mercoledì 29 luglio 2015

il vero segreto della magia è che funziona, ma guai a dirlo

Molte pratiche e abitudini sociali sono pratiche magiche, o derivate dalla magia, ma sono chiamate con altri nomi. La recitazione dei mantra buddhisti, operando una trasformazione interna ed esterna, è magia. La meditazione è magia. La psicanalisi, operando una trasformazione interna, per migliorare gli eventi esterni dell’individuo e renderlo più felice, è magia. La psichiatria, somministrando farmaci per alterare gli stati emotivi e mentali, fa né più né meno quello che faceva e fa tuttora l’alchimia; la psichiatria quindi è magia. L’invocazione dell’aiuto divino, ma anche l’invocazione dei santi o della Madonna, operando miracoli, è magia; e la stessa messa cattolica è un rito esoterico, non a caso molto simile ai riti praticati dalle società segrete. La preghiera è una forma di magia. Faccio ora due esempi pratici di come il mago ottenga risultati concreti sulla realtà circostante a lui.
In un caso un mago-massone mi ha raccontato che con un rito (se non ricordo male il Picatrix) aveva scommesso il lunedì che avrebbe materializzato un pranzo di pesce per 20 persone per il fine settimana. Il venerdì è venuto il proprietario di un Berlusconiristorante, a chiedergli come poteva restituirgli un favore che costui tempo fa gli aveva fatto; il giorno dopo le 20 persone hanno mangiato pesce al ristorante. Un altro mi ha raccontato che non fa un lavoro fisso; tempo fa aveva bisogno di una consistente somma di denaro perché era stato costretto a pagare dei lavori condominiali imprevisti. Dopo qualche giorno, un debitore che gli doveva del denaro e che lui non sperava più di rivedere, si è scusato del ritardo con cui aveva restituito il prestito e ci aggiunse per riconoscenza una somma in più tale da coprire tutto il debito. In uno scontro magico che avveniva tra Crowley e alcuni suoi avversari, un giorno arrivò un poliziotto a casa di Crowley a fare una perquisizione; questo era l’effetto del rito, secondo Crowley. Crowley reagi con altro rito, e al suo avversario – se non ricordo male – morirono tutti i cani. Questo è né più né meno quello che fanno i buddhisti aderenti alla scuola di Nichiren; recitano il Daimoku con delle finalità, e quando il risultato è raggiunto lo attribuiscono alla recitazione del Daimoku. Ed è sempre, né più né meno, quel che succede quando un devoto prega Padre Pio, San Gennaro o la Madonna.
È quello che insegna Louise Hay nei suoi libri come “Puoi cambiare la tua vita” (ripetendo molte volte una cosa e finendo per convincercene, arriveremo al risultato voluto), e il libro “The Secret” con la sua legge dell’attrazione. Più in generale, lo stesso problema della psicologia lo hanno tutte le scienze. Il problema è che oggi il fisico, il matematico, lo psicologo, l’astronomo, studiando a fondo un solo aspetto della realtà (che è invece sempre una e complessa) perde di vista l’unità del tutto. L’estrema specializzazione di queste materie ha fatto quindi perdere di vista l’insieme, diminuendo l’efficacia degli studi complessivi, che sono diventati aridi e spesso inutili e fini a se stessi. Soprattutto, la specializzazione e la frammentazione del sapere ha fatto perdere di vista la cosa più importante, la parte spirituale della realtà, trasformando la società in quello che possiamo Monaci buddhisticonstatare con i nostri occhi: una società materialista in cui gli individui hanno perso il senso di ciò che sono e di ciò che fanno.
Tutte le dottrine esoteriche e magiche dicono, in sostanza, la stessa cosa: l’anima è la parte più importante dell’individuo, ed è immortale; e l’uomo deve cercare di uscire dalla sua condizione materiale per elevarsi a vette spirituali. Scrive Schuré che «tutte le tradizioni religiose ed esoteriche giungono a conclusioni identiche nella sostanza ma differenti nella forma, sulle verità fondamentali e finali, seguendo tutte lo stesso schema dell’iniziazione interiore e della meditazione». Nelle tradizioni spirituali sia antiche che moderne l’anima è sempre al centro dell’interesse. Nella società occidentale, invece, dell’anima non si parla più. L’ostacolo alla crescita dell’individuo e alla sua elevazione è venuto da due fronti che hanno sferrato un attacco combinato alla spiritualità: la Chiesa cattolica e la scienza.
La Chiesa ha eseguito le seguenti operazioni: ha negato la dottrina della reincarnazione e l’anima, relegandola a un ruolo marginale e sostanzialmente inesistente (secondo la Chiesa l’anima è sì la parte più importante dell’essere umano, ma solo perché un giorno ci sarà il giudizio universale, in cui saremo giudicati per quello che abbiamo fatto in quest’unica vita; in tal modo si è quindi negato il concetto di anima come è inteso in tutte le tradizioni esoteriche, occidentali e orientali); ha messo al bando la magia e l’esoterismo; ha affermato che bisogna credere per fede, e non per esperienza diretta del divino, che si cerca assolutamente di bandire in tutti i modi. La scienza ha fatto la stessa cosa, ma con mezzi diversi: nega l’anima e Dio, spesso facendo passare chi è religioso per una persona primitiva, che è in cerca di sicurezze, al limite della superstizione; ha messo al bando la magia e l’esoterismo, elevando la scienza stessa a religione; si deride chi ha “fede”, contrapponendo la fede, cieca, Giuseppe Cambarerisuperstiziosa e ignorante, alla scienza, progredita, moderna, civile. In realtà sostituendo alla “fede” in Dio, la fede nella sua inesistenza e la fede nella scienza.
In sostanza, Chiesa cattolica e scienza sono state le due facce della stessa medaglia, apparentemente divise, ma in realtà unite da un fine comune: la distruzione dell’anima e dello spirito. Hanno inoltre inoltre fatto credere che chi è buddista, induista, mago, lo sia per “fede”, cioè per accettazione acritica e incondizionata a un qualcosa di divino, quando invece il buddista, l’induista, il mago, fanno ogni giorno esperienza del divino. Da questo punto di vista, la lotta secolare tra massoneria e Chiesa cattolica è stata anche (e lo è ancora) una lotta magica: la Chiesa ha cercato di impedire in tutti i modi la diffusione e lo sviluppo della magia in Occidente, la massoneria e i Rosacroce hanno cercato di introdurla e diffonderla. A portare prove del legame tra politica e esoterismo, tra movimenti politici della storia e influenze massoniche, rosacrociane, o di altri ordini occulti, ci hanno provato in molti. È stato quindi dimostrato che il regime nazista fu influenzato dall’esoterismo della Società Thule e che Aleister Crowley era consigliere segreto di Hitler; mentre Giuseppe Cambareri, altro esoterista, fu consigliere di Mussolini. È provato che tutti i presidenti Usa sono e sono stati massoni, e clamoroso fu quando Bush e Kerry dichiararono entrambi, in un’intervista congiunta, di appartenere alla stessa società segreta, la Skull and Bones; massoni e rosacrociani furono Mazzini, Garibaldi, Cavour (la cosiddetta carboneria altro non era che una filiazione della massoneria).
Ma il limite di questi studi è di voler sempre rimanere agganciati a prove documentali e certe, quando invece il vero segreto, come dice giustamente Fausto Carotenuto in una recente intervista al mensile “X Times”, non viene mai messo per iscritto e può solo essere intuito. Non c’è in realtà bisogno di “prove” particolari per poter affermare che i personaggi più potenti dell’economia e della politica internazionale pratichino la magia. Infatti, considerando che i personaggi più importanti della storia dell’umanità sono stati e sono tutti massoni, delle due l’una: o la massoneria è un’immensa congrega di idioti dediti a giocare a rituali vetusti e demenziali e i personaggi più importanti dell’umanità erano e sono dei trogloditi superstiziosi, mentre noi, comuni mortali razionali e amanti del pensiero scientifico, siamo dei geni, oppure tali personaggi conoscevano e Massonipraticavano la magia, e hanno (e sanno) qualcosa che noi non sappiamo; e allora alla magia e all’esoterismo va riservato un posto ben diverso rispetto a quello che gli viene riservato in genere.
Occorre anche considerare che la massoneria conta tra i suoi iscritti oltre 50.000 persone, e queste persone non sono studenti, disoccupati, barboni o nullafacenti, ma sono avvocati, magistrati, commercialisti, architetti, politici, medici, imprenditori, insomma la classe dirigente del paese. Tanto per fare un esempio, ai vertici intermedi della Rosa Rossa non c’era solo il magistrato Piero Luigi Vigna, ora defunto, ma c’è tuttora un magistrato che firma molti articoli esoterici e che leggo spesso su riviste e libri di esoterismo. Insomma, se è vero, per le cose che abbiamo detto in precedenza, che la massoneria è un’immensa organizzazione magica, di livello mondiale, ciò equivale a dire che la magia è molto più diffusa di quanto si creda, solo che la si chiama con nomi diversi. Beninteso… la maggior parte dei massoni non ha la minima idea del significato dei riti, non studia quasi nulla, e non capisce il perché di ciò che fa; così come la maggior parte dei cattolici non ha mai letto il Vangelo e la maggior parte dei buddhisti non ha mai letto un qualsiasi sutra per intero.
La maggior parte dei massoni non sa nulla di massoneria, essendosi affiliata per carrierismo, per avere favori, o semplicemente perché in certi ambienti così fan tutti. Come accade in tutte le organizzazioni, solo una minoranza si rende davvero conto di ciò che fa e ne è consapevole. Ma questo non toglie che – lo ripeto – abbiamo oltre 50.000 persone della classe dirigente italiana, affiliate a un’organizzazione magico-esoterica; il che imporrebbe agli scettici, ai materialisti, e ai fideisti della scienza, di farsi venire qualche dubbio rispetto alle certezze granitiche che nutrono. Del resto, come abbiamo ampiamente dimostrato in altri articoli, simboli massonici o esoterici (e quindi magici) sono dappertutto; la moneta da un dollaro (con la piramide massonica e la frase “novus ordo seclorum”), la moneta da uno e due euro (con le sei linee, sei stelle e ancora sei linee presenti su tutte le monete, cioè il 666) e le dodici stelle a cinque punte (la donna che venne dal mare con una corona di dodici stelle dell’Apocalisse), i simboli dei partiti, le costruzioni (penso ad esempio alla sede del Parlamento Europeo, la cui strana e incomprensibile forma è in realtà copiata pari pari dalla struttura della Torre di Babele); Berlusconi ha costruito le sue ville Gioele Magaldisecondo precisi criteri esoterici, come ha dimostrato “L’Espresso” in un articolo tempo fa e come ha spiegato Gioele Magaldi nel sito del Grande Oriente Democratico.
Questa gente, insomma, perde il suo tempo a disseminare ovunque simboli massonici, esoterici e magici. E ancora una volta delle due l’una: o questi sono dei perditempo, o forse nel loro agire c’è un significato più profondo che sfugge alla maggioranza della gente. Parlando di prove, non credo inoltre che esistano (come invece diceva Gabriella Carlizzi) dei manoscritti cifrati e segreti per decodificare il linguaggio delle società segrete, perché se esistessero prima o poi potrebbero venire distrutti o scoperti, e non sarebbe possibile mantenere una segretezza assoluta per secoli; soprattutto non sarebbe possibile che uno stesso segreto iniziatico possa essere detenuto da persone che stanno anche a distanza di migliaia di chilometri le une dalle altre e che spesso hanno necessità di comunicare in tempo reale e senza limiti fisici. Sicuramente esistono testi magici che sono stati tenuti segreti per secoli e che ora vengono spesso ristampati (le edizioni Rebis in particolare negli ultimi anni hanno pubblicato testi interessantissimi, come – almeno per i miei fini – i testi di Arthur Edward Waite; mentre Venexia editrice pubblica i testi della Fortune e di Regardie).
Sicuramente esisteranno testi, anche molto importanti, tenuti segreti alle masse. Ma i veri libri importanti, a mio parere, sono sotto gli occhi di tutti: la Bibbia (compresi gli apocrifi), i Vangeli (compresi gli apocrifi e gnostici), la Divina Commedia e altri libri sacri. Avendo le chiavi per interpretare questi libri, si ha la chiave della conoscenza esoterica. Ecco – ad esempio – il motivo per cui la massoneria festeggia San Giovanni (“Ci sono due chiese oggi: la Chiesa cattolica, di Pietro, e quella massonica, di Giovanni”, dice il Gran Maestro Di Bernardo in un’intervista a Ferruccio Pinotti), i Rosacroce hanno come figura di riferimento più importante San Giovanni, e la stessa Rosa Rossa fa sempre riferimento a San Giovanni. Nel Vangelo di Giovanni è infatti contenuta la parte più importante del messaggio esoterico di Cristo, che è riassumibile nelle sue due frasi: “voi siete dèi” e “conoscete la verità e la verità vi renderà liberi”, il che, poi, è lo stesso messaggio che c’è nella Genesi: Dio creò Giuliano Di Bernardol’uomo a sua immagine somiglianza. E tale messaggio (che si può tradurre così: con la tua volontà, tu crei la tua realtà) è identico, sia per chi opera con animo puro, sia per chi vuole utilizzare questi strumenti per il male.
Magia bianca e magia nera, infatti, si servono degli stessi strumenti; è solo il fine che è diverso, come dicono chiaramente Dion Fortune e Israel Regardie. Il grande segreto della magia è quindi il valore della forza di volontà, e la scoperta che tutto ciò che capita nella nostra vita è attirati dai nostri pensieri. Ne consegue che modificando i nostri pensieri può cambiare la nostra vita. Nell’antichità si riteneva che questo segreto non potesse essere dato alle masse o a chiunque lo volesse conoscere, per evitare che se ne potesse fare un uso distorto. I Pitagorici dicevano che dare il segreto a chiunque avrebbe comportato che il depresso/pessimista avrebbe utilizzato questa conoscenza per autoflagellarsi e accusarsi e sentirsi in colpa di tutte le disgrazie capitate alla gente intorno a lui; il malvagio se ne sarebbe servito per far del male; e la persona troppo limitata non avrebbe retto alla rivelazione, finendo per perdere il senno. Nel medioevo i Rosacroce e i Templari detenevano questo e altri segreti ma non potevano rivelarlo, perché sarebbero stati perseguitati dalla Chiesa cattolica.
Oggi però, piano piano, questo concetto sta iniziando a farsi strada (a partire dai libri di esoterismo, sempre più diffusi, per passare dai libri new age – il cui contenuto è identico a ciò che già scrivevano Plotino qualche millennio fa e Cornelio Agrippa qualche secolo fa – fino ai recenti libri come “The Secret”, il cui titolo non casuale non è altro che una volgarizzazione di alcuni segreti che sono stati sempre propri delle scienze magiche ed esoteriche). Ciò che la cultura moderna e occidentale ha voluto nasconderci e cerca tutt’oggi di nascondere, insomma, è l’importanza della forza di volontà e tutto ciò che costituisce una tecnica per migliorare se stessi. La società occidentale cerca di distruggere sistematicamente la volontà dell’individuo, impedendogli di pensare, riflettere, migliorare. Tutto il sistema in cui viviamo è un complesso apparato volto a impedire lo sviluppo delle facoltà latenti in ogni uomo. A questo risultato si arriva con una serie di mezzi. Anzitutto facendo lavorare ogniThe Secretindividuo otto ore al giorno e anche più, ci si assicura che la persona non abbia tempo per evolversi, dovendo pensare soprattutto a mantenersi.
I cibi sempre peggiori, la pubblicità insistente solo sul materialismo, la completa estromissione dai media, dai film, dai telefilm, dagli spettacoli e dall’informazione in genere, di tutto ciò che è spirituale, produce l’effetto visibile a tutti: l’annichilimento delle persone, l’azzeramento delle volontà, una società di infelici, persone che non conoscono il senso della vita, che sono depresse, che hanno paura di tutto (della bocciatura, della morte propria e altrui, di essere lasciati dal partner, del proprio datore di lavoro cui si sottomettono come schiavi per paura di perdere il lavoro, di parlare in pubblico, di perdere i loro soldi, la loro casa, la loro auto) e che sono schiave docili del sistema e i cui svaghi principali sono il calcio o la discoteca, due delle cose più inutili che la mente umana abbia prodotto.
Per evitare poi che la gente si avvicini alla discipline esoteriche (e quindi migliori se stessa, approfondendo il senso della vita e della morte), il sistema provvede ad effettuare le seguenti operazioni: la magia viene presentata come una cosa da operetta, i cui testimonial principali sono Otelma, Silvan e Vanna Marchi; alcuni programmi e approfondimenti insistono molto sui maghi ciarlatani che propinano filtri d’amore a pagamento, presentando la gente che si rivolge ai maghi come dei superstiziosi ignoranti; nelle trasmissioni, sui giornali, nelle opere storiche, scientifiche e letterarie, viene volutamente omesso qualsiasi riferimento esoterico e qualsiasi riferimento ai problemi dell’anima e dello spirito; nei testi di storia viene omesso qualsiasi riferimento alla massoneria e ai Rosacroce, e alla loro importanza nella storia dell’umanità; di Dante ci insegnano che scelse San Bernardo come guida in Paradiso perché era devoto alla Madonna, e i Fedeli d’Amore ci vengono presentati come una Paolo Franceschettimanica di imbecilli che passavano il loro tempo a scrivere sonetti demenziali a donne angelicate che poi cornificavano nella loro vita privata.
E ancora: lo Yoga e le tradizioni orientali sono presentati come una sorta di fuffa new age praticata da fricchettoni con i capelli lunghi e che fumano canne (vedi ad esempio il personaggio di Verdone nel film “Un sacco bello”), oppure persone svitate e svampite senza aggancio con la realtà (il personaggio di Dharma nel telefilm “Dharma e Greg”); in casi estremi poi si arriva addirittura a dire che lo Yoga e le discipline orientali sono “sataniche”, come fanno Padre Amorth e altri cattolici fondamentalisti; in linea di massima però chi pratica discipline come la meditazione viene sempre presentato come un disadattato che fugge dalla realtà, mentre la persona “adattata” e di successo, ben agganciata alla realtà, è ovviamente quello che viaggia vestito in giacca e cravatta sulla sua Bmw. E poi si omette accuratamente di dire che Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Mozart, Beethoven, Bacone (che pare fosse colui che effettivamente scrisse le opere di Shakespeare), erano Rosacroce, quindi maghi ed esoteristi, come lo erano Mazzini, Cavour e altri meno nobili personaggi, per evitare che la gente si faccia domande. Possiamo quindi dire che il grande segreto della magia è che essa funziona, e che chi detiene il potere nella nostra società ha fatto credere alla gente che essa non solo non funzioni, ma sia una scienza da ciarlatani, da persone superstiziose e arretrate, e che una persona, per essere evoluta, debba fare riferimento alla “scienza” e solo alla scienza. Un altro segreto è che i personaggi politici, da Borghezio ad Andreotti, Berlusconi o Monti, la utilizzano come strumento quotidiano, mentre a noi ci propinano al massimo il mago Otelma e Silvan.
(Paolo Franceschetti, estratto da “La magia. Cos’è, perché funziona, e per quale motivo i politici la usano in segreto”, dal blog di Franceschetti del 18 novembre 2012).

fonte: www.libreidee.org

domenica 26 luglio 2015

la decima vittima


Marcello Mastroianni - sullo sfondo Opera di Alberto Biasi del "Gruppo N"


Ursula Andress - sullo sfondo Opera di Alberto Biasi del "Gruppo N"

« La decima vittima sarà una satira del mondo attuale, una trasposizione allegorica di aspirazioni ed inquietudini dell'oggi dove verranno fustigati certi costumi, la ferocia dei rapporti individuali e collettivi, l'arrivismo sociale dei tempi moderni. »

(Elio Petri, 1964 )

è un film del 1965 diretto da Elio Petri, tratto dal racconto La settima vittima (The Seventh Victim) di Robert Sheckley, edito in Italia nell'antologia Le meraviglie del possibile. Sceneggiato, tra gli altri, da Ennio Flaiano e Tonino Guerra, è interpretato da Marcello Mastroianni (con un'insolita capigliatura ossigenata) e da Ursula Andress.

Il film, tra commedia e dramma, azione e satira, nell'attingere alla tradizione della commedia all'italiana e nell'irridere il genere fantascientifico, tradisce lo spirito della storia originaria, ma è notevole per la riuscita colonna sonora di Piero Piccioni e per le suggestioni visive tra Iperrealismo, Pop Art, Op art, Arte Programmata, Informale e Concettuale, che danno al film un inconfondibile sapore d'epoca, analogo a quello del successivo Diabolik (1968) di Mario Bava.

Trama

In un imprecisato futuro prossimo, è stata istituita a livello mondiale una competizione, la Grande Caccia, per regolamentare la violenza individuale e dare sfogo agli istinti aggressivi, evitando che prendano la forma collettiva delle guerre. A questa competizione partecipano due individui, il Cacciatore e la Vittima: tutti possono iscriversi, ma la creazione delle coppie cacciatore-vittima è affidata a un computer. Vince chi dei due riesce a uccidere l'avversario. Questa gara è diventato un grande spettacolo popolare al punto da rendere i suoi partecipanti dei veri e propri idoli.

La giovane statunitense Caroline Meredith è giunta abilmente alla sua decima ed ultima caccia. Per conquistare il titolo di Campione Decathon deve eliminare un'ultima vittima, l'indolente romano tipico Marcello Poletti, che ha superato sei cacce senza dimostrare particolari capacità o impegno, preso piuttosto dai problemi familiari, la richiesta di annullamento del matrimonio con l'avida Lidia e il tentativo di liberarsi anche della giovane amante Olga, in ossessiva attesa di sposarlo.

Tormentato dalle due donne, che hanno raggiunto una morbosa intesa contro di lui, Marcello rimane affascinato dalla giovane e bella Caroline, che l'ha raggiunto a Roma ed avvicinato con la proposta di un'intervista. Si incontrano in uno "Snack Bar Dietetico" dove due sassofonisti suonano sotto il sole per intrattenere i clienti. Marcello si dimostra subito sospettoso e, appena può, se ne va.

Caroline lo segue e scopre che per integrare i compensi della "Grande caccia" Marcello è a capo della setta dei "Tramontisti". Lui e i suoi adepti si riuniscono ogni giorno sul litorale per adorare il sole che scompare all'orizzonte. Marcello usa anche un collirio che provoca la lacrimazione per rendere più credibile il suo personaggio. Deve combattere anche con un gruppo di "ribelli" che ogni volta lo sbeffeggia lanciando uova e insulti: sono i "Neorealisti Volgari".

La giovane ha progettato di ucciderlo davanti alle telecamere, nello scenografico tempio di Venere, per guadagnare il compenso di uno sponsor pubblicitario, il "The Ming", che ha organizzato una troupe video che segue l'evento in una sorta di reality show.

Marcello sospetta presto che la donna sia il proprio "cacciatore" e organizza un analogo spettacolo mortale (con tanto di alligatore come mezzo di eliminazione dell'avversaria), esitando però a mettere in pratica il progetto da un lato per il timore di un errore di persona, che potrebbe costargli trent'anni di carcere, dall'altro perché finisce per innamorarsene.

Marcello cade nella trappola, ma Caroline commette l'errore di sparargli con la pistola di lui, caricata a salve. L'uomo tenta a sua volta di ucciderla, ma non sa della sua invisibile protezione antiproiettile e fallisce. Infine, braccati da Lidia e Olga, decise a vendicarsi, i due scappano insieme su un aereo, dove Marcello, sotto la minaccia di un'arma, finisce per sposare Caroline.

Colonna sonora

La canzone Spiral Waltz di Sergio Bardotti e Piero Piccioni è cantata sui titoli di coda da Mina ed è stata ripresa dalla band The Transistors per l'album Modern Landscape uscito nel 2008.

Critica

« Una vicenda di fantasia che serve al regista Elio Petri per imbastire una denuncia contro il sistema capitalistico e contro l'invadenza dei mass media: gli uomini sono assimilati a merci di consumo, facilmente sostituibili, ed il loro ruolo sociale è circoscritto all'occasione di uno spettacolo di massa.
Il film rientra nel genere della fantascienza italiana, ma si distingue per un impegno produttivo superiore alla media e per un intelligente utilizzo dei temi propri della commedia di quegli anni [...] »

(Fantafilm)

La Grande Caccia

Le regole della Grande Caccia:

Ogni iscritto deve impegnarsi a partecipare a dieci cacce nel ruolo di Cacciatore alternandosi con altrettante nel ruolo di Vittima. La scelta del Cacciatore e della rispettiva Vittima è stabilita da un computer a Ginevra.

Al Cacciatore vengono fornite tutte le informazioni sulla sua Vittima designata.

La Vittima ignora le generalità del proprio Cacciatore dovendo così individuarlo ed eliminarlo per non restare uccisa. Una vittima può reclutare degli informatori, se può permetterselo.

Il vincitore di ogni singola Caccia riceve un premio.

Compiendo cinque imprese come cacciatore e sopravvivendo ad altrettante come vittima - uccidendo dunque dieci individui - il partecipante viene proclamato decathon con tanti onori e festeggiamenti, ricevendo un premio di un milione di dollari (un'enorme fortuna per l'epoca), oltre ad una serie di grandi benefici (esenzione totale dalle tasse, ecc).

Gli slogan diffusi dal Ministero della Caccia:

«Contro il pericolo di guerre di massa, iscrivetevi alla Grande Caccia».

«Solo la Grande Caccia può darvi un senso di sicurezza».

«Perché controllare le nascite quando possiamo controllare i decessi?»

«Vivete pericolosamente, ma nella legge».

«Suicidi, nella Grande Caccia c'è posto anche per voi».

Riferimenti ad altri film

Il tema della caccia all'uomo è stato affrontato dal cinema fin dal 1932, nel classico del genere fantastico La pericolosa partita di Ernest B. Schoedsack, che ha avuto diversi remake, più o meno espliciti: A Game of Death (1946) di Robert Wise, La preda umana (1956) di Roy Boulting, Senza tregua (1993) di John Woo.

La componente spettacolare della caccia è predominante in L'implacabile (1987) di Paul Michael Glaser, da un romanzo di Stephen King, e in Contenders - Serie 7 (2001) di Daniel Minahan, che aggiorna il tema ai tempi della real tv.

La decima vittima è, dal punto di vista visivo, una delle ispirazioni per il film Austin Powers: Il controspione (1997) di Jay Roach, ma le sue idee sono anche alla base di Endgame - Bronx lotta finale, diretto da Joe D'Amato nel 1983.

Differenze con il racconto originale

I protagonisti sono entrambi statunitensi.
I ruoli sono invertiti. La donna di nome Janet è la vittima, la settima per il cacciatore Stanton, commerciante di "articoli da Caccia".
Si parla di spettacoli circensi con gladiatori, un espediente catartico istituito prima della Caccia.
Le vittime hanno facoltà di ingaggiare degli informatori. L'uccisione di terzi è punita con la morte. Sottrarsi alla Caccia è un reato gravissimo.
I vincitori di tutte le cacce divengono membri del Club della Decina o Decaclub, a secondo delle traduzioni.
Apparizione di un membro del Decaclub, un anziano socio del protagonista che rimpiange le passate emozioni di cacciatore e vittima, al punto da contestare la regola ferrea che non ammette reiscrizione.
Epilogo tragico per il cacciatore Stanton, vittima dapprima del fascino femminile quindi della stessa donna la quale, in quanto vittima, ha facoltà d'uso di armi non convenzionali, qui una pistola camuffata da accendisigari.

Curiosità

Il finale del film, diverso da quello pensato da Petri, fu imposto dal produttore del film. In una intervista, il regista ebbe a dichiarare:"Sapesse come sudai per convincere il produttore e quanto penai per dovermi adattare a quell'orribile finale, pagliaccesco, ma non ce la facevo più a lottare contro tutti."

font: Wikipedia

SPEZZONE FILM

bugie e segreti: perché Cossiga non ci mancherà

Sarò onesto: non mi mancherà. Guai se la pietà per la morte offuscasse la memoria e il giudizio che la memoria (viva, ben viva) porta con sé. Non esisterebbe più la storia. E dunque, parlando di Francesco Cossiga, rifiuterò il metodo che gli fu alla fine più congeniale: quello di ricordare i morti diffamandoli, dicendo di loro cose dalle quali non potevano difendersi. Fidando nel fatto che i familiari una cosa sapevano con certezza: che se avessero osato replicargli lui avrebbe inventato altri episodi sconvenienti ancora e poi li avrebbe dileggiati, forte della sua passata carica istituzionale e della compiaciuta docilità con cui la stampa ospitava ogni sua calunnia. Fece così con Moro, con Berlinguer, con il generale Dalla Chiesa. Fece così con altri.
Era nato d’altronde un autentico genere giornalistico, l’intervista a Cossiga, che consisteva nel mettergli davanti un microfono o un taccuino e ospitare ITALY SAVING PREMIER PRODIsenza fiatare le sue allusioni, le sue bugie. Da trasformare in rivelazioni storiche, provenienti dal loro unico e inesauribile depositario. Mi atterrò dunque ai fatti che tutti possono pubblicamente controllare. Perché ai tempi fui tra i parlamentari che ne chiesero l’impeachement, anzitutto. Perché io il sistema politico di allora, quello che chiamavo il regime della corruzione, lo volevo cambiare per davvero. Ma per renderlo conforme alla Costituzione e a un decente senso delle istituzioni.
Perciò mi scandalizzavo nel vedere un capo dello Stato giocare soddisfatto al picconatore, conducendo una massiccia attività di diseducazione civica. Quando poi Cossiga si mise alla testa della lotta contro i giudici, minacciando, lui presidente del Csm, di farlo presidiare militarmente dai carabinieri avvalendosi delle sue prerogative di Capo supremo delle Forze auto di Rosario Livatinoarmate, pensai che la misura era colma. Che l’uomo esprimeva una cultura golpista e che era nella posizione istituzionale per tradurla in realtà politica.
Perché titolai la storia di Rosario Livatino “Il giudice ragazzino”. Esattamente in polemica con lui, che delegittimava i giovani magistrati che in Sicilia sfidavano la mafia. A questi giudici ragazzini non affiderei neanche le chiavi di una casa di campagna, aveva detto. E Livatino, morto a trentotto anni, aveva compiuto le sue prime coraggiosissime inchieste quando di anni ne aveva ventotto.
Avevo imparato dai racconti di mio padre che quando si ha a che fare con la mafia chi ha un grado superiore protegge chi sta sul posto, ci passeggia insieme in piazza perché tutti capiscano. Che non è solo, che ha dietro lo Stato. Lui, capo dei magistrati, aveva invece umiliato sprezzantemente proprio i giudici più esposti negli anni della mattanza. Perché mi astenni, unico nel centrosinistra, sulla fiducia, al primo governo D’Alema. Non per oltranzismo ulivista, ma perché non ero certo entrato in Parlamento per fare un governo con Cossiga e con ciò che lui rappresentava nella vita del paese e nella mia vita personale. Il testo dell’intervento pronunciato in quell’occasione è agli atti. Allora mi valse richieste di interruzione da sinistra e qualche stretta di mano (tra cui quella di Gianfranco Fini). Perché Carlo Alberto Dalla Chiesa 2l’ho spesso citato – ma non quanto avrei voluto – nei libri, negli articoli o negli interventi che avevano per oggetto la vicenda di mio padre.
Perché ho sempre trovato maramaldo quello spargergli veleno intorno dopo il suo sacrificio. Non ho mai capito se fosse il seguito dell’isolamento che il sistema aveva inflitto al prefetto dopo l’ annuncio che sarebbe andato in Sicilia per combattere la mafia per davvero. Ricordo però con certezza che Cossiga iniziò a colpirne l’immagine in vista del maxi processo presentandolo con naturalezza come iscritto alla P2.
I giudici che avevano indagato a Castiglion Fibocchi, Gherardo Colombo e Giuliano Turone, mi garantirono che loro nella lista quel nome non l’avevano trovato. Lui insisté contro ogni atto giudiziario e parlamentare (della storia ho reso i particolari su “In nome del popolo italiano”, biografia postuma di mio padre, nel 1997). Finché anni dopo ancora raccontò la sua pazzesca verità: per proteggere mio padre Colombo e Turone, giudici felloni, avevano strappato un foglio dall’elenco. Non smise mai di raccontarlo.
Così come, per sminuire il lavoro di Giancarlo Caselli e di mio padre contro il terrorismo, sostenne un giorno, poco dopo l’avviso di garanzia per Andreotti a Palermo, che il vero merito del pentimento di Patrizio Peci fosse di un maresciallo delle guardie carcerarie di Cuneo. Costui venne da lì lanciato pubblicamente in orbita giornalistica e televisiva per seminare nuove e inverosimili calunnie su mio padre, alcune delle quali si sono ormai Giorgiana Masipurtroppo depositate negli atti giudiziari (tra i quali rimane però anche, a Palermo, il testo della contro audizione da me richiesta).
Altro verrebbe da dire, dalla memoria di Giorgiana Masi uccisa in quella famigerata manifestazione del ‘77 zeppa di infiltrati in armi, al contrasto avuto con lui in Senato, dai banchi della Margherita, sui fatti della Diaz, che lui, sedicente garantista, avallò senza scrupoli. Come e più che con Giovanni Leone, che non ebbe comunque le sue colpe, avremo probabilmente un mieloso coro di elogi.
Poiché l’uomo ha incarnato alla perfezione la qualità media della nostra politica questo è assolutamente naturale. Certo non si porterà nell’aldilà solo i segreti veri di questa Repubblica. Si porterà anche i segreti da lui inventati, le trame inesistenti fatte intravedere, le panzane spacciate per misteri. Riposi in pace, e che nessuno faccia a lui i torti che lui fece alle vittime della Repubblica.
(Nando Dalla Chiesa, “Sarò onesto, Cossiga non mi mancherà”, da “Il Fatto Quotidiano” del 18 agosto 2010)

fonte: www.libreidee.org

giovedì 16 luglio 2015

l'assassino



« Il personaggio interpretato da Mastroianni è colpevole di disumanità. Totalmente disumanizzato, egli accetta questo processo di disumanizzazione e concepisce le relazioni umane come rapporti tra i suoi bisogni personali e coloro che fanno parte della sua vita. Gli altri sono solo oggetti da usarsi semplicemente per i propri scopi. »

(Elio Petri, 1974 )

è un film italiano del 1961 diretto da Elio Petri. In questo suo primo lungometraggio, impostato in chiave thriller, il grande autore romano mette in scena una curata analisi psicologica dei turbamenti del protagonista, contribuendo così alla nascita di una nuova filmografia italiana che tentava di superare i limiti del Neorealismo.

Trama

Il giovane antiquario Alfredo Martelli è fermato dalla polizia e accompagnato in questura senza alcuna spiegazione. L'uomo si chiede quale colpa abbia commesso, prima di essere formalmente accusato di omicidio. È stata infatti assassinata la sua ex amante, una donna che Martelli ha incontrato la sera prima per chiederle la dilazione di un pagamento. Dopo lunghe ore di angoscia, un altro indiziato si tradisce confessando l'omicidio, scagionando l'antiquario che può così fare ritorno a casa. Turbato dall'avvenimento, Martelli può ora ricominciare la sua vita di sempre.

Analisi del film

Il merito di Petri in questa sua opera prima sta nel descrivere come il protagonista, di fronte ad una situazione paradossale e misteriosa (il suo interrogatorio e il successivo arresto), si ritrovi a ripercorrere, attraverso un serie di flashback, alcune tappe significative del suo passato di arrampicatore sociale e del suo modo meschino e opportunistico di relazionarsi con gli altri. Alla fine del film, riguardo al delitto della sua amante, egli risulterà innocente ma, come dichiarato dallo stesso Petri, "colpevole di disumanità".

fonte: Wikipedia

INIZIO FILM

martedì 14 luglio 2015

senso


la scena del bacio alla Villa di Aldeno, che secondo molti critici è ispirata al quadro di Francesco Hayez del 1859

è un film del 1954 diretto da Luchino Visconti, con Farley Granger e Alida Valli quali interpreti principali. Assistenti alla regia furono Francesco Rosi e Franco Zeffirelli, entrambi all'epoca quasi all'inizio della carriera.

«Cosa m’importa se i miei compatrioti hanno vinto oggi
una battaglia in un posto chiamato Custoza,
quando so che perderanno la guerra … e non solo la guerra ?
E un intero mondo sparirà, quello cui apparteniamo tu e io.
E il nuovo mondo non ha alcun interesse per me».

Franz Mahler, tenente austriaco (Farley Granger) alla contessa Livia Serpieri (Alida Valli).

Trama

Venezia, 27 maggio 1866, vigilia della terza guerra di Indipendenza. La voce fuori campo della contessa Livia Serpieri racconta una vicenda iniziata quando, durante una rappresentazione del "Trovatore" alla Fenice, i sostenitori della riunione del Veneto all’Italia lanciano dei volantini antiaustriaci. Dagli incidenti che ne seguono nasce uno scontro verbale tra il nobile Roberto Ussoni, fervente filoitaliano, e il tenente dell’esercito austriaco Franz Mahler, con conseguente sfida a duello. Livia, presente a teatro, cugina di Ussoni e favorevole alla causa italiana benché sposata a un nobile veneto filo austriaco, chiede di essere presentata a Mahler e cerca di convincerlo a rinunciare al duello, temendo per le sorti del cugino. Ma Ussoni viene arrestato e condannato all’esilio.

Quando Livia si reca a salutarlo al Comando Austriaco, incontra nuovamente Franz Mahler. Sempre più coinvolta dalla personalità dell’uomo, percorre assieme a lui le calli veneziane deserte per il coprifuoco. La loro lunga passeggiata dura l’intera notte e la donna si innamora perdutamente dell’ufficiale. Inizia così una travolgente e sensuale relazione, fatta di appuntamenti in camere a pagamento e di incontri clandestini, sino a quando lui scompare, gettandola nella disperazione e inducendola, incurante dello scandalo, a cercarlo invano affannosamente per tutta Venezia.

Quando iniziano le ostilità tra Italia e Austria, Livia è nuovamente contattata da Ussoni, fuggito dall’esilio. Ussoni le affida l’ingente somma raccolta dai filoitaliani, chiedendole di portarla alla sua Villa di Aldeno, dove la Serpieri è in procinto di trasferirsi con il marito, timoroso della guerra. Dovrà consegnarla alle bande di sostenitori dell'Italia che si sono organizzate in quella zona con l’obiettivo di operare in armi dietro le linee austriache.

Ad Aldeno Livia viene raggiunta da Franz che piomba in camera sua di notte sfuggendo ai guardiani e ai loro cani. La donna cede nuovamente alla passione per il tenente che, nascosto nel granaio con la complicità di Laura, la cameriera di Livia, la informa della possibilità di evitare la battaglia corrompendo dei medici che lo dichiarino inabile. Accecata dai suoi sentimenti, Livia consegna a Mahler la somma destinata alle bande filoitaliane e con quella l'ufficiale riparte per Verona.

Nei giorni successivi si sviluppa la guerra, cui Ussoni tenta invano di far partecipare le forze irregolari, sino a rimanere ferito durante la battaglia. Ad Aldeno, intanto, Livia riceve una lettera con cui Franz le comunica che è riuscito a ottenere l’esonero. Benché lui le chieda di non muoversi, Livia, travolta da un impulso irrefrenabile, decide di partire per Verona, dove arriva la sera stessa della vittoria austriaca sugli italiani a Custoza. Qui, dopo aver sognato di riavviare la relazione con Franz abbandonando per lui il marito, Livia lo trova invece sporco, ubriaco e in compagnia di una prostituta, di fronte alla quale egli la insulta e la umilia pesantemente, mostrando alla donna la sua vera natura di uomo spregevole, ladro e delatore (confessa alla contessa di aver denunciato egli stesso il marchese Ussoni facendolo esiliare). Livia si rende improvvisamente conto di essersi innamorata di un'idea che purtroppo non ha nessun riscontro nella realtà.

La donna fugge sconvolta e si reca al Comando Austriaco, dove denuncia Mahler consegnando la lettera nella quale questi le raccontava la corruzione messa in atto e rivela dove si trova. Il generale austriaco comprende i veri motivi del gesto della contessa, ma non può sottrarsi dal compiere il suo dovere. Il tenente Mahler viene quindi arrestato e immediatamente fucilato. Livia, impazzita dal dolore, vagherà invocando il suo nome per le strade di Verona, in mezzo ai soldati austriaci che festeggiano la vittoria.

La realizzazione del film

Il soggetto

Il film è tratto da un omonimo e breve racconto di Camillo Boito, parte di una «bella antologia di novelle intitolata Il maestro del Setticlavio» pubblicata a cura di Giorgio Bassani, presso l’Editore Colombo di Milano. Luciano De Giusti racconta che alla fine del 1952 Visconti e la sceneggiatrice Suso Cecchi D'Amico erano impegnati con la casa di produzione “Lux” nella preparazione di Marcia Nuziale, un film sulla crisi del matrimonio cattolico, progetto a cui alla fine la casa produttrice decise di rinunciare, chiedendo tuttavia delle idee alternative. Il regista e la D’Amico ne proposero cinque, tra cui la novella di Boito, che la D'Amico ricordava di aver letto.

«Quando la "Lux" accettò il progetto – ha scritto Alessandro Bencivenni – Bassani fu invitato a collaborare alla sceneggiatura. La produzione affiancò due sceneggiatori di sua fiducia, cioè Giorgio Prosperi e Carlo Alianello. Infine Paul Bowles e Tennessee Williams furono chiamati a elaborare la versione inglese dei dialoghi». Sin da allora il film fu presentato come «il più notevole sforzo finanziario e organizzativo compiuto durante l'anno nel quadro della produzione cinematografica italiana».

La sceneggiatura
.
«A Visconti – ha scritto Pio Baldelli - la novella di Boito parve troppo scheletrica: ha voluto fare in grande, nello spazio, nel tempo, in primo luogo complicando la situazione psicologica dei protagonisti e secondariamente l’ambiente del trapasso tra due mondi». Anche Fernaldo di Giammatteo sostiene che «dilatando la modesta novella naturalistica di Boito, Visconti si pone alcuni obiettivi: narrare una storia di abiezioni e di viltà, costruire uno spettacolo “bello in sé”, esprimere un giudizio su un gruppo sociale, il medesimo cui egli appartiene, e un’epoca storica, il Risorgimento».

Con questi intenti si mise mano alla sceneggiatura che si sviluppò con diverse versioni. Le ricostruzioni di G.B. Cavallaro e di Lino Micciché ne individuano almeno tre: la prima, scritta a più mani e conclusa nell'aprile del 1953, manteneva il titolo della novella, oppure Custoza, (ma si pensò anche a I vinti) e in essa la vicenda è posteriormente raccontata da Livia a Ussoni. Ne seguì una seconda, elaborata solo da Visconti e D’Amico, con titolo Uragano d’estate senza più flashback del racconto e con una distribuzione diversa degli episodi. Ma fu una terza, detta continuity ed utilizzata anche per il doppiaggio, quella su cui fu in gran parte costruito il film e nella quale vi fu l’intervento dei due autori stranieri. Il tutto richiese tempi lunghi: «Senso lo cominciammo in primavera – è il ricordo della Cecchi D’Amico e d’estate mi trasferii da Luchino a Ischia, poi lo seguii con Bassani a Venezia e a Milano. L’estate dell’anno dopo arrivò Tennessee Williams portandosi dietro Bowles per riadattare i dialoghi in inglese».

La scelta del cast

Quali interpreti di Senso Visconti aveva pensato a Ingrid Bergman e Marlon Brando, ma questa sua idea non poté essere attuata. La D’Amico ha sostenuto che «per Brando non si combinò perché la Lux non lo volle. Aveva fatto ancora poco e Fronte del porto in Italia non era ancora venuto». Diverso il caso della Bergman, che, dice la D’Amico, «fece storie per via di Rossellini», secondo lei contrario al fatto che l’attrice svedese lavorasse con altri registi. Invece Rossellini diede un’altra spiegazione: «Se a lei [Bergman n.d.r.] piaceva fare qualcosa, non sarei certo stato io dissuaderla. Ingrid non se la sentì: il nostro Risorgimento non le dice nulla, non lo capisce, la sua cultura è troppo diversa. Fu lei comunque a rifiutare, io non misi parola».

Nel giugno – luglio 1953, mentre sta facendo i sopralluoghi per il film, Visconti incontra a Venezia Mario Soldati che sta girando La mano dello straniero con Alida Valli quale interprete e gli chiede notizie su di lei, ricevendone un giudizio positivo. La scelta di Visconti è una fortuna per l’attrice di origine istriana che viene da un periodo sofferto della sua carriera. La Valli ricorderà piacevolmente quel “set”. «Che bel periodo fu quello, provavamo alla Malcontenta e Visconti aveva con noi attori una forza di comunicazione straordinaria», definendolo «l’uomo che non ho potuto amare». Farley Granger, che a quei tempi era popolarissimo presso le giovani americane aveva da poco sciolto il proprio contratto con Samuel Goldwyn, decisione che gli era costata molto sul piano finanziario. Anche per quello il suo agente lo indusse ad accettare il ruolo in Senso, il che gli diede anche la possibilità di conoscere l’Italia, dove poi tornerà in seguito per altri ruoli, e di soggiornare a Parigi. Quanto agli altri attori principali, oltre a quelli che da tempo lavoravano nel cinema o nel teatro con Visconti, come Rina Morelli o Massimo Girotti, vi fu la presenza della giovanissima Marcella Mariani, eletta “Miss Italia” 1953 a Cortina e che poi perirà tragicamente nel 1955 in un disastro aereo.

L’ambientazione

A differenza dei suoi film precedenti, in Senso Visconti pose una cura eccezionale nella ricostruzione degli elementi storici. «Il costume di Senso – scrisse Piero Tosi - è costato a Escoffier e a me molte ricerche, molte limature e soprattutto molta umiltà. (…) Per ricreare questo mondo la documentazione ha attinto alle immagini più vive, più attendibili; i dagherrotipi sono stati una fonte inesauribile e la pittura italiana [ha fornito] preziosissime visioni di un mondo borghese che qua e là fa da sfondo alla vicenda».

Anche la scenografia fu curata nei minimi particolari. Gino Brosio ricorda che «i problemi che si sono presentati per la realizzazione delle scenografie non sono stati né pochi, né piccoli» e ancora: «linee, volumi, colori dovevano essere quelli e non altri, per la certezza che al regista veniva dalla sua vecchia civiltà che affiorava spontanea in ogni occasione».

Questo impegno fu riconosciuto da molti critici. Vittorio Spinazzola lo ha definito «Una delle più belle affermazioni del cinema d’arte nel buio periodo tra il 1948 e il 1960» aggiungendo che «la novità di Senso consisteva nell’eccezionalità dell’impegno produttivo, dall’uso del colore alla fama degli interpreti, dalla vastità delle scene di massa, alla ricchezza di costumi e scenografie: siamo in prossimità della categoria del colossale». E Bencivenni ha definito Senso un film «di una bellezza figurativa eccezionale».

La produzione

Visconti stabilì il suo “quartier generale” nell’edificio della scuola elementare di Valeggio sul Mincio; le prime scene girate furono quelle della battaglia. Durante la lavorazione si verificò la grave perdita dell’operatore G.R. Aldo [Aldo Graziati], che già aveva girato, oltre alle scene di battaglia, anche quelle nella Villa Valmarana. Graziati fu sostituito dall’americano Robert Krasker che girò, tra l’altro, le scene notturne veneziane, e quelle di Verona. La complessità del “set”, soprattutto nelle scene corali di battaglia, comportò notevoli sforzi, diversi problemi tecnici (ad esempio, si dovettero eliminare dalla campagna pali e fili elettrici) e qualche problema “sindacale”, dato che in alcune occasioni le comparse protestarono per le paghe troppo basse. Tuttavia il critico cinematografico Renzo Renzi ha raccontato che, nonostante l’impegno assorbente della lavorazione, Visconti e la troupe non mancarono di fargli pervenire nel poco lontano carcere militare di Peschiera, dove era detenuto assieme a Guido Aristarco, diversi generi di conforto. Gli interni furono girati negli stabilimenti “Scalera” di Venezia e “Titanus” di Roma.

A seguito degli interventi censori (vedi punto successivo) la produzione dovette rifare completamente il finale del film. «In realtà il finale doveva essere un altro – ha scritto Pietro Cavallo» e a questo proposito riporta una dichiarazione di Visconti pubblicata sul nº 93, marzo 1959, della rivista francese Cahiers du Cinéma in cui il regista afferma che «il finale in origine era completamente diverso da quello che si vede ora (…) si sono spesi ancora dei milioni per girare la morte di Franz».

I tagli apportati al film, su intervento della produzione ancora prima della censura, ridussero, secondo G.B. Cavallaro, la pellicola da 3.650 a 3.340 metri. Il nuovo finale, del tutto diverso, compresa la scena della fucilazione (non presente nel primo) fu girato a Roma, a Castel Sant'Angelo, nei mesi di gennaio e febbraio del 1954. La scena della fuga disperata di Livia fu girata in una via di Trastevere e l’attrice, per lo sforzo del grido, si ruppe una corda vocale. Per queste scene Visconti ricorse come operatore a Giuseppe Rotunno (che poi lavorerà con lui in molti altri film, tra cui Rocco e i suoi fratelli e Il Gattopardo). La pellicola del finale originario girata in Veneto fu bruciata e quelle immagini sono andate perse per sempre.

La censura mutila il film

Nonostante le riduzioni apportate dalla produzione, il film fu ancora ampiamente colpito dalla censura, a iniziare dal titolo. «Custoza – ha scritto Pietro Cavallo - fu considerato disfattista; censura e produzione tagliarono molte sequenze, soprattutto quelle che riguardavano il rifiuto dello Stato Maggiore Italiano a far partecipare alla lotta i volontari». In realtà gli interventi censori furono anche più di uno: dapprima intervenne il Ministero della Difesa poi seguirono i tagli del Sottosegretariato allo Spettacolo. Franco Vigni elenca minuziosamente tutte le mutilazioni subite da Senso: l’episodio sgradito ai militari fu dapprima ridoppiato con un dialogo diverso, imposto dallo stesso Ministero Difesa, ma, dopo Venezia, ne fu chiesto (e ottenuto) il taglio completo. Altri venti tagli furono apportati, con il consenso della "Lux", a numerose scene. Ma, dopo la stampa delle copie, furono chiesti venti ulteriori tagli di parti del film considerate “immorali”, soprattutto delle scene d’amore tra Livia e Franz. In questo caso la produzione, danneggiata, si oppose e si arrivò a una mediazione di “soli” quattro altri tagli.

Polemiche a Venezia

«Ma neppure questi tagli – ha scritto De Giusti - bastarono a proteggere il film dal boicottaggio del potere politico, le cui pressioni sulla giuria della Mostra di Venezia sortirono l’effetto voluto di non assegnare alcun premio al capolavoro di Visconti». La “prima” del film, molto attesa per il gran parlare che se n’era fatto, avvenne nella serata del 3 settembre 1954 e provocò immediate reazioni contrastanti nel pubblico. Tutti i corrispondenti dei principali quotidiani convennero nel giudicare i consensi superiori ai dissensi. Quando la giuria, il 7 settembre, sera della premiazione, annunciò i risultati, vi furono in sala molti fischi e polemiche di chi ritenne un’ingiustizia – o peggio un complotto – la totale mancanza di premi al film di Visconti. Non mancarono le dietrologie quando «negli ultimi giorni della Mostra l’arrivo in extremis dai laboratori inglesi della Technicolor di Giulietta e Romeo alimenta i sospetti di una macchinazione ai danni di Senso». Ancora più esplicita è la testimonianza di Piero Regnoli il quale affermò: «la D.C. mi inviava a Venezia per impedire la premiazione di Senso e per favorire quella di Giulietta e Romeo. Quando feci resistenza, mandarono di nascosto Scicluna Sorge il quale [operò] per intervenire presso gli altri membri della giuria che poi, a mia insaputa, furono in gran parte comprati. E difatti Senso non fu premiato». La decisione della giuria veneziana scatenò altresì veementi critiche da parte dei commentatori di sinistra. Ugo Casiraghi parlò di «protesta più decisa e compatta che sia mai esplosa in tutti gli anni del Festival» per «una troppo grave ingiustizia».

Il successo commerciale

A fronte delle tante difficoltà e ostilità incontrate, Senso ebbe una «rivincita al botteghino» dato che il film riscosse presso il pubblico un lusinghiero successo, incassando 628 milioni di lire. Risultò in tal modo in ottava posizione nella classifica dei film italiani prodotti nell’anno 1954. Campione di incassi per quell’anno risultò Ulisse di Mario Camerini, con un incasso di un miliardo e 800 milioni seguito da Pane, amore e gelosia di Comencini, che sfiorò il miliardo e mezzo.

Il positivo risultato di Senso è stato visto come il segnale di cambiamenti intervenuti nel cinema e nella società italiani. Vittorio Spinazzola, dopo aver constatato che nei primi anni ’50 tutti i film di ispirazione neorealista, sebbene esaltati dalla critica, si trovavano in fondo alle classifiche d’incasso, scrive che «Senso realizza un recupero pieno della dimensione spettacolare, ricorrendo alle forme del film storico in costume di ambiente risorgimentale» e che «l’ampio successo commerciale incitava a sforzi per riallacciare quel dialogo con il pubblico che da vari anni i migliori registi italiani si erano dimostrati incapaci di perseguire». E anche Di Giammatteo giudica Senso come «il frutto di una complessa operazione culturale sviluppata in un periodo di grave crisi economica del cinema italiano, in sintonia con gli sforzi di un apparato industriale che tentava, per salvarsi, la carta del connubio tra spettacolo e dignità artistica».

Premi e riconoscimenti

Dopo la vicenda veneziana, Senso ottenne alcuni indiretti riconoscimenti. La protagonista Alida Valli fu premiata dapprima con la “Grolla d'oro”, assegnatale nel corso del “Premio Saint Vincent per il Cinema Italiano” che si svolse nella cittadina valdostana nel luglio 1955 e successivamente, nel 1957, ricevette per Senso anche il Premio “Stella di Cristallo” dall’Accademia del Cinema Francese. Nel 1955 ad Aldo Graziati fu attribuito (postumo) il Nastro d'argento alla migliore fotografia. L'opera è stata inoltre selezionata tra i 100 film italiani da salvare.

La critica e i commenti

Già al centro di curiosità e commenti ancor prima di essere terminato, Senso «fu subito al centro di appassionate polemiche[66]», diventando anche strumento per contrasti politici.

Il dibattito tra i critici

Senso provocò un’accesa discussione nell’ambiente cinematografico dell’epoca. Guido Aristarco e Luigi Chiarini, due tra i più importanti critici, svilupparono sulle pagine del quindicinale Cinema Nuovo un lungo dibattito, il cui nodo del contendere fu, come in molti altri casi in quegli anni, il neorealismo. Mentre Aristarco sosteneva l’opera di Visconti come una maturazione «dal neorealismo al realismo» mettendone in evidenza il gradimento del pubblico, Chiarini la criticava per essere soltanto «uno spettacolo, seppur di altissimo livello, ma che «rappresenta un’aperta contraddizione col neorealismo», quindi disattento alla realtà.

La polemica fu col tempo ridimensionata. Lino Micciché la giudica «di puntigliosa asprezza inversamente proporzionale alla sua utilità» e Di Giammatteo la ritiene una «discussione abbastanza inconcludente nella sua astrattezza», anche se Bruno Torri, tuttavia osserva come tale contrasto illustri il clima culturale del tempo e quindi «per quanto datato, ancora oggi può essere proficuamente ricordato».

I giudizi contemporanei

Della attesissima presentazione del film a Venezia scrissero tutti i più importanti quotidiani, con giudizi positivi, anche se non entusiasti. Arturo Lanocita definì Senso «uno splendido affresco, ma le figure che lo popolano hanno reazioni spesso inesplicabili; opera d’arte riuscita solo in parte e tuttavia con un suo fragile incantesimo, con una sua forza e vocativa. Tutto è ammirevole e tutto è gelido, più pensato che sofferto». Aggiunse Mario Gromo che «Senso si impone come un quadro assai raffinato, vasto minuzioso, sapiente, che rivela il suo valore più vero proprio in quelle virtù formali che tanti affettano di disprezzare. Si è ben meritato il successo, pur non aggiungendo molto all’opera di Visconti, le cui pagine più vive si devono ancora ricercare in Ossessione e La terra trema». Con una suggestiva evocazione, fu ancora Gromo in un successivo articolo, a criticare «gli strappi, i buchi e i rattoppi» inferti dai tagli di produzione e censura, senza i quali Senso - scrisse - avrebbe potuto essere una sorta di Via col vento italiana.

I commenti successivi

«Su Senso – ha scritto Brunetta – esiste una letteratura critica enorme». E in effetti nessuna opera sul cinema – italiano e non solo – ha trascurato di parlarne. Lo stesso regista è più volte intervenuto con dichiarazioni e commenti. «È un film romantico – dichiarò - vi traspare le vera vena dell’opera italiana. I suoi personaggi fanno dichiarazioni melodrammatiche». In un’altra occasione egli accentuò più l’attenzione sul dato storico: «Quello che mi interessava era raccontare la storia di una guerra sbagliata, fatta da una sola classe e che fu un disastro».

Tutti i commentatori hanno comunque messo in evidenza la novità di Senso rispetto ai film precedenti di Visconti. «Visconti – è scritto ne Il Cinema. Grande storia illustrata - abbandona per la prima volta la gente povera, gli sfondi populistici per scegliere personaggi e ambienti in quel mondo aristocratico da cui proviene ed al quale, malgrado ogni distanziamento critico, si sente legato. Non si tratta quindi di un rifiuto nel neorealismo, ma di un modo diverso di affrontare la realtà senza perdere di vista i grandi motivi ricorrenti della tormentata evoluzione della società italiana». Anche secondo il critico Renzo Renzi, Senso «segna comunque il primo vero, “ritorno a casa” del suo autore, dopo quei tre viaggi nell’ ”altro da sé” dei film precedenti. A casa, cioè, nel proprio ceto di origine». Analoga la visione di Brunetta secondo cui «l’anima populista, a cui pure Visconti aveva dato ascolto, tace per lasciare posto alla rappresentazione di un mondo nei confronti del quale egli prova al tempo stesso un doppio sentimento di attrazione e repulsione».

Dal punto di vista storico «quello offerto da Visconti è il primo quadro cinematografico di un Risorgimento non retoricamente rievocato, non scolasticamente rappresentato, visto come rivoluzione mancata o “tradita”». Pur non essendo l’unico film storico di argomento risorgimentale prodotto in quegli anni (erano usciti nel 1953 Il brigante di Tacca del Lupo di Germi e nello stesso anno 1954 il poco fortunato La pattuglia sperduta di Piero Nelli), Senso è tuttavia, come ha scritto Spinazzola «il primo autorevole esempio di “superspettacolo d’autore", una formula che ebbe parte decisiva, in bene e in male, nella rinascita del cinema italiano nel biennio 1959-60».

fonte: Wikipedia


sabato 11 luglio 2015

porcile



« Ho ucciso mio padre, ho mangiato carne umana, ed ora tremo di gioia. »

(Unica frase pronunciata dal cannibale)

è un film del 1969 diretto da Pier Paolo Pasolini. Il film, fortemente criticato, è suddiviso in due parti che si uniscono durante l'intreccio che vogliono denunciare il potere e l'influenza negativa che hanno alcuni genitori nei confronti dei figli. Per l'incipit di ciascun episodio vengono riprese e lette delle lapidi nelle quali si parla della disobbedienza dei figli verso i genitori e delle tragiche e severe conseguenze.

Trama

Due episodi paralleli: nel primo la storia di una famiglia borghese tedesca capeggiata da un padre fascista il cui figlio viene divorato dai maiali con cui è solito accoppiarsi, nel secondo la storia di un giovane affamato che vaga in una desolata landa vulcanica (girato sull'Etna) ove diverrà cannibale e al quale si aggiungeranno altri individui, verranno in seguito tutti condannati ad essere sbranati dai cani randagi.

Episodio di Julian

Durante il 1967, in una villa della Germania a Godesberg, il rampollo Julian conduce un'esistenza piatta e priva di ideali, confinato in un mondo tutto suo, senza accorgersi che sta soffocando il sentimento d'amore della sua amica Ida. Il padre Herr Klotz cerca di convincere il figlio ad affrettarsi per le nozze con Ida, ma questi è irremovibile, perché nasconde un perverso segreto: l'amore per gli animali. Infatti in ogni momento quando ha un po' di libertà, Julian entra nella stalla e si concede ai maiali con rapporti anali.

La situazione familiare si aggrava ancora di più quando il povero Julian cade in uno stato di trance allungandosi su una poltrona, rimanendo indifferente a tutto quello che gli accade intorno. Nel frattempo alla villa giungono due uomini il quale uno dei due: Guenther presenta a Klotz il signor Herdhitze, suo vecchio compagno d'armi. Herdhitze narra la sua storia raccontando che durante la seconda guerra mondiale egli si era arricchito rubando dai campi di sterminio i denti d'oro dei cadaveri degli ebrei ed ora vorrebbe entrare in società con Klotz. L'uomo rifiuta ma poi è costretto a ripensarci a causa della rivelazione di Guenther degli scabrosi rapporti di Julian con i porci. Mentre tutto ciò sta succedendo, Julian si riprende e si decide una volta per tutte ad avere una discussione chiara e precisa con Ida, rivelandole le sue idee riguardo l'amore, pur non parlandole dei suoi rapporti. Dopodiché, mentre Ida abbandona la villa per sposarsi con un altro e mentre Klotz e Herdhitze formano una compagnia, Julian si dirige al porcile, facendosi divorare dai maiali.

L'episodio rappresenta la decadenza giocosa e tragica allo stesso tempo di una famiglia che, per la sua dura e spietata tradizione dispotica, non ascolta le idee del figlio, seppur diverse dal normale.

Episodio del cannibale

La vicenda è ambientata nel 1500 sulle pendici dell'Etna in Sicilia, ed è totalmente muto fino alla battuta finale del protagonista. Un uomo si aggira uccidendo e mangiando insetti e piccoli animali, provando piacere e dolore allo stesso tempo. Fugge da guarnigioni di soldati, temendo di poter essere visto e si avvicina solo a cadaveri. Ben presto l'uomo comincