo i loro compagni di classe, i loro collaboratori, i membri della loro famiglia e spesso si sono poi suicidati, per scoprire poi che stavano prendendo un antidepressivo.

L’apparenza è che la persona fosse malata di mente e sia esplosa in un attacco di rabbia, ma quando questi casi sono stati effettivamente analizzati attentamente, si è scoperto che la persona non aveva tendenze violente e in molti casi nemmeno suicide prima di iniziare il trattamento con il farmaco antidepressivo.

Se leggiamo il bugiardino del Prozac noto anche come fluoxetina, ci sono alcune cose di cui il produttore (Eli Lilly & Co.) ci fa sapere.

Questo farmaco può causare ciò che è noto come acatisia. Acatisia è un termine medico che letteralmente significa “non può stare fermo”.

Ci sono due aspetti nell’acatisia. Il primo, l’effetto motorio che si può effettivamente vedere in una persona, è che non può “stare ferma”. È irrequieta, ticchetta con la punta del piede, passando da una gamba all’altra ritmando incessantemente, in ogni caso non può stare ferma. Cerca di sedersi o addirittura di sdraiarsi per poi saltare di nuovo su e ricominciare da capo, sembra e si comporta da agitato. Questo è l’effetto chimico diretto del farmaco sull’azione motoria del corpo.

Questi farmaci antidepressivi non provocano solo l’azione motoria, ma causano anche una irrequietezza interiore. La persona ha un vero senso di disagio, sente che il suo corpo deve muoversi. Sente che deve entrare in qualche modo in azione. Si chiama agitazione psico motoria. Non solo è mentalmente agitata ma il suo corpo esprime quell’agitazione. Ha un senso soggettivo di angoscia, deve succedere qualcosa, deve fare qualcosa.

I produttori di questi farmaci, come richiesto dalla FDA, nei loro bugiardini riportano che possono causare agitazione, psicosi, allucinazioni, ipercinesia, un senso di spersonalizzazione, uno stato in cui il normale senso di identità personale e la realtà sono assenti, che significa che la persona si sente come se tutto ciò che c’è intorno a lei non fosse reale, uno stato onirico.
Sono elencati anche come effetti collaterali frequenti: agitazione, amnesia, confusione, responsabilità emotiva per ciò che succede intorno alla persona, e disturbi del sonno. I disturbi del sonno potrebbero essere eccessiva sonnolenza o insonnia.

Se aggiungiamo la mancanza di sonno a tutti gli altri effetti del Prozac come l’agitazione psico motoria, la sensazione della persona di dover andare a fare qualcosa, la spersonalizzazione e la sensazione di irrealtà che può causare, davvero abbiamo cucinato gli ingredienti chimicamente indotti per un omicidio di massa.

Il Prozac è un cosiddetto SSRI (Selective Serotonin Reuptake Inhibitors). In realtà, questi farmaci non sono selettivi, lavorano su più diverse sostanze chimiche del cervello, tra cui la serotonina, la norepinefrina, la dopamina, e altri. Non bloccano semplicemente la ricaptazione ma agiscono su molti recettori in tutto il cervello. Si conoscono almeno 20 serotonine e in che modo esattamente i livelli di serotonina vengono provocati, aumentati, diminuiti o regolati dai cosiddetti SSRI non è davvero ancora ben noto.

Infatti il meccanismo che fa agire tutti i cosiddetti SSRI è sconosciuto. Le teorie abbondano e le spiegazione nei bugiardini vanno nei dettagli su ciò che è solo teoria e ciò che il farmaco potrebbe fare, ma in realtà il meccanismo di azione è del tutto sconosciuto. Possiamo solo osservare che tipi di effetti ha sul corpo e sul comportamento.

Ci sono altri effetti sul sistema nervoso centrale che il Prozac può produrre:

Effetti collaterali del Prozac
- Atassia, questo significa andatura sbilanciata.
- Bugoglossia (?), questo deriva da lingua, è una sorta di schioccare le labbra, spasmodici movimenti della bocca.
- Depressione del sistema nervoso centrale.
- Stimolazione del sistema nervoso centrale.
- Euforia
- Allucinazioni
- Ostilità
- Movimenti veloci
- Aumento del tono muscolare
- Aumento delle sensazioni, in altre parole si sentono le cose a un livello accresciuto, ma può anche causare una sensazione diminuita,
- Incapacità di sentire le cose normali, come il dolore e la pressione che una persona normale sentirebbe.
- Reazioni Paranoiche
- Psicosi
- Vertigini

Quindi qui abbiamo ostilità, paranoia, agitazione, in combinazione con l’acatisia, che è il senso che uno deve fare qualcosa, e si può vedere come questo può giungere fino a omicidi irrazionali. La serie di sparatorie nelle scuole americane è un fenomeno che strettamente coincide con l’uso massiccio di farmaci antidepressivi negli ultimi 15 o 20 anni. E’ qualcosa che non si è mai visto in precedenza. L’aumento degli omicidi di massa e delle cosiddette stragi famigliari coincide con l’aumento di persone che sono chimicamente alterate da farmaci antidepressivi. Inoltre, i crimini sono diventati più bizzarri e in alcuni casi inimmaginabili.

Senza contare i suicidi.

