venerdì 2 ottobre 2015
il massacro del Circeo
è un fatto di cronaca nera avvenuto sul litorale pontino, nella zona del Circeo, il 29 settembre 1975.
Donatella Colasanti (1958-2005) di 17 anni e Rosaria Lopez (1956-1975) di 19 anni, due amiche residenti nella capitale, furono invitate ad una festa da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira a Villa Moresca, proprietà della famiglia di quest'ultimo ubicata sul promontorio del Circeo, in zona "Punta Rossa", nel comune di San Felice Circeo in via della Vasca Moresca a cento chilometri a sud di Roma e a 40 da Latina.
Il passato dei tre
Andrea Ghira, 22 anni, figlio del noto e stimato imprenditore edile ed ex campione olimpico Aldo Ghira, grande ammiratore del capo del Clan dei marsigliesi, Jacques Berenguer, nel 1973 fu condannato per una rapina a mano armata compiuta insieme a Angelo Izzo e per questo scontò venti mesi nel carcere di Rebibbia. Izzo, studente di medicina, insieme a un paio di amici, nel 1974 aveva violentato due ragazzine ed era stato condannato a soli due anni e mezzo di reclusione, che comunque non scontò nemmeno in parte, essendogli stata concessa la sospensione condizionale della pena. Giovanni "Gianni" Guido, diciannovenne studente di architettura, anch'egli proveniente da un ambiente agiato, era l'unico incensurato dei tre.
I fatti
Comincia l'inferno
Tutto è cominciato una settimana fa, con l'incontro con un ragazzo all'uscita del cinema che diceva di chiamarsi Carlo, lo scambio dei numeri di telefono e la promessa di vederci all'indomani insieme ad altri amici. Con Carlo così, vengono Angelo e Gianni, chiacchieriamo un po', poi si decide di fare qualcosa all'indomani, io dico che non avrei potuto, allora si fissa per lunedì. L'appuntamento è per le quattro del pomeriggio. Arrivano solo Angelo e Gianni, Carlo, dicono, aveva una festa alla sua villa di Lavinio, se avessimo voluto raggiungerlo… ma a Lavinio non arrivammo mai. I due a un certo punto si fermano a un bar per telefonare a Carlo, così dicono; quando Gianni ritorna in macchina dice che l'amico avrebbe gradito la nostra visita e che andassimo pure in villa che lui stava al mare. La villa era al Circeo e quel Carlo non arrivò mai. I due si svelano subito e ci chiedono di fare l'amore, rifiutiamo, insistono e ci promettono un milione ciascuna, rifiutiamo di nuovo. A questo punto Gianni tira fuori una pistola e dice: "Siamo della banda dei Marsigliesi, quindi vi conviene obbedire, quando arriverà Jacques Berenguer non avrete scampo, lui è un duro, è quello che ha rapito il gioielliere Bulgari". Capiamo che era una trappola e scoppiamo a piangere. I due ci chiudono in bagno, aspettavano Jacques. La mattina dopo Angelo apre la porta del bagno e si accorge che il lavandino è rotto, si infuria come un pazzo e ci ammazza di botte, e ci separano: io in un bagno, Rosaria in un altro. Comincia l'inferno. Verso sera arriva Jacques. Jacques in realtà era Andrea Ghira, dice che ci porterà a Roma ma poi ci hanno addormentate. Ci fanno tre punture ciascuna, ma io e Rosaria siamo più sveglie di prima e allora passano ad altri sistemi. Prendono Rosaria e la portano in un'altra stanza per cloroformizzarla dicono, la sento piangere e urlare, poi silenzio all'improvviso. Devono averla uccisa in quel momento. A me mi picchiano in testa col calcio della pistola, sono mezza stordita, e allora mi legano un laccio al collo e mi trascinano per tutta casa per strozzarmi, svengo per un po', e quando mi sveglio sento uno che mi tiene al petto con un piede e sento che dice: "Questa non vuole proprio morire", e giù a colpirmi in testa con una spranga di ferro. Ho capito che avevo una sola via di uscita, fingermi morta, e l'ho fatto. Mi hanno messa nel portabagagli della macchina, Rosaria non c'era ancora, ma quando l'hanno portata ho sentito chiudere il cofano e uno che diceva: "Guarda come dormono bene queste due".
(Il racconto di Donatella Colasanti)
Rosaria Lopez (19 anni, barista) e Donatella Colasanti (17 anni, studentessa), residenti nel popolare quartiere romano della Montagnola, provenivano da famiglie modeste ed erano da tutti descritte come due ragazze assolutamente normali, tranquille e serene, appassionate di fotoromanzi all'epoca popolari tra le adolescenti. L'incontro con Guido ed Izzo avvenne pochi giorni prima tramite un amico dei due - risultato poi estraneo al massacro - incontrato all'uscita da un cinema, cui seguì l'invito a trascorrere un pomeriggio con amici (rivelatisi poi Izzo e Guido) al bar del famoso Fungo all'EUR. Qui i tre giovani erano stati accolti con simpatia dalla Colasanti e dalla Lopez, dato il loro habitus garbato ed il comportamento irreprensibile.
In seguito a questo primo appuntamento, innocuo e gradevole, Izzo e Guido avevano proposto a Donatella, Rosaria e ad un'altra amica, che all'ultimo non si unì alla comitiva, di incontrarsi di lì a qualche giorno per "una festa a casa di un amico" a Lavinio, frazione di Anzio. Una volta giunte a destinazione intorno alle sei e venti di sera, i giovani iniziarono a chiacchierare ed ascoltare musica, poi, all'improvviso, tutto si trasformò in un incubo, come dalle parole della Colasanti:
« Verso le sei e venti, ci trovavamo tutti e quattro nel giardino della villa quando, improvvisamente, uno di loro tirò fuori la pistola. Cominciarono a dirci che appartenevano alla banda dei Marsigliesi e che Jacques, il loro capo, aveva dato l'ordine di prenderci in quanto voleva due ragazze. »
Per più di un giorno ed una notte le due ragazze furono violentate, seviziate e massacrate. I tre esternarono un odio sia misogino che di censo, con tanto di recriminazioni ideologiche contro le donne ed il ceto meno abbiente, a due ragazze semplici, mai interessatesi di politica. Guido ritornava a Roma per non mancare la cena con i propri familiari per poi ripartire per il Circeo e riunirsi ai suoi amici aguzzini. Entrambe vennero drogate. Rosaria Lopez fu portata nel bagno di sopra della villa, picchiata ed annegata nella vasca da bagno.
Dopo i tre tentarono di strangolare con una cintura la Colasanti e la colpirono selvaggiamente. In un momento di disattenzione dei due aguzzini, Donatella riuscì a raggiungere un telefono e cercò di chiedere aiuto, ma fu scoperta e, colpita con una spranga di ferro e crollata a terra, si finse morta, ingannando gli aguzzini. Credendole entrambe morte i tre le rinchiusero nel bagagliaio di una Fiat 127 bianca intestata al padre di Gianni Guido, Raffaele. La Colasanti riferì che, durante il viaggio di ritorno, i ragazzi ridevano allegramente ed ascoltavano musica, ripetendo "Zitti che a bordo ci sono due morte" e "Come dormono bene queste". Dopo esser arrivati vicino a casa di Guido decisero di andare a cenare in un ristorante (e in quella sede vennero alle mani con un paio di giovani militanti comunisti incrociati per caso). Lasciarono la Fiat 127 con le due ragazze che credevano morte in via Pola, nel quartiere "Trieste", probabilmente intenzionati a disfarsi dei cadaveri più tardi.
Donatella Colasanti, sopravvissuta per miracolo e in preda a choc, approfittò dell'assenza dei ragazzi per richiamare l'attenzione gridando e venendo udita da un metronotte, in servizio, alle h. 22:50. Subito dopo la volante Cigno dei Carabinieri fece partire un messaggio-radio cifrato: "Cigno, cigno... c'è un gatto che miagola dentro una 127 in viale Pola...".
A intercettarlo fu anche un fotoreporter, che pertanto riuscì a essere presente all'apertura del bagagliaio, alle h. 23:00, dando con le sue foto un volto alla morta e mostrando al pubblico l'aspetto straziato della Colasanti. Izzo e Guido furono arrestati entro poche ore (è nota una foto d'archivio in cui Izzo esibisce spavaldamente le manette ai polsi, sorridendo), mentre Ghira, grazie a una soffiata, non sarà mai catturato, anche se il mattino dopo i Carabinieri scoprirono la madre ed il fratello del giovane nei pressi dell'abitazione del Circeo, sospettando che Andrea li avesse avvertiti e avesse chiesto aiuto per far sparire eventuali tracce. Alcuni mesi dopo Ghira scrisse agli amici Izzo e Guido in carcere, assicurando loro che sarebbero usciti presto "per buona condotta" e minacciando di uccidere la Colasanti, perché non testimoniasse contro di loro. La Colasanti fu ricoverata in ospedale con ferite gravi e frattura del naso, guaribili in più di trenta giorni, e gravissimi danni psicologici da cui non si riprese mai completamente.
Lo strascico giudiziario
Grande apporto alle indagini fu dato dai Carabinieri, comandati dal Maresciallo Gesualdo Simonetti, che seppero ben ricostruire, anche grazie alle deposizioni della Colasanti, la dinamica del massacro. La giovane Donatella, costituitasi poi parte civile contro i suoi carnefici, venne rappresentata dall'avvocato Tina Lagostena Bassi nel processo. Diverse associazioni femministe si costituirono parte civile e presenziarono al processo.
Il 29 luglio 1976 arrivò la sentenza in primo grado, ergastolo per Gianni Guido e Angelo Izzo, ergastolo in contumacia per Andrea Ghira. I giudici non concessero alcuna attenuante. Ghira fuggì in Spagna e si arruolò nel Tercio (Legione spagnola, da cui venne espulso per abuso di stupefacenti nel 1994) con il falso nome di Massimo Testa de Andres. Ghira sarebbe morto di overdose nel 1994 e sarebbe stato sepolto nel cimitero di Melilla, enclave spagnola in Africa, sotto falso nome.
Nel dicembre 2005 il suo cadavere fu ufficialmente identificato mediante esame del DNA. I familiari delle vittime hanno tuttavia contestato le conclusioni della perizia, sostenendo che le ossa sarebbero quelle di un parente di Ghira. Esiste d'altra parte una foto del 1995, scattata dai Carabinieri a Roma, che ritrae un uomo camminare in una zona periferica della città: l'analisi dell'immagine al computer ha confermato che si trattava di Andrea Ghira. Nel corso degli anni suoi avvistamenti sono stati segnalati in Brasile, Kenya, Sudafrica e nel popolare quartiere romano di Tor Pignattara.
Nella loro cella nel carcere di Latina, Izzo e Guido avevano appeso un grosso striscione formato stadio, ove campeggiava la scritta "Corso Trieste 1972 - La Vecchia Guardia". Nel gennaio 1977 presero in ostaggio una guardia carceraria e tentarono di evadere dal carcere, senza successo. La sentenza viene modificata in appello il 28 ottobre 1980 per Gianni Guido. La condanna gli viene ridotta a trenta anni, dopo la dichiarazione di pentimento e la accettazione da parte della famiglia della ragazza uccisa di un risarcimento.
Gianni Guido riuscì in seguito ad evadere dal carcere di San Gimignano nel gennaio del 1981. Fuggì a Buenos Aires dove però venne riconosciuto ed arrestato, poco più di due anni dopo. In attesa dell'estradizione, nell'aprile del 1985 riuscì ancora a fuggire, ma nel giugno del 1994, fu di nuovo catturato a Panamá, dove si era rifatto una vita come commerciante di autovetture, ed estradato in Italia.
La semilibertà concessa ad Izzo e il nuovo duplice omicidio
Nel novembre del 2004, nonostante la condanna pendente, i giudici del tribunale di sorveglianza di Palermo decidono di concedere a Izzo la semilibertà. ll criminale comincia a beneficiarne a partire dal 27 dicembre e ne approfitta presto per fare nuove vittime, Maria Carmela Linciano (49 anni) e Valentina Maiorano (14 anni), rispettivamente moglie e figlia di un pentito della Sacra Corona Unita che Izzo conobbe in carcere a Campobasso. Il 28 aprile del 2005 le due donne sono state legate e soffocate (è stato accertato, dopo vari esami autoptici, che la ragazza non ha subito violenza sessuale) e infine sepolte nel cortile di una villetta a Mirabello Sannitico in provincia di Campobasso, nella disponibilità della famiglia di Guido Palladino, segretario della associazione "Città futura". Questo nuovo fatto di sangue ha scatenato in Italia roventi polemiche sulla giustizia. Il 12 gennaio 2007 Izzo è stato condannato all'ergastolo per questo crimine, condanna confermata anche in Appello.
La morte della Colasanti
Donatella Colasanti è morta all'età di 47 anni, il 30 dicembre 2005 a Roma per un tumore al seno, ancora duramente sconvolta per la violenza subita 30 anni prima. Avrebbe voluto assistere al nuovo processo contro Izzo. Le sue ultime parole sono state "Battiamoci per la verità".
La libertà a Gianni Guido
L'11 aprile 2008 Gianni Guido, il terzo assassino, è stato affidato ai servizi sociali dopo 14 anni passati nel carcere di Rebibbia. Ha finito di scontare definitivamente la pena il 25 agosto 2009, fruendo di uno sconto di pena grazie all'indulto: in pratica, a fronte di una condanna a trent'anni, ha scontato poco meno di 22 anni in carcere, essendo fuggito più volte dal carcere e avendo trascorso 11 anni di latitanza all'estero. Così ha commentato Letizia Lopez, sorella di Rosaria: Il signor Guido non ha affatto scontato la sua pena; è andato in Argentina, è scappato all'estero, ha fatto gran parte della condanna ai servizi sociali, ha usufruito di permessi. Ma insomma mi chiedo con quale coraggio una persona così con quello che ha fatto, e senza mostrare pentimento, ora gira libero per Roma.
fonte: Wikipedia
COME E' FINITA
L'INDIGNAZIONE DI LETIZIA LOPEZ
LETIZIA LOPEZ
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