Luigi "Gigi" Meroni nacque a Como il 24 febbraio del 1943 e proprio a
Como iniziò la sua carriera calcistica nel campetto dell'oratorio di San
Bartolomeo dove giocava la squadra Libertas.
Crebbe nel vivaio del Calcio Como insieme all'amato fratello Celestino, ma la sua carriera nella formazione lariana fu breve.
Nell'estate del '62, a soli 19 anni, passò al Genoa dopo 2 brillanti
stagioni in maglia lariana. Gigi non credeva a ciò che gli stava
succedendo: ora giocava nel club più vecchio d'Italia, in quegli anni
secondo solo alla Juventus per numero di scudetti vinti. La città
marittima di Genova fece emergere in Gigi il suo carattere estroverso e
controcorrente che si manifesterà poi nella sua interezza dopo il
trasferimento a Torino nel '64.
Con i granata allenati da Nereo Rocco l'ala numero 7 si fece
immediatamente apprezzare per le sue giocate, i suoi dribbling e i suoi
goal che, anche se pochi (24), sono ricordati nelle migliori cineteche
del calcio.
Meroni era una persona fuori dall'ordinario.
Ascoltava i Beatles e la musica jazz, dipingeva quadri, leggeva libri e
scriveva poesie. Conviveva nella mansarda di Piazza Vittorio insieme a
Cristiana, la "bella tra le belle" dei Luna Park della quale si innamorò
follemente tanto da presentarsi al matrimonio imposto dai genitori di
lei per cercare di fermare la cerimonia.
"Mister mezzo miliardo". Così lo chiamavano i giornalisti quando il
giovane Agnelli cercò di portare l'ennesimo campione alla Juventus
sborsando una cifra per quei tempi era impensabile. Ma una vera e
propria rivolta dei tifosi del Toro impedì il suo trasferimento. I
giovani tifosi si identificavano in Meroni, il loro "calimero", per via
dei capelli lunghi e dei basettoni, un esempio da seguire in campo e
nella vita in quegli anni che precedono il '68.
Quando Edmondo Fabbri lo chiamò in nazionale gli impose la di tagliarsi i
capelli. Lui che disegnava i vestiti che indossava sui modelli di
quelli dei Beatles, che passeggiava per Como portando al guinzaglio una
gallina, che si travestiva da giornalista e chiedeva alla gente cosa
pensasse di Meroni, non avrebbe potuto rinnegare il suo ego e rifiutò la
convocazione.
Ogni favola ha un inizio e un epilogo.
La sera del 15 ottobre 1967, dopo l'incontro contro la Sampdoria, vinto
dai granata per 4-2, Meroni non poté rientrare in casa, poiché non aveva
le chiavi. Insieme a Poletti andò al bar Zambon e telefonò a degli
amici presso i quali si trovava la sua compagna; riattraversò, sempre
con Poletti, corso Re Umberto nei pressi del civico 46; percorsero la
prima metà della carreggiata e si fermarono in mezzo alla strada,
aspettando il momento buono per completare l'attraversamento. Vedendo
sopraggiungere un'automobile, fecero un passo indietro e furono
investiti da una Fiat 124 Coupé proveniente dalla direzione opposta;
Poletti fu colpito di striscio; Meroni, investito alla gamba sinistra,
fu sbalzato in aria dall'impatto, cadde a terra nell'altra corsia e fu
travolto da una Lancia Appia, che lo centrò in pieno e ne trascinò il
corpo per 50 metri. Fu portato all'ospedale Mauriziano da un passante;
vi arrivò con gambe e bacino fratturati e con un grave trauma cranico.
Morì poche ore dopo, alle 22.40.
La Fiat 124 Coupé era guidata da Attilio Romero, un diciannovenne di
buona famiglia e grande tifoso del Torino. Dopo l'incidente, il giovane
si presentò spontaneamente alla Polizia, che lo interrogò fino a tarda
notte. Fu rilasciato e tornò a casa: abitava proprio in corso Re
Umberto, a soli 13 numeri civici di distanza dall'abitazione di Meroni.
Più di 20.000 persone parteciparono ai funerali di Meroni e il lutto
scosse la città. Dal carcere Le Nuovedi Torino alcuni detenuti fecero
una colletta per mandare fiori.