Se questi delle droghe farmaceutiche non sono effetti psicoattivi…


Tuttavia, quando succedono questi gravi fatti che poi vengono sbattuti nella pagina della cronaca nera, se non in prima pagina, non viene riportato che gli autori prendevano antidepressivi, al massimo si legge nei giornali che “erano in cura presso uno psichiatra”. (E tutti sanno come “curano” gli psichiatri, prescrivendo antidepressivi). Le forze dell’ordine dovrebbero invece indagare, e dovrebbe essere reso noto che la persona era sotto l’effetto di droghe psichiatriche, come succede invece quando si sospetta che l’autore di un misfatto si faccia qualche canna, e si adduce come motivo “era dedito agli stupefacenti”.

Mi viene da pensare che non venga chiesto di indagare riguardo al fatto che un omicida di massa o della propria famiglia faceva uso di SSRI e che potrebbero essere la causa del comportamento e dell’azione omicida. Forse perché le multinazionali hanno grande potere, più grande di quello di qualsiasi governo.
Il disordine sociale nella società attuale deve dare molto merito all’uso massiccio degli SSRI e ai criminali che traggono profitto dal danneggiare le persone con i veleni da loro prodotti e smerciati.

Questo libro potrebbe dare più risposte di quante ne possa dare io.
“Effetti collaterali: morte” è la confessione di un pentito.

Un padre di famiglia che ha paura. Un uomo che vuole dire la verità a scapito della propria libertà. Virapen è stato per decenni uno dei principali promotori di quella stessa politica di raggiro e di mazzette che in questo libro denuncia aspramente.

E lo fa con il solo intento di rendere giustizia alle vittime conosciute – e sconosciute – di un sistema alimentato unicamente dagli interessi plurimiliardari delle aziende farmaceutiche.

Effetti collaterali: morte” apre gli occhi su uno scenario di cui si sospettava l’esistenza e che ora, anche in Italia e grazie a Virapen, diventa, purtroppo, reale.

Risalgono agli anni Ottanta le prime testimonianze su alcuni effetti collaterali allarmanti di farmaci messi in commercio a scapito della salute umana, ma con il libro di Virapen abbiamo tra le mani, per la prima volta in assoluto, la testimonianza ufficiale di un insider dell’azienda farmaceutica.

Il libro, oltre a riportare sconcertanti dichiarazioni, è ricco di informazioni e dati reali e tecnici, documenti disponibili a chiunque e consultabili anche online, nomi e riferimenti a fatti e luoghi.

“Effetti collaterali: morte” è anche un manifesto che grida di aprire gli occhi davanti alle strategie di marketing attuate dalle lobby farmaceutiche, ma non si limita a questo: Virapen svela quelle stesse strategie alzando quel velo invisibile che da decenni annebbia la vista alla stragrande maggioranza del mondo.

“Ho speso 35 anni della mia vita lavorando nell’industria farmaceutica che non fa altro che annientare la popolazione di questo mondo.

Perché lo fanno? Perché vogliono fare soldi, soldi, soldi…”. Questa la drammatica confessione di un pentito di Big Pharma, John Rengen Virapen, ex rappresentante di commercio per la filiale Eli Lilly & Co, uno dei colossi farmaceutici mondiali. Che nel suo libro “Effetti collaterali: morte”, sferza un attacco contro le grandi case farmaceutiche, non interessate a curare le malattie, ma interessate solamente ai clienti (non ai pazienti).

Nel libro Virapen si sofferma a lungo nel raccontare il caso del “Prozac”: “Io ho corrotto il governo svedese per ottenere l’autorizzazione a vendere il Prozac in Svezia. E la Svezia ha il Premio Nobel per la Medicina. E così l’evento è stato un esempio per gli altri Paesi…”.

Ecco tutte le domande di Virapen
«Sapevate che le grandi case farmaceutiche spendono circa 35-40 mila dollari l’anno per ciascun medico in attività con lo scopo di convincerlo a prescrivere i loro prodotti?

Sapevate che i così detti opinion leader / opinion maker — cioè scienziati e medici qualificati — vengono corrotti con viaggi costosi, regali o più semplicemente soldi perché recensiscano positivamente i medicinali, quando effetti collaterali gravi o addirittura letali sono diventati di pubblico dominio, per fugare i legittimi dubbi degli altri medici e dei pazienti?

Sapevate che per molti farmaci approvati e messi sul mercato sono stati eseguiti solo test di laboratorio sul breve periodo e nessuno sa che effetti possano avere su pazienti che li assumono per un periodo più lungo (o per tutta la vita)?

Sapevate che i risultati delle ricerche e le statistiche necessarie perché un nuovo medicinale venga approvato dalle autorità competenti sono spesso falsificati in modo che le morti provocate dagli effetti collaterali del farmaco scompaiano dai documenti?

Sapevate che più del 75% dei maggiori scienziati in ambiente medico sono sul libro paga delle industrie farmaceutiche?

Sapevate che sul mercato ci sono farmaci per i quali la corruzione ha giocato un ruolo fondamentale durante le fasi di approvazione da parte delle autorità competenti?

Sapevate che l’industria farmaceutica inventa malattie e le pubblicizza con campagne di marketing mirate per espandere il mercato dei propri prodotti?

Sapevate che l’industria farmaceutica tiene d’occhio con attenzione sempre maggiore i bambini?
No. Molte di queste cose non potevate saperle, perché l’industria farmaceutica ha tutto l’interesse a
tenerle segrete.»

L’autore

John Virapen (1943) è un esempio di «self made man» nel senso più classico. Di umilissime origini, nato in una colonia britannica, La Guyana, venne in Europa per compiere i suoi studi, ed in Svezia cominciò a lavorare per l’industria farmaceutica come rappresentante.

La sua carriera in continua ascesa lo portò alla direzione generale di Ely Lilly Inc., una delle maggiori industrie farmaceutiche mondiali, in Svezia. Dopo essere stato parte di un meccanismo decisamente spietato, ha scelto di cambiare decisamente rotta, ha scelto di denunciare tutto ciò che ha fatto, che ha visto fare.

Dice di se stesso: “Non sono estraneo a questi meccanismi e non sto facendo giornalismo d’inchiesta. Non sto puntando il classico dito accusatore, immacolato, pulito e sterilizzato sui “cattivoni” delle alte sfere. So bene di cosa sto parlando perché anch’io avevo un ruolo attivo in tutto questo. Ero uno di loro”.

Acquista il ibro: Effetti collaterali: morte




Medicinenon.it e Arnoldehret.it sono due siti di Luciano Gianazza.

Medicinenon.it è da molti anni un punto di riferimento per chi vuole liberarsi della disinformazione e poi acquisire la corretta conoscenza.

ArnoldEhret.it è il sito ufficiale degli insegnamenti di Arnold Ehret, raccolti nei suoi libri, fra i quali Il Sistema di Guarigione della Dieta Senza Muco è un best seller internazionale. Arnold Ehret ha ritrovato il sentiero, di cui si era persa ogni traccia secoli fa, che porta all'alimentazione naturale dell'Uomo e alla salute perfetta in quanto ripristina la naturale capacità del corpo umano di disintossicarsi da tossine e veleni. In questo mondo avvelenato, il Sistema di Guarigione della Dieta Senza Muco fornisce i fondamenti per un'alimentazione e stile di vita che sono essenziali per la buona riuscita dei vari protocolli di disintossicazione.

Tutti i libri originali di Arnold Ehret sono reperibili sul sito www.arnoldehret.it | Libri


fonte: crepanelmuro.blogspot.it

venerdì 2 ottobre 2015

Giancarlo Siani



Bibliografia

Roberto Paolo, "Il caso non è chiuso. La verità sull'omicidio Siani", Castelvecchi editore, Roma, 2014,

Gildo De Stefano, Caro Giancarlo... - Epistolario mensile per un amico ammazzato, Innuendo Edizioni, Terracina 2014

Bruno De Stefano, "Giancarlo Siani. Passione e morte di un giornalista scomodo", Roma, Giulio Perrone Editore, 2012.

Giancarlo Siani, Giancarlo Siani giornalista per la verità, a cura di Amato Lamberti, Geppino Fiorenza, Paolo Siani, Napoli, L'Isola dei Ragazzi, 2001.

Giancarlo Siani, Le parole di una vita. Gli scritti giornalistici di Giancarlo Siani, a cura di Raffaele Giglio, Casalnuovo di Napoli, Phoebus Edizioni, 2006,

Antonio Franchini, L'abusivo, Venezia, Marsilio, 2001.

Alessandro Di Virgilio e Emilio Lecce, Giancarlo Siani: ... e lui che mi sorride, Roma, Round Robin editrice, 2010.

Alessandro Gallo, Scimmie, Navarra Editore, Palermo, 2011.

fonte: Wikipedia

PER AMORE DI VERITA'

il massacro del Circeo



è un fatto di cronaca nera avvenuto sul litorale pontino, nella zona del Circeo, il 29 settembre 1975.

Donatella Colasanti (1958-2005) di 17 anni e Rosaria Lopez (1956-1975) di 19 anni, due amiche residenti nella capitale, furono invitate ad una festa da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira a Villa Moresca, proprietà della famiglia di quest'ultimo ubicata sul promontorio del Circeo, in zona "Punta Rossa", nel comune di San Felice Circeo in via della Vasca Moresca a cento chilometri a sud di Roma e a 40 da Latina.

Il passato dei tre

Andrea Ghira, 22 anni, figlio del noto e stimato imprenditore edile ed ex campione olimpico Aldo Ghira, grande ammiratore del capo del Clan dei marsigliesi, Jacques Berenguer, nel 1973 fu condannato per una rapina a mano armata compiuta insieme a Angelo Izzo e per questo scontò venti mesi nel carcere di Rebibbia. Izzo, studente di medicina, insieme a un paio di amici, nel 1974 aveva violentato due ragazzine ed era stato condannato a soli due anni e mezzo di reclusione, che comunque non scontò nemmeno in parte, essendogli stata concessa la sospensione condizionale della pena. Giovanni "Gianni" Guido, diciannovenne studente di architettura, anch'egli proveniente da un ambiente agiato, era l'unico incensurato dei tre.

