E’ solo una fiaba siciliana alla quale è difficile assegnare una precisa collocazione storica, seppure sia presente un solo richiamo federiciano. Non è presente alcun elemento denigratorio nei confronti della religione cristiana, è giusto precisarlo: si sa da sempre, del resto, “Scherza con i fanti, ma non con i Santi”. Poi, Gesù è Santissimo, figuriamoci, allora! Un riferimento immediato di una riscrittura parabiblica, giusto per parallelismo, potrebbe essere Parola di Giobbe di Giobbe Covatta. Insomma, è una forma di fede su un piano di racconto, mettiamola così: nient’altro di più! Ecco, per l’occasione, per l’appunto, questo piccolo testo, che, a dire il vero, non è poi così tanto noto ai più.
Una volta una vecchietta usciva il cuore dal petto per il desiderio del latte. Se ne stava in malinconia alla finestra quando vide passare capre che suonavano piene di sonagli nella lucente aria del mattino. “O buon capraio”, fece, “mi date un quarto di litro di bel latte?”. Quello glielo diede, schiumeggiò bianco nella ciotola. La vecchietta Maria Maddalena lo conservò in un cassetto per lasciarlo puro, odoroso. Intanto si sentì la campana della messa, i tetti erano sereni.
Quella si vestì e andò in chiesa. Qui sull’altare maggiore in un cesto di giunchigli, anemoni e gigli, c’era Gesù bambino che dormiva. Ma il re Federico[1] lo aveva saputo e con pomposa schiera di conti e baroni, e soldati ben armati, lo cercava. Uno gli disse: “Cerchi bambinello? Se la dorme beatamente in chiesa”. “O prete traditore”, disse il Re. “E noi a cercarlo per prati e monti”. La chiesa fu circondata, suonò piano la campana. Il prete che era un pretino con la zimarra[2] scura, ma l’anima sgombra, disse a Gesù: “Scappa, figlio mio! Non c’è scampo altrimenti!”. E quello che era in lucentezza di mente, per creare confusione si disse: “O padre mio [3]Macone d’Allah figlio fammi diventare un topo”. E fu topolino con coda in argento, occhi furbi.
“Un topo, un topo!”, gridò la gente che ginocchioni pregava il Dio, la Dea, l’Aurora che fa cambiare l’Ora. Immaginate quello che avvenne, come finì la ricerca di Gesù. “Maestà, tutti scappano!”, gridarono i soldati. “E’ in grande spavento il Regno ed il Popolo”. Gesù non fu trovato, rimase sull’altare il canestro con i giunchigli. Il topolino Gesù s’andò a nascondere nella casa di Maria Maddalena, e siccome aveva fame si mangiò il latte nel cassetto dove si riaddormentò. La donna tornò, aprì il cassetto e vide la ciotola vuota con dentro il topo addormentato, o tapinello! Lo acchiappò, gli strappò la coda con la faccia fiera. Gesù topolino si svegliò dal gran dolore, sangue glauco gli stillò dalla mancante coda. Scappò per la casa, e quella lo rincorse dal tavolo alla sedia, dalla sedia al comodino, dal comodino al letto, dal letto alla vicina finestra illuminata dal giorno, dalla finestra al letto, ma oltre non poteva andare. Gesù, che si sentiva topo, piangeva senza coda. Disse: “Vecchietta Maria Maddalena, mi dai la coda?”. Quella non poteva sapere che il topo era Gesù, troppa fame aveva patito. “Te la dò se tu mi porti il latte”, s’intenerì. Il sorcio parte, scende dal tetto, arriva al prato, vede una pecorella che meriggiava stanca. Disse: “Me lo dai un po’ di latte?”. “Sì, se tu mi porti l’erba”. Il sorcio camminò di prato in prato, secchi per ardore di sole, e a un orto che sonnecchiava in mezzo ai sassi, disse: “Orto, mi dai un po’ d’erba, così la dò alla pecora che mi dà il latte, porto il latte alla vecchietta Maria che mi ridà la coda?”. Come non mettere in relazione, a questo punto, la catena di associazioni, tipica delle fiabe, con una canzone cult di A. Branduardi? In fondo, dal cascame dei generi letterari, fiaba compresa, nasce anche la produzione canta-poetica.
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò
E venne il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo
che al mercato mio padre comprò.
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto,
che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne l'acqua che spense il fuoco che bruciò il bastone che picchiò il cane
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il toro, che bevve l'acqua, che spense il fuoco,
che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il macellaio, che uccise il toro, che bevve l'acqua,
che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.
E l'angelo della morte, sul macellaio, che uccise il toro, che bevve l'acqua,
che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E infine il Signore, sull'angelo della morte, sul macellaio,
che uccise il toro, che bevve l'acqua, che spense il fuoco,
che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto,
che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò…
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò
E venne il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo
che al mercato mio padre comprò.
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto,
che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne l'acqua che spense il fuoco che bruciò il bastone che picchiò il cane
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il toro, che bevve l'acqua, che spense il fuoco,
che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il macellaio, che uccise il toro, che bevve l'acqua,
che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.
E l'angelo della morte, sul macellaio, che uccise il toro, che bevve l'acqua,
che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E infine il Signore, sull'angelo della morte, sul macellaio,
che uccise il toro, che bevve l'acqua, che spense il fuoco,
che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto,
che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò…
Ma proseguiamo con la nostra narrazione, fatto questo brevissimo intermezzo, doveroso, credo!
L’orto disse: “E come faccio? Non vedi che dormo su crude pietre? Ho tanta sete d’acqua”. Riparte il topo, attraversa l’ombra dell’ulivo, attraversa un poggio, passa sotto un rovaio nodoso di spine, arriva a una fontana. “O fontana, o fontanella, mi dai l’acqua, così la porto all’orto, questo fa crescere l’erba, porto l’erba alla pecora che mi dà il latte?”. Rispose la fontana triste: “E come te la posso dare se la nuvola non mi dà la pioggia?”. Il sorcio non aveva pace, corse per secche selve, per prati senz’erba, pervenne al tranquillo mare. Chiese, disse in preghiera Gesù: “Oh, fai nascere dal tuo fondo una nuvola, così mi dà l’acqua, che porto all’orto che rifiorisce e rinverdisce e mi dà l’erba che porto alla pecora che mi fa il latte per la crudele Maria Maddalena che mi ha spiccicato la coda!”. Il mare veramente voleva dormire, sfilavano dentro lui le onde piccine, si mescolavano piano piano; fragile e sonnolento era tutto il giardino del mare. “E perché dovrei farlo io per te?”. “Ma io sono Gesù bambino!”. “Per davvero? Chi lo sa!”. Comunque, il mare ebbe pena, soffiò dall’in giù all’in su, venne fumo fino fino, solo l’occhio del delfino lo vedeva. Si formò una nuvola che dapprima, con poco desio di pioggia, s’andava annacando e sfavillando per il cielo. Il sorcio Gesù la pregò, quella guardò in giù sulla spiaggia dove si rotolava il mare con le onde. “Ti prego, nuvola, nuvoletta, nube, nubina, sono senza coda”. Quella sbadigliando e risbadigliando si disse: “E va bene”. E in sollazzo amoroso dentro di sé, dove i bioccoli nuvolosi erano riannodati come orecchio, fece la pioggia. Cadde. Il topo la prese col bombolo, la portò all’orto da cui nacque l’erba sui languenti sassi. Gesù sorcio: “O orto, mi dai l’erba?”. Quello gli diede l’erba, la portò alla pecora; questa la intramò in latte, e si sentì bella; il sorcio ebbe il latte, con piede svelte lo portò alla vecchia che lasciò i pensieri amari e si sentì come rosa novella. Gesù topolino topo e sorcio riebbe la coda. La portò di gran corsa al fabbroferraio che nel nostro paese è Mario Musso. “Me la appiccichi la coda? Me la sono fatta dare dalla vecchia che me la spiccicò perché le mangiai il latte”. “Va bene, ma tu non mi mangiare il gatto che con i suoi occhi rossi mi scalda nell’inverno”. “Va bene, non te lo mangio”. Il fabbroferraio, che infuoca un ferro, vibrò, sprizzò, e appiccicò la coda. Il sorcio gli disse: “Grazie, amico, io sono Gesù diventato topo”. Don Mario Musso rise, fece: “Gesù? Mi pare di avere sentito questo nome”. Il sorcio se ne andò ma cadde ammalato. Venne il dottore con cappello e libro sotto l’ascella, lo visitò, lo palpò, consigliò l’unguento della Maddalena. “Odora, non punge, ti rinfresca dalla febbre”. Glielo applicò sì, ma il sorcetto morì. Morì il sorcio Gesù nostro, Altissimo onnipotente. Suonarono le campane, la vecchia si sentì derelitta e afflitta, e si morse lo stinco. Gesù sorcio morto era in una grotta dove vennero tutti gli animali del mondo: il passero, l’agnello, la capra, il gallo, il pulcino, l’erba tremolilla[4], la santa fava nostra, il grillo, la stessa nube, lo splendore grandissimo del sole. E’una piccola fiaba: finisce qui!
Francesco Polopoli
fonte: I VIAGGIATORI IGNORANTI
Bibliografia
A.A. V.V., Fiabe del Sud, a cura di Elvi Argento e Ketty De Michele, Bergamo 2002, pp. 143-145.
FRANCESCO POLOPOLI
Nato nel 1973, filologo, esperto di filologia neotestamentaria e divulgatore gioachimita. Ha partecipato a Convegni di italianistica, in qualità di relatore, sia in Europa (Budapest) che in Italia (Cattolica di Milano). Attualmente risiede a Lamezia Terme e da articolista si prende cura dell’antico non solo tramite le testate on line della propria cittadella natale ma anche attraverso Orizzonte Scuola e Tecnica della Scuola, diffondendo in comunità virtuali sempre più condivise i propri contributi. Attualmente è docente di latino e greco presso il Liceo Classico di San Giovanni in Fiore e Membro del Centro internazionale di studi gioachimiti. Ultimo è il volume Vitamina classica. Approccio semiserio alla cultura dell’antico.