La stampa sembrò perdonargli le bizzarrie che gli aveva contestato in
vita (capelli lunghi, barba incolta, calze abbassate), ma la Diocesi di
Torino si oppose al funerale religioso di un "peccatore pubblico" e
criticò aspramente don Francesco Ferraudo, cappellano del Torino calcio,
che lo celebrò comunque.
“Carissimi amici,
non vorrei sembrarvi eccessivo, ma credo che oggi, finalmente, sia certa la causa della letalità del Covid-19.
La mia ventennale esperienza in Ecocardiografia-Ecocolordopplergrafia
Vascolare su piu’ 200.000 pazienti cardiopatici e non, mi fa confermare
quello che alcuni supponevano, ma non ne riuscivano a essere sicuri.
Oggi abbiamo i primi dati.
I pazienti vanno in Rianimazione per Tromboembolia Venosa Generalizzata, soprattutto Tromboembolia Polmonare TEP.
Se così fosse, non servono a niente le rianimazioni e le intubazioni
perché innanzitutto devi sciogliere il trombo, anzi prevenire queste
tromboembolie. Se ventili un polmone dove il sangue non arriva, non
serve! Infatti muoiono 9 pazienti su 10.
Signori, Covid19 danneggia prima di tutto i vasi,l’ apparato cardiovascolare, e solo dopo arriva ai polmoni !!!
Sono le microtrombosi venose, non la polmonite a determinare la fatalità!
E
perché si formano trombi? Perché l’infiammazione come da testo
scolastico, induce trombosi attraverso un meccanismo fisiopatologico
complesso ma ben noto.
Allora?
Quello che la letteratura scientifica, soprattutto cinese, diceva fino a
metà marzo, era che non bisognava usare antinfiammatori. Ora in Italia
si usano antinfiammatori e antibiotici (come nelle influenze) e il
numero dei ricoverati crolla.
Molti morti, anche di 40 anni, avevano una storia di febbre alta per
10-15 giorni non curata adeguatamente. Qui l’infiammazione ha distrutto
tutto e preparato il terreno alla formazione dei trombi. Perché il
problema principale non è il virus, ma la reazione immunitaria che
distrugge le cellule dove il virus entra. Infatti in tutti i reparti
COVID non sono mai entrati malati di artrite reumatoide e ciò perché sono in terapia cortisonica.
Questo
è il motivo principale per cui in Italia le ospedalizzazioni iniziano a
diminuire e sta diventando una malattia curabile a casa.
Curandola bene a casa eviti non solo l’ospedalizzazione, ma anche il rischio trombotico.
Non era facile capirlo perché i segni della microembolia sono sfumati, anche all’ occhio di un cardiologo ecocardiografista.
Confrontando i dati dei primi 50 pazienti tra chi respira male e chi no,
la situazione è apparsa molto chiara a tutti i medici in Italia, dai
cardiologi, ai radiologi, agli anatomo- patologi fino ai colleghi delle
Terapie Intensive.
Il tempo di pubblicare questi dati e si potrebbe dare il via a far
uscire la popolazione dalla quarantena, non subito, ma in tempi più
brevi rispetto al previsto.
In USA dove ancora vietano gli antinfiammatori i dati sono ormai più
tragici che in Italia. Sono farmaci che costano pochi euro ma che
aiutano a salvare tante VITE. Sono i farmaci che facciamo per andare in
vacanza in Kenia e prevenire l malaria per capirci.
Questa
testimonianza delle vasculiti con esiti in tromboembolia polmonare
parrebbe confermata dai protocolli di alcuni altri ospedali:
al Sacco danno Clexane a tutti, con D-dimero predittivo: più è alto meno risponderà il pz.
al San Gerardo di Monza Clexane e cortisone
al Sant’Orsola di Bologna Clexane a tutti + protocollo condiviso con i
medici di famiglia che prescrivono Plaquenil a pioggia su tutti i pz.
monosintomatici a domicilio.
Integro
con una precisazione sugli antinfiammatori: farmaci antinfiammatori
tipo Brufen, naproxene, aspirina che inibiscono la cox1 oltre che la Cox
2 non andrebbero usati,
mentre celecoxib (un inibitore selettivo della Cox 2) sembra dare buoni
risultati, bisogna comunque aspettare esito di studi, invece questa
analisi porta in evidenza la necessità di usare negli stadi intermedi
della malattia (inizio della tosse e prima delle difficoltà
respiratorie) una eparina a basso peso molecolare ad alte dosi… (Clexane
8.000 UI/die).
Evito
(per non appesantire troppo l’esposizione, e perché il testo è troppo
medico) di riportare un’interessante testimonianza di un
anatomo-patologo: vi basti pensare che il “Papa Giovanni XXIII” di
Bergamo ha eseguito 50 autopsie ed il “Sacco” di Milano 20 (quella
italiana è la casistica più alta del mondo, i cinesi ne hanno fatte solo
3 e “minimally invasive”). Tutto quanto ne esce sembra confermare in
pieno le informazioni sopra riportate.
In
poche parole, pare che l’exitus sia determinato da una DIC (per i non
medici, Coagulazione Intravascolare Disseminata) innescata dal virus.
Quindi la polmonite interstiziale non c’entrerebbe nulla, sarebbe stato
soltanto un abbaglio diagnostico: abbiamo raddoppiato i posti in
rianimazione, con costi esorbitanti, probabilmente inutilmente.
Col
senno di poi, mi viene da ripensare a tutti quegli Rx Torace che
commentavamo circa un mese fa: quelle immagini che venivano interpretate
come polmonite interstiziale in realtà potrebbero essere del tutto
coerenti con una COAGULAZIONE INTRAVASCOLARE DISSEMINATA.
In
definitiva fino a un mese fa nessuno sapeva nulla di questo virus,
nemmeno i virologi “più famosi” come i tanti che guardavate in TV dalla
Florida alla Francia alla Cina.
La
tragedia che ha interessato l’ Italia e che ha visto quasi 20mila morti
compresi tanti medici sul campo, ha fatto si che la Scuola Medica
Italiana sia sulla strada giusta, la strada della salvezza definitiva e
del ritorno alla vita NORMALE per tutti.”
QCA64x8 e QCA64x1 costituiscono
le due nuove famiglie di chipset WiFi a 60 GHz in grado di raggiungere e
superare la velocità di 10 Gbps, con latenze equiparabili a quelle
delle migliori connessioni via cavo e caratterizzate da
un’ottimizzazione nei consumi così da non andare a influire
negativamente sulla durata della batterie dei dispositivi in cui sono
ospitati. Un notevole passo in avanti rispetto a quanto oggi avviene
sfruttando le bande 2,4 e 5 GHz. Più nel dettaglio, QCA64x8 (QCA6438 e
QCA6428) punta a infrastrutture e access point fissi, mentre QCA64x1
(QCA6421 e QCA6431) alle applicazioni mobile.
Qualcomm
Technologies è il primo player del mercato a offrire una soluzione
basata sullo spettro mmWave (onde millimetriche) che tiene conto
delle specifiche 802.11ay (non ancora ufficialmente approvate,
evoluzione dell’802.11ad) guardando al futuro delle reti wireless, con
copertura e performance di primo livello. Queste le parole di Rahul
Patel, Senior Vice President and General Manager della divisione
Connectivity and Networking di Qualcomm Technologies.
Campi a radiofrequenza e salute
2: Effetti sulla salute dei campi
In questo capitolo si descrivono gli
effetti noti o ipotizzati sulla salute dei campi a radiofrequenza. Anche
se non si fa riferimento a normative, si e’ cercato di distinguere tra
effetti presenti a potenze elevate, superiori a quelle consentite dalle
normative internazionali (1-5 W/mq), e quelli a livelli di potenza molto
bassi, che e’ possibile incontrare anche rispettando queste norme.
2.1: Che effetti hanno le onde radio sulla salute?
Le
onde radio possono venire assorbite da corpi di dimensioni
confrontabili o superiori ad 1/4 circa della loro lunghezza d’onda.
Quindi il corpo umano assorbe bene onde di frequenza compresa tra 30 e
300 MHz (da 10 m a 1 m), per le quali e’ una discreta antenna
ricevente. A frequenze superiori l’assorbimento si riduce, fino a circa
3-4 GHz, per poi rimanere circa costante all’aumentare della frequenza.
La quantita’ di onde radio assorbita da un particolare tessuto si indica come potenza specifica assorbita,
e si misura in watt per kilogrammo (W/Kg). Gli effetti biologici delle
onde dipendono da questa quantita’, che e’ ovviamente legata alla
potenza delle onde che investono l’individuo, ma anche alla loro
frequenza (come si e’ appena detto). Nella letteratura angolsassone, la
potenza specifica assorbita e’ indicata con l’abbreviazione SAR.
Tutti gli effetti noti dei campi dipendono
in maniera molto forte dal SAR, e spariscono completamente al di sotto
di una soglia che dipende dal tipo di effetto. Alcuni di questi effetti
sono direttamente legati a malattie, per altri non si sa se l’effetto
sia o meno pericoloso per la salute.
Il corpo umano genera a riposo circa
1W/kg, che puo’ arrivare a 4 W/kg durante un lavoro intenso. Se le
potenze assorbite sono confrontabili o maggiori di questa quantita’, il
calore eccessivo deve venir eliminato dal sistema di termoregolazione
naturale, o il corpo si surriscalda.
A potenze assorbite elevate (oltre 10W/kg su tutto il corpo)
si osserva un iniziale aumento di temperatura, che e’ inizialmente
tenuto sotto controllo dal sistema di termoregolazione. Dopo un periodo
di tempo limitato, la temperatura riprende a salire, e sopravvengono
danni gravi ed irreversibili.
A potenze di diversi W/kg, si hanno
inoltre vari tipi di danni, che includono emolisi, danni al sistema
endocrino (in particolare la tiroide), malformazioni del feto, e
soprattutto danni nei confronti di tessuti particolarmente sensibili al
calore (testicoli, sterilita’) o poco irrorati (cristallino, cataratta).
Questi ultimi danno possono verificarsi per esposizioni prolungate
(anche mesi) a potenze relativamente basse, come 100 W/mq (SAR di
0,5-1W/kg), e anche se l’esposizione e’ concentrata sui soli organi
interessati.
Alcuni
autori, soprattutto sovietici, riportano effetti a potenze al di sotto
di quelle necessarie per ottenere riscaldamento. Questi effetti sono in
genere molto deboli, non sono stati riprodotti in laboratori
occidentali, e non sono collegabili direttamente a rischi sulla salute
(vedi domanda 2.4).
Sono stati cercati effetti dei campi sulla
riproduzione cellulare e sulla possibilita’ di alterare il materiale
genetico. Nessuno di questi studi ha evidenziato effetti di questo tipo
per esposizioni comparabili con quelle consentite dalle norme attuali,
per cui vi e’ consenso generale sul fatto che i campi a radiofrequenza non inducono mutazioni e non sono responsabili di iniziare processi tumorali. Si ritiene che campi intensi siano comunque in gradi di promuovere tumori, cioe’ di far evolvere piu’ rapidamente verso forme tumorali cellule danneggiate da altri agenti.
I campi a radiofrequenza causano inoltre
molti altri effetti, anche se non e’ chiaro ne’ su quanto questi effetti
siano reali, in quanto compaiono solo in alcuni studi, ne’ sui
meccanismi che li producono. Questi effetti comprendono variazioni nel
trasporto di ioni calcio attraverso la membrana cellulare, variazioni
nel tasso di crescita di colture cellulari, nella bioluminescenza di
alcuni batteri, nella permeabilita’ della barriera ematoencefalica.
Questi effetti sono in genere visti a SAR di alcuni W/kg, quindi a
potenze in grado di produrre riscaldamento, ma si osservano talvolta
anche a potenze inferiori, o in colture cellulari accuratamente
termostatizzate per escludere effetti termici.
Alcuni studi mostrano che singoli
individui sono in grado di percepire campi a radiofrequenza di pochi
W/mq, di solito dopo un’esposizione di 40-50 secondi. La cosa e’
spiegabile tenendo conto che i termorecettori cutanei sono sensibili a
variazioni di temperatura di 1/100 di grado, e non ha probabilmente
nessuna rilevanza per la salute. Sensibilita’ simili si hanno anche per
esposizioni a radiazione infrarossa.
In tab. 3 sono elencati i principali
effetti noti dei campi a radiofrequenza, e l’intensita’ del campo
necessaria per evidenziare l’effetto.
NOTA IMPORTANTE: La
corrispondenza tra SAR a densita’ di potenza e’ solo indicativa, in
quanto dipende fortemente dal tipo di organo esposto, dalla frequenza
radio, e da altri parametri. Si rimanda alla letteratura specializzata
per una trattazione accurata. Inoltre il SAR e’ riferito a tutto il
corpo, singoli organi possono assorbire potenze anche molto diverse.
2.2: Che differenza c’e’ tra effetti termici e non termici?
Una
volta assorbite, l’ energia viene convertita in calore con diversi
meccanismi. Il calore, se non viene smaltito tramite i meccanismi
naturali di termoregolazione, puo’ danneggiare direttamente o
indirettamente i tessuti colpiti. In particolare risultano sensibili
agli effetti termici il cristallino, che e’ scarsamente irrorato dal
sangue, e i testicoli, che smettono di funzionare gia’ con aumenti di
temperatura di un grado.
Gli effetti direttamente o indirettamente riconducibili ad un aumento di temperatura sono comunemente detti effetti termici.
Oltre agli effetti termici, sono stati osservati, in laboratorio o sui
animali, effetti di altro tipo. Si tratta sempre di effetti che
avvengono a potenze assorbite (SAR) corrispondenti ANCHE ad aumenti di
temperatura, anche se questi possono essere stati compensati da
meccanismi di termoregolazione. Risulta quindi difficile stabilire se
l’effetto sia dovuto indirettamente ad un aumento di temperatura, o ad
aver messo sotto sforzo la termoregolazione, o realmente a meccanismi
non termici. Pertanto si tende a non distinguere gli effetti in base al
meccanismo termico/non termico, ma in base al livello di SAR a cui
l’effetto compare.
Alcuni autori distinguono gli effetti in
termici, quando si osserva un aumento di temperatura (di solito almeno
un decimo di grado), atermici (quando il sistema di termoregolazione
compensa gli effetti termici che altrimenti ci sarebbero) e non termici
(quando il sistema di termoregolazione non viene interessato). Non
conoscendo i meccanismi di azione di effetti non direttamente
riconducibili a effetti termici, questa distinzione ha un senso
limitato.
2.3: Che differenza c’e’ tra effetti a lungo e a breve termine?
Un effetto che compaia solo quando si e’
esposti ai campi, e sparisca rapidamente quando l’esposizione cessi e’
detto a breve termine. Un effetto che invece compaia dopo una lunga
esposizione, magari intermittente o saltuaria, e’ detto a lungo termine.
Chiaramente, mentre risulta abbastanza semplice individuare un effetto a
breve termine, un effetto a lungo termine richiede lunghi e complessi
studi epidemiologici. Inoltre un effetto di questo tipo e’
potenzialmente piu’ pericoloso, perche’ le singole esposizioni non danno
sintomi che ci consentano di accorgerci del rischio ed evitarlo.
Gli
effetti riportati nei precedenti capitoli sono sia a breve che a lungo
termine. Ad es. una esposizione a campi di oltre 100 W/mq non da’
sintomi apprezzabili, ma puo’ portare, a lungo andare, a danni del
cristallino (cataratta).
Sono stati cercati effetti a lungo termine
come aumento del rischio di alcune malattie, soprattutto tumori, per
mezzo di studi epidemiologici sulla popolazione generale (vedi domanda 2.6) e su lavoratori esposti (vedi domanda 2.7).
2.4: Gli anziani e i bambini sono piu’ esposti?
Le persone deboli (anziani, malati) sono
comunque piu’ esposti di una persona robusta e sana. Di questo comunque
ogni normativa tiene conto, adottando opportuni margini cautelativi.
I bambini sono piu’ esposti anche perche’
sono piu’ piccoli, e quindi hanno dimensioni corporee piu’ vicine alla
lunghezza d’onda delle emissioni radio. Di conseguenza assorbono le onde
radio 2-5 volte meglio di una persona adulta, in proporzione.
2.5: Che dicono gli studi di laboratorio?
Esiste una ricchissima letteratura su
studi di laboratorio, sia su culture cellulari che in animali, per
cercare vari effetti legati ai campi a radiofrequenza.
In studi su topi di laboratorio, si e’
visto che esposizione a SAR di 6W/kg decresce la loro vita media, mentre
a 2W/kg non si hanno effetti significativi. Vari autori hanno trovato
un aumento di tumori in topi esposti a radiofrequenze a livelli elevati
(2-6 W/kg), soprattutto se esposti anche a altri agenti oncogeni. In
altre parole, questi studi mostrerebbero che l’esposizione a onde radio a
potenze elevate aumenta l’attivita’ di altri agenti tumorali.
In
uno di questi studi (Szmigielski, 1982) si e’ visto inoltre che un
aumento di tumori e’ presente anche se i topi vengono confinati in
gabbie piccole (come succede se si vuole determinare con precisione la
dose di radiazione assorbita) e non esposti ai campi. Questo effetto
puo’ alterare il risultato alcuni studi, ma l’autore trova che comunque a
SAR di 6 W/kg il tasso di tumori aumenta.
Vari autori hanno sperimentato diversi
tipi di esposizione (continua o a impulsi, a varie frequenze attorno a
800 MHz) senza trovare alterazioni nel tasso di tumori cerebrali,
malformazioni nella prole, tumori epatici. Molti di questi esperimenti
mirano a simulare le tipiche condizioni d’uso di un telefono portatile
posto vicino alla testa.
Un recente studio (Repacholi, 1997) ha
trovato che esposizione di oncotopi a campi a radiofrequenza simili a
quelli per telefonia GSM aumentano significativamente il tasso di
linfomi in oncotopi (topi modificati geneticamente in modo da sviluppare
spontaneamente linfomi). Lo studio ha avuto un notevole risalto, in
quanto Repacholi e’ sia presidente sia dell’ICNIRP, che responsabile del
progetto OMS sugli effetti sanitari dei campi elettromagnetici.
Vari studi hanno cercato alterazioni
cromosomiche o modificazioni del DNA in seguito ad esposizioni a
radiofrequenza di topi, moscerini, microorganismi e culture cellulari.
In genere gli studi che trovano alterazioni utilizzano potenze elevate,
oltre 10 W/kg. A SAR piu’ bassi, nuerosi lavori non trovano
alterazioni. Un singolo lavoro (Lai e Singh, 1995) trova un aumento
delle rotture nel DNA di topi esposti a SAR di 0.6 W/kg.
Alcuni studi hanno cercato, e non trovato, alterazioni del tasso di melatonina in seguito ad esposizione a radiofrequenza.
Soprattutto nell’Europa dell’Est, diversi
ricercatori hanno trovato effetti biologici dei campi a SAR molto bassi,
anche dell’ordine di 1 milliW/kg. Questi studi sono stati visti con
notevole scetticismo nel mondo occidentale, in quanto gli esperimenti
venivano descritti in modo poco chiaro, rendendo difficile una verifica,
e gli effetti non erano collegabili facilmente a danni per la salute.
Recentemente,
alcuni di questi studi sono stati ripetuti in modo controllato, con
risultati vari. Un totale di 8 studi (su oltre un centinaio) mostra
effetti a SAR sotto 0.1 W/kg. Anche se questi studi venissero
confermati, comunque, non e’ chiaro se le modifiche indotte dai campi
abbiano conseguenze negative per la salute.
In conclusione: Gli
studi di laboratorio non mostrano effetti significativi per la salute a
SAR sotto 0,1 W/kg. La maggior parte degli studi che mostrano effetti
importanti sulla promozione di tumori richiedono SAR elevati, in grado
di causare riscaldamento, per periodi di tempo prolungati (almeno 30
minuti), mentre a SAR dell’ordine di 1-2 W/kg o meno non si osservano
effetti. Esistono pero’ alcuni studi che mostrano effetti “strani”, di
cui non e’ comunque chiara l’implicazione per la salute, a potenze piu’
basse, fino a alcuni milliwatt/Kg.
2.6: Sono stati fatti studi epidemiologici?
Uno studio epidemiologico confronta alcuni
indici relativi a particolari malattie in due gruppi di persone che
differiscono (idealmente) solo per il fatto di essere state esposte
all’agente di cui si intende studiare gli effetti (i campi
elettromagnetici, in questo caso). Potendo studiare un gran numero di
persone nella situazione di reale esposizione, uno studio epidemiologico
ben condotto permette di verificare la pericolosita’ di un agente al di
la’ di ogni ipotesi su come questo produca i danni osservati.
E’ pero’ difficile condurre uno studio di
questo tipo, soprattutto se si sospetta che l’agente produca malattie
rare (come la leucemia infantile), o non si abbia idea di che
particolare malattia cercare. Occorre seguire gruppi di persone molto
grandi, tipicamente di almeno diverse decine di migliaia di persone, e
utilizzare particolari cautele per garantire che i due gruppi siano
davvero uguali per ogni altro aspetto. Occorre inoltre stabilire prima dello studio cosa si vuole cercare, e i criteri in base ai quali si determina l’esposizione.
Sulla popolazione generale, sono stati
condotti due grossi studi in cui si e’ esaminato l’occorrenza di diversi
tipi di tumori in persone che vivevano a varia distanza da ripetitori
televisivi, rispettivamente in Inghilterra (Dolk et al, 1996) e in
Australia (Hocking et al, 1996).
Dolk
ha inizialmente trovato un aumento di leucemie attorno ad una singola
stazione TV, ma, ripetendo lo studio su un gran numero di ripetitori,
non ha trovato complessivamente nessun aumento di leucemie, dell’adulto o
infantili, tumori cerebrali, cancro alla vescica o tumori alla pelle.
Hocking ha eseguito uno studio
“ambientale” (senza misurare i campi a cui la gente era effettivamente
esposta, ma stimandoli in base alla distanza dall’antenna), trovando
aumenti di leucemie infantili. Il lavoro e’ stato ripetuto in modo piu’
accurato sulla stessa popolazione da McKenzie et al. (1998), che hanno
trovato un debole aumento di leucemie infantili nelle vicinanze di un
singolo ripetitore, ma non in tutti gli altri. Inoltre l’aumento risale a
prima che le trasmissioni TV venissero irraggiate 24 ore al giorno.
Anche in questo caso sono stati cercati, e non trovati, aumenti di altri
tipi di tumori.
Una rassegna di tutti gli studi
epidemiologici esistenti e’ stata recentemente effettuata da Elwood
(1999). La conclusione e’ che, sebbene alcuni studi mostrino una
correlazione tra esposizione e alcuni tumori, queste correlazioni sono
deboli (e quindi probabilmente dovuti a fluttuazioni statistiche),
inconsistenti, (studi differenti mostrano risultati opposti riguardo a
tumori specifici), e nel complesso non mostrano assolutamente un aumento
del rischio con l’esposizione. La bassa qualita’ di alcuni studi e’ una
probabile causa delle correlazioni trovate, ed in alcuni casi sono
evidenti errori (bias) che portano ai risultati visti. Tutti questi
studi, pero’, non coinvolgono un numero di persone sufficienti a
determinare in modo affidabile eventuali effetti deboli.
In conclusione: gli studi
epidemiologici mostrano che esposizioni a campi di intensita’ comprese
tra 0.002 e 0.1 W/mq non producono significativi aumenti dei tumori
considerati. Sporadici risultati positivi sono dovuti a fluttuazioni
statistiche e/o errori metodologici. Non siamo pero’ in grado di
escludere effetti deboli.
2.7: Sono stati fatti studi su lavoratori esposti?
I
cosidetti studi occupazionali cercano una correlazione tra
l’esposizione di lavoratori a campi elettromagnetici e varie malattie.
In principio questi studi possono essere molto accurati, perche’ la
popolazione e’ ben definita, e’ possibile determinare la quantita’ di
radiazione assorbita, e seguire la storia clinica di queste persone.
Purtroppo la maggior parte degli studi occupazionali pubblicati mostra
grosse carenze. In particolare spesso si utilizza solamente
l’occupazione come indice dell’esposizione, e non vengono fatte
misurazioni della quantita’ di onde radio a cui i lavoratori sono stati
effettivamente esposti.
Solamente tre lavori sono stati condotti
in modo accurato (Robinette et al, 1980; Hill, 1988; Milham, 1988), e
altri tre in modo accettabile. Nessuno di questi lavori mostra aumenti
nel numero totale di tumori o in particolari tipi di tumori. Uno studio
molto citato (Szmiligelski, 1996) indica un aumento di tumori nei
militari polacchi esposti a onde radio. Questo studio non e’ accettabile
secondo i criteri dati sopra (non indica come sono state valutate le
esposizioni), e contiene errori metodologici gravi.
In conclusione, gli studi
epidemiologici condotti in modo accettabile mostrano che i lavoratori
esposti professionalmente a onde radio non mostrano aumenti
significativi di tumori.
2.8: Tutti gli scienziati condividono gli attuali limiti internazionali?
La stragrande maggioranza della comunita’
scientifica internazionale e’ convinta che non esistano effetti
documentati per esposizioni a radiofrequenza a bassi livelli, e che
quindi i limiti internazionali attuali proteggano adeguatamente la
popolazione. Esistono perplessita’, ma non reali preoccupazioni,
riguardo agli effetti sulla salute dei telefonini, in quanto irradiano
potenza molto vicino al corpo e possono causare una esposizione elevata
su ristrette parti del corpo. Molti studiosi sottolineano che i
risultati contraddittori presenti ad es. in alcuni studi di
laboratorio richiedano ulteriori approfondimenti.
Tuttavia
alcuni scienziati hanno posizioni anche radicalmente differenti. Ad es.
e’ molto citata la posizione di un epidemiologo israeliano, Goldsmith,
che in un articolo di opinione ha sostenuto che gli studi epidemiologici
“suggeriscono che l’esposizione a campi RF sia potenzialmente
cancerogena ed abbia altri effetti sulla salute”. L’opinione pero’ e’
basata sugli studi di Dolk e Hocking citati (vedi domanda 2.6), su un singolo studio occupazionale di bassa qualita’ (vedi domanda 2.7), e su altri lavori non pubblicati su riviste con referee, e quindi di qualita’ discutibile.
Il dr. Henry Lai, dell’universita’ di
Washington, Seattle, sostiene che campi molto deboli, come quelli dei
ripetitori, possono influenzare il sistema nervoso di topi di
laboratorio. Gli studi pubblicati del dr. Lai pero’ riguardano
esposizioni a livelli relativamente alti di esposizione (10W/mq), e di
assorbimento (i topi assorbono meglio degli uomini le onde radio). In
una lettera spedita ad autorita’ nel 1999, Lai sostiene di avere prove
che i campi siano dannosi ad intensita’ molto minori, basandosi su un a
serie di studi che in realta’ non supportano le sue tesi. Gli studi
citati da Lai, infatti, mostrano effetti molto deboli, attribuibili a
fluttiazioni statistiche, non confermati da studi indipendenti, e con
significanza per la salute scarsa o nulla.
Esistono poi anche posizioni molto bizzarre riguardo gli effetti dei campi elettromagnetici (vedi domanda 2.6). Ad es. Roger Coghill, un dirigente ambientale (enviromental
manager) neozelandese sostiene che i campi possano essere pericolosi a
bassi livelli. Sostiene anche che il cervello sia una stazione radio
trasmittente, in comunicazione diretta con ogni cellula dell’organismo
(vedi domanda 1.6). Queste teorie non trovano nessun riscontro nella
fisiologia nota, e Coghill non fornisce nessuna prova a sostegno delle
sue teorie. Posizioni meno estreme sono sostenute da un altro
neozelandese, Cherry. Nessuno dei due ha mai pubblicato un articolo
scientifico su rivista con referee
L'importantissimo video-appello dell'amico Massimo Mazzucco da divulgare dappertutto. Prima che la censura sigilli le nostre vite, fatelo diventare virale. Grazie.