I fatti

Comincia l'inferno

Tutto è cominciato una settimana fa, con l'incontro con un ragazzo all'uscita del cinema che diceva di chiamarsi Carlo, lo scambio dei numeri di telefono e la promessa di vederci all'indomani insieme ad altri amici. Con Carlo così, vengono Angelo e Gianni, chiacchieriamo un po', poi si decide di fare qualcosa all'indomani, io dico che non avrei potuto, allora si fissa per lunedì. L'appuntamento è per le quattro del pomeriggio. Arrivano solo Angelo e Gianni, Carlo, dicono, aveva una festa alla sua villa di Lavinio, se avessimo voluto raggiungerlo… ma a Lavinio non arrivammo mai. I due a un certo punto si fermano a un bar per telefonare a Carlo, così dicono; quando Gianni ritorna in macchina dice che l'amico avrebbe gradito la nostra visita e che andassimo pure in villa che lui stava al mare. La villa era al Circeo e quel Carlo non arrivò mai. I due si svelano subito e ci chiedono di fare l'amore, rifiutiamo, insistono e ci promettono un milione ciascuna, rifiutiamo di nuovo. A questo punto Gianni tira fuori una pistola e dice: "Siamo della banda dei Marsigliesi, quindi vi conviene obbedire, quando arriverà Jacques Berenguer non avrete scampo, lui è un duro, è quello che ha rapito il gioielliere Bulgari". Capiamo che era una trappola e scoppiamo a piangere. I due ci chiudono in bagno, aspettavano Jacques. La mattina dopo Angelo apre la porta del bagno e si accorge che il lavandino è rotto, si infuria come un pazzo e ci ammazza di botte, e ci separano: io in un bagno, Rosaria in un altro. Comincia l'inferno. Verso sera arriva Jacques. Jacques in realtà era Andrea Ghira, dice che ci porterà a Roma ma poi ci hanno addormentate. Ci fanno tre punture ciascuna, ma io e Rosaria siamo più sveglie di prima e allora passano ad altri sistemi. Prendono Rosaria e la portano in un'altra stanza per cloroformizzarla dicono, la sento piangere e urlare, poi silenzio all'improvviso. Devono averla uccisa in quel momento. A me mi picchiano in testa col calcio della pistola, sono mezza stordita, e allora mi legano un laccio al collo e mi trascinano per tutta casa per strozzarmi, svengo per un po', e quando mi sveglio sento uno che mi tiene al petto con un piede e sento che dice: "Questa non vuole proprio morire", e giù a colpirmi in testa con una spranga di ferro. Ho capito che avevo una sola via di uscita, fingermi morta, e l'ho fatto. Mi hanno messa nel portabagagli della macchina, Rosaria non c'era ancora, ma quando l'hanno portata ho sentito chiudere il cofano e uno che diceva: "Guarda come dormono bene queste due".

(Il racconto di Donatella Colasanti)

Rosaria Lopez (19 anni, barista) e Donatella Colasanti (17 anni, studentessa), residenti nel popolare quartiere romano della Montagnola, provenivano da famiglie modeste ed erano da tutti descritte come due ragazze assolutamente normali, tranquille e serene, appassionate di fotoromanzi all'epoca popolari tra le adolescenti. L'incontro con Guido ed Izzo avvenne pochi giorni prima tramite un amico dei due - risultato poi estraneo al massacro - incontrato all'uscita da un cinema, cui seguì l'invito a trascorrere un pomeriggio con amici (rivelatisi poi Izzo e Guido) al bar del famoso Fungo all'EUR. Qui i tre giovani erano stati accolti con simpatia dalla Colasanti e dalla Lopez, dato il loro habitus garbato ed il comportamento irreprensibile.

In seguito a questo primo appuntamento, innocuo e gradevole, Izzo e Guido avevano proposto a Donatella, Rosaria e ad un'altra amica, che all'ultimo non si unì alla comitiva, di incontrarsi di lì a qualche giorno per "una festa a casa di un amico" a Lavinio, frazione di Anzio. Una volta giunte a destinazione intorno alle sei e venti di sera, i giovani iniziarono a chiacchierare ed ascoltare musica, poi, all'improvviso, tutto si trasformò in un incubo, come dalle parole della Colasanti:

« Verso le sei e venti, ci trovavamo tutti e quattro nel giardino della villa quando, improvvisamente, uno di loro tirò fuori la pistola. Cominciarono a dirci che appartenevano alla banda dei Marsigliesi e che Jacques, il loro capo, aveva dato l'ordine di prenderci in quanto voleva due ragazze. »

Per più di un giorno ed una notte le due ragazze furono violentate, seviziate e massacrate. I tre esternarono un odio sia misogino che di censo, con tanto di recriminazioni ideologiche contro le donne ed il ceto meno abbiente, a due ragazze semplici, mai interessatesi di politica. Guido ritornava a Roma per non mancare la cena con i propri familiari per poi ripartire per il Circeo e riunirsi ai suoi amici aguzzini. Entrambe vennero drogate. Rosaria Lopez fu portata nel bagno di sopra della villa, picchiata ed annegata nella vasca da bagno.

Dopo i tre tentarono di strangolare con una cintura la Colasanti e la colpirono selvaggiamente. In un momento di disattenzione dei due aguzzini, Donatella riuscì a raggiungere un telefono e cercò di chiedere aiuto, ma fu scoperta e, colpita con una spranga di ferro e crollata a terra, si finse morta, ingannando gli aguzzini. Credendole entrambe morte i tre le rinchiusero nel bagagliaio di una Fiat 127 bianca intestata al padre di Gianni Guido, Raffaele. La Colasanti riferì che, durante il viaggio di ritorno, i ragazzi ridevano allegramente ed ascoltavano musica, ripetendo "Zitti che a bordo ci sono due morte" e "Come dormono bene queste". Dopo esser arrivati vicino a casa di Guido decisero di andare a cenare in un ristorante (e in quella sede vennero alle mani con un paio di giovani militanti comunisti incrociati per caso). Lasciarono la Fiat 127 con le due ragazze che credevano morte in via Pola, nel quartiere "Trieste", probabilmente intenzionati a disfarsi dei cadaveri più tardi.

Donatella Colasanti, sopravvissuta per miracolo e in preda a choc, approfittò dell'assenza dei ragazzi per richiamare l'attenzione gridando e venendo udita da un metronotte, in servizio, alle h. 22:50. Subito dopo la volante Cigno dei Carabinieri fece partire un messaggio-radio cifrato: "Cigno, cigno... c'è un gatto che miagola dentro una 127 in viale Pola...".

A intercettarlo fu anche un fotoreporter, che pertanto riuscì a essere presente all'apertura del bagagliaio, alle h. 23:00, dando con le sue foto un volto alla morta e mostrando al pubblico l'aspetto straziato della Colasanti. Izzo e Guido furono arrestati entro poche ore (è nota una foto d'archivio in cui Izzo esibisce spavaldamente le manette ai polsi, sorridendo), mentre Ghira, grazie a una soffiata, non sarà mai catturato, anche se il mattino dopo i Carabinieri scoprirono la madre ed il fratello del giovane nei pressi dell'abitazione del Circeo, sospettando che Andrea li avesse avvertiti e avesse chiesto aiuto per far sparire eventuali tracce. Alcuni mesi dopo Ghira scrisse agli amici Izzo e Guido in carcere, assicurando loro che sarebbero usciti presto "per buona condotta" e minacciando di uccidere la Colasanti, perché non testimoniasse contro di loro. La Colasanti fu ricoverata in ospedale con ferite gravi e frattura del naso, guaribili in più di trenta giorni, e gravissimi danni psicologici da cui non si riprese mai completamente.

Lo strascico giudiziario

Grande apporto alle indagini fu dato dai Carabinieri, comandati dal Maresciallo Gesualdo Simonetti, che seppero ben ricostruire, anche grazie alle deposizioni della Colasanti, la dinamica del massacro. La giovane Donatella, costituitasi poi parte civile contro i suoi carnefici, venne rappresentata dall'avvocato Tina Lagostena Bassi nel processo. Diverse associazioni femministe si costituirono parte civile e presenziarono al processo.

Il 29 luglio 1976 arrivò la sentenza in primo grado, ergastolo per Gianni Guido e Angelo Izzo, ergastolo in contumacia per Andrea Ghira. I giudici non concessero alcuna attenuante. Ghira fuggì in Spagna e si arruolò nel Tercio (Legione spagnola, da cui venne espulso per abuso di stupefacenti nel 1994) con il falso nome di Massimo Testa de Andres. Ghira sarebbe morto di overdose nel 1994 e sarebbe stato sepolto nel cimitero di Melilla, enclave spagnola in Africa, sotto falso nome.

Nel dicembre 2005 il suo cadavere fu ufficialmente identificato mediante esame del DNA. I familiari delle vittime hanno tuttavia contestato le conclusioni della perizia, sostenendo che le ossa sarebbero quelle di un parente di Ghira. Esiste d'altra parte una foto del 1995, scattata dai Carabinieri a Roma, che ritrae un uomo camminare in una zona periferica della città: l'analisi dell'immagine al computer ha confermato che si trattava di Andrea Ghira. Nel corso degli anni suoi avvistamenti sono stati segnalati in Brasile, Kenya, Sudafrica e nel popolare quartiere romano di Tor Pignattara.

Nella loro cella nel carcere di Latina, Izzo e Guido avevano appeso un grosso striscione formato stadio, ove campeggiava la scritta "Corso Trieste 1972 - La Vecchia Guardia". Nel gennaio 1977 presero in ostaggio una guardia carceraria e tentarono di evadere dal carcere, senza successo. La sentenza viene modificata in appello il 28 ottobre 1980 per Gianni Guido. La condanna gli viene ridotta a trenta anni, dopo la dichiarazione di pentimento e la accettazione da parte della famiglia della ragazza uccisa di un risarcimento.

Gianni Guido riuscì in seguito ad evadere dal carcere di San Gimignano nel gennaio del 1981. Fuggì a Buenos Aires dove però venne riconosciuto ed arrestato, poco più di due anni dopo. In attesa dell'estradizione, nell'aprile del 1985 riuscì ancora a fuggire, ma nel giugno del 1994, fu di nuovo catturato a Panamá, dove si era rifatto una vita come commerciante di autovetture, ed estradato in Italia.

La semilibertà concessa ad Izzo e il nuovo duplice omicidio

Nel novembre del 2004, nonostante la condanna pendente, i giudici del tribunale di sorveglianza di Palermo decidono di concedere a Izzo la semilibertà. ll criminale comincia a beneficiarne a partire dal 27 dicembre e ne approfitta presto per fare nuove vittime, Maria Carmela Linciano (49 anni) e Valentina Maiorano (14 anni), rispettivamente moglie e figlia di un pentito della Sacra Corona Unita che Izzo conobbe in carcere a Campobasso. Il 28 aprile del 2005 le due donne sono state legate e soffocate (è stato accertato, dopo vari esami autoptici, che la ragazza non ha subito violenza sessuale) e infine sepolte nel cortile di una villetta a Mirabello Sannitico in provincia di Campobasso, nella disponibilità della famiglia di Guido Palladino, segretario della associazione "Città futura". Questo nuovo fatto di sangue ha scatenato in Italia roventi polemiche sulla giustizia. Il 12 gennaio 2007 Izzo è stato condannato all'ergastolo per questo crimine, condanna confermata anche in Appello.

La morte della Colasanti

Donatella Colasanti è morta all'età di 47 anni, il 30 dicembre 2005 a Roma per un tumore al seno, ancora duramente sconvolta per la violenza subita 30 anni prima. Avrebbe voluto assistere al nuovo processo contro Izzo. Le sue ultime parole sono state "Battiamoci per la verità".

La libertà a Gianni Guido

L'11 aprile 2008 Gianni Guido, il terzo assassino, è stato affidato ai servizi sociali dopo 14 anni passati nel carcere di Rebibbia. Ha finito di scontare definitivamente la pena il 25 agosto 2009, fruendo di uno sconto di pena grazie all'indulto: in pratica, a fronte di una condanna a trent'anni, ha scontato poco meno di 22 anni in carcere, essendo fuggito più volte dal carcere e avendo trascorso 11 anni di latitanza all'estero. Così ha commentato Letizia Lopez, sorella di Rosaria: Il signor Guido non ha affatto scontato la sua pena; è andato in Argentina, è scappato all'estero, ha fatto gran parte della condanna ai servizi sociali, ha usufruito di permessi. Ma insomma mi chiedo con quale coraggio una persona così con quello che ha fatto, e senza mostrare pentimento, ora gira libero per Roma.

fonte: Wikipedia

COME E' FINITA

L'INDIGNAZIONE DI LETIZIA LOPEZ

LETIZIA LOPEZ

mercoledì 30 settembre 2015

Venezia in scia tra acqua e nuvole


Cremaschi: dopo 44 anni lascio la Cgil, ha tradito i lavoratori

La ragioni per le quali ho restituito dopo 44 anni la tessera della Cgil sono semplici e brutali. Oramai mi sento totalmente estraneo a ciò che realmente è questa organizzazione e non sono in grado minimamente di fare sì che essa cambi. La mia è quindi la presa d’atto di una sconfitta personale: ci ho provato per tanto tempo e credo con rigore e coerenza personale, non ci sono riuscito. Anzi la Cgil è sempre più distante da come avrei voluto che fosse. Non parlo tanto dei proclami e delle dichiarazioni ufficiali, ma della pratica reale, della vita quotidiana che per ogni organizzazione, in particolare per un sindacato, è l’essenza. Non è questo il sindacato che vorrei e di cui credo ci sia bisogno, e soprattutto non vedo in esso la volontà di diventarlo. Naturalmente mi si può giustamente rispondere: chi ti credi di essere? Certo la mia è la storia di un militante come ce ne sono stati tanti, che ha speso tanto nell’organizzazione ma che non può pretendere di essere al centro del mondo. Giusto, tuttavia credo che la mia fuoriuscita possa almeno essere registrata come un pezzetto della più vasta e diffusa crisi sindacale di cui tanto si parla, e che come tale possa essere collocata e spiegata.
Nei primissimi anni ‘70 del secolo scorso a Bologna come lavoratore studente ho preso con orgoglio la mia prima tessera Cgil. Poi sono stato chiamato a Brescia per cominciare a lavorare a tempo pieno nella Fiom. Nella quale sono rimasto fino al 2012. Giorgio CremaschiHo visto cambiare il mondo, ma se tornassi indietro con la consapevolezza di oggi rifarei tutte le scelte di fondo. Scherzando penso che io ed il mondo siamo pari, io non sono riuscito a cambiarlo come volevo, ma pure lui non ce l’ha fatta con me. Quando ho cominciato a fare il “sindacalista” a tempo pieno questa parola suscitava rispetto. Io la maneggiavo con un po’ di timore. Il sindacalista era una persona giusta e disinteressata che raddrizzava i torti, era il difensore del popolo. Oggi se dici che sei un sindacalista ti vedi una strana espressione intorno, molto simile a quella che viene rivolta ai politici di professione. Sindacalista, eh? Allora sai farti gli affari tuoi…
Questo discredito del sindacato è sicuramente alimentato da una disegno del potere economico e delle sue propaggini politiche ed intellettuali. Ma è anche frutto della burocratizzazione e istituzionalizzazione delle grandi organizzazioni sindacali. Paradossalmente oggi è proprio il sindacalismo moderato della concertazione, che ho contrastato per quanto ho potuto, ad essere messo sotto accusa. Negli anni ‘80 e ‘90 è stata la mutazione genetica del sindacato più forte d’Europa, la sua scelta di accettare tutti i vincoli e le compatibilità del mercato e del profitto, che ha permesso al potere economico di riorganizzarsi e riprendere a comandare. In cambio le grandi organizzazioni sindacali hanno chiesto compensazioni per se stesse. Questo è stato il grande scambio politico che ha accompagnato trent’anni di politiche liberiste contro il lavoro. I grandi sindacati accettavano la riduzione dei diritti e del salario dei propri rappresentati e in cambio venivano riconosciuti ed istituzionalizzati. Partecipavano ai fondi pensione, a quelli sanitari, agli enti bilaterali, firmavano contratti che costruivano relazioni burocratiche con le imprese, stavano ai tavoli dei governi che tagliavano lo stato sociale, insomma crescevano mentre i lavoratori tornavano indietro su tutto.
Quando il mondo del lavoro è precipitato nella precarietà e nella disoccupazione, quando si è indebolito a sufficienza, ilpotere economico reso più famelico dalla crisi, ha deciso che poteva fare a meno dello scambio della concertazione. Ha dato il via Marchionne e tutti gli altri lo hanno seguito. Quelle concessioni sul ruolo e sul potere della burocrazia, che le stesse imprese ed il potere politico elargivano volentieri in cambio della “responsabilità” sindacale, son state messe sotto accusa. Coloro che più si sono avvantaggiati dei “privilegi” sindacali ora sono i primi a lanciare lo scandalo su di essi. I vecchi compagni da cui ho imparato l’abc del sindacalista mi dicevano: se al padrone dai una mano poi si prende il braccio e tutto il resto. Ma nel mondo moderno certe massime sono considerate anticaglie, e quindi i gruppi dirigenti dei grandi sindacati son rimasti sconvolti e travolti dalla irriconoscenza di un potere a cui avevano fatto così ampie concessioni. Hanno così finito per fare propria la più grande delle falsificazioni sul loro operare. I sindacati hanno difeso troppo gli occupati e abbandonato i giovani ed i precari, Marchionnequesto è passato nei mass media. Mentre al contrario non si sono trasmessi diritti alle nuove generazioni proprio perché si è rinunciato a difendere coloro che quei diritti tutelavano ancora.
I grandi sindacati han subito la catastrofe del precariato non perché troppo rigidi, ma perché troppo subalterni e disponibili verso le controparti. Questa è la realtà rovesciata rispetto all’immagine politica ufficiale, realtà che qualsiasi lavoratrice o lavoratore conosce perfettamente sulla base della proprie amare esperienze. La condizione del lavoro in Italia oggi è intollerabile e dev’essere vissuta come un atto di accusa da ogni sindacalista che creda ancora nella propria funzione. Non è solo lo perdita di salari e diritti, il peggioramento delle condizioni di lavoro, lo sfruttamento brutale che riemerge dal passato di decenni. Sono la paura e la rassegnazione diffuse, il rancore, la rottura di solidarietà elementari, che mettono sotto accusa tutto l’operato sindacale di questi anni. Di Vittorio rivendicò alla Cgil il merito di aver insegnato al bracciante che non ci si toglie il cappello quando passa il padrone. Di chi è la colpa se ora chi lavora deve piegarsi e sottomettersi come e peggio che nell’800? È chiaro che la colpa è del potere economico e di quello politico ad esso corrivo, oggi ben rappresentato da quella figura trasformista e reazionaria che è Matteo Renzi. È chiaro che c’è tutto un sistema culturale e mediatico che educa il lavoro alla rassegnazione e alla subordinazione all’impresa. Ma poi ci son le responsabilità da questo lato del campo, quelle di chi non organizza la contestazione e la resistenza.
Lascio la Cgil perché non vedo nei gruppi dirigenti alcuna volontà di cogliere il disastro in cui è precipitato il mondo del lavoro e le responsabilità sindacali in esso. Vedo una polemica di facciata contro le politiche di austerità e del grande padronato, a cui corrispondono la speranza e l’offerta del ritorno alla vecchia concertazione. E se le dichiarazioni ufficiali, come sempre accade, fanno fuoco e fiamme sui mass media, la pratica reale è di aggiustamento e piccolo cabotaggio, nell’infinita ricerca del minor danno. Il corpo burocratico della Cgil è più rassegnato dei lavoratori posti di fronte ai ricatti del mercato e delle imprese, come può comunicare coraggio se non ne possiede? Certo ci sono tante compagne e compagni che non si arrendono, che fanno il Giuseppe Di Vittorioloro dovere, che rischiano, ma la struttura portante dell’organizzazione va da un’altra parte, è dominata dalla paura di perdere il residuo ruolo istituzionale e quando ci sono occasioni di rovesciare i giochi, volge lo sguardo da un’altra parte.
Quando la Fiom nel 2011 si è opposta a Marchionne, quando Monti ha portato la pensione alla soglia dei 70 anni, quando si è tardivamente ripristinato lo sciopero generale contro il governo, in tutti quei momenti si è vista una forza disposta a non arrendersi. Quei momenti non sono lontani, eppure sembrano distare già decenni perché subito dopo di essi i gruppi dirigenti son tornati al tran tran quotidiano. E temo che lo stesso accada ora nel mondo della scuola ove un grande movimento di lotta non sta ricevendo un adeguato sostegno a continuare. Non si può ripartire se l’obiettivo è sempre solo quello di trovare un accordo che permetta all’organizzazione di sopravvivere. Così alla fine si firma sempre lo stesso accordo in condizioni sempre peggiori. In fondo è una resa continua. Il 10 gennaio 2014 Cgil, Cisl e Uil hanno firmato con la Confindustria un’intesa che scambia il riconoscimento del sindacato con la rinuncia alla lotta quotidiana nei luoghi di lavoro. Una volta che la maggioranza dei sindacati firma un contratto la minoranza deve obbedire e non può neppure scioperare. Se non accetti questa regola non puoi presentarti alle elezioni dei delegati.
Se negli anni ‘50 del secolo scorso la Cgil, in minoranza nelle grandi fabbriche, avesse accettato un sistema simile, non avremmo avuto l’autunno caldo e lo Statuto dei Lavoratori. Che non a caso oggi il governo cancella, sicuro che le grida sindacali non siano vera opposizione. Il movimento operaio nella sua storia ha incontrato spesso dure sconfitte, ma le ha superate solo quando le ha riconosciute come tali e quando ha cambiato la linea politica, la pratica e, a volte, i gruppi dirigenti. Invece nulla oggi viene davvero rimesso in discussione. La Cgil ha sempre avuto una dialettica interna. Tra linee politiche, tra esperienze, tra luoghi di lavoro, territori e centro, tra categorie e confederazione. Dagli anni ‘90 il confronto tra maggioranza e Susanna Camussominoranze si è intrecciato con quello tra la Fiom e la confederazione. In questi confronti e conflitti si aprivano spazi di esperienze ed iniziative controcorrente.
Oggi tutto questo non c’è più. Una normalizzazione profonda percorre tutta l’organizzazione e l’ultimo congresso le ha conferito sanzione formale. Non facciamoci ingannare dalle polemiche televisive e dalle imboscate di qualche voto segreto. Fanno parte di scontri di potere tra cordate di gruppi dirigenti, mentre tutte le decisioni più importanti son state assunte all’unanimità, salvo il voto contrario della piccola minoranza di cui ho fatto parte e di cui non si è mai tenuto alcun conto. Una piccola minoranza che al congresso ha raggiunto successi insperati là dove c’erano le persone in carne ed ossa, ma che nulla ha potuto contro i tanti risultati bulgari per partecipazione e consenso verso i vertici, costruiti a tavolino. Con l’ultimo congresso la struttura dirigente della Cgil ha deciso di ingannare se stessa. La partecipazione bassissima degli iscritti è stata innalzata artificialmente per mascherare una buona salute che non c’è. Ed il resto è venuto di conseguenza. A differenza che nel passato non ci son più problemi nella vita interna della Cgil, tutto è pacificato a parte i puri conflitti di potere. Ma forse anche per questo la Cgil non ha mai contato così poco nella vita sociale e politica del paese.
A questo punto non bastano rinnovamenti di facciata, sono necessarie rotture di fondo con la storia e la pratica degli ultimi trenta anni. Bisogna rompere con un sistema Europa che è infame con i migranti mentre si genuflette di fronte all’euro. I diritti del lavoro sono incompatibili con una moneta unica i cui vincoli, come ha ricordato il ministro delle finanze tedesco, sono tutt’uno con le politiche di austerità. Bisogna rompere con il Pd ed il suo sistema di potere se non se ne vuol venire assorbiti e travolti. Bisogna rompere con le relazioni subalterne con le imprese e ripartire dalla condizione concreta dei lavoratori. Queste rotture non sono facili, ma sono indispensabili per ripartire e sono impossibili nella Cgil di oggi. Certo, fuori dalla Cgil non c’è Renziuna alternativa di massa pronta. Ci sono lotte, movimenti, sindacati conflittuali generosi e onesti, ma spesso distanti se non in contrasto tra loro. Ma questa situazione frantumata per me non giustifica il permanere in un’organizzazione che sento indisponibile anche solo a ragionare su queste rotture.
So bene che la svolta positiva per il mondo del lavoro ci sarà quando tutte le organizzazioni sindacali, anche le più moderate, saranno percorse da un vento nuovo. Ho vissuto da giovane quei momenti. Ma ho anche imparato che nell’Italia di oggi questo cambiamento sarà possibile solo se promosso da una spinta organizzata esterna a Cgil, Cisl e Uil. A costruirla voglio dedicare il mio impegno. Per questo lascio la Cgil da militante del movimento operaio così come ci sono entrato. Saluto con grande affetto le compagne e compagni di tante lotte che non condividono questo mio giudizio finale. Siccome li conosco e stimo, so che ci ritroveremo in tanti percorsi comuni. Saluto anche tutte e tutti gli altri compagni, perché ho fatto mio l’insegnamento di Engels di avere avversari, ma mai nemici personali. Grazie soprattutto a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori che hanno insegnato a me, intellettuale piccolo borghese come si diceva una volta, cosa sono le durezze e le grandezze della classe operaia. Spero di poter apprendere ancora.
(Giorgio Cremaschi, “Perché lascio la Cgil”, dall’“Huffington Post” del 15 settembre 2015).

fonte: www.libreidee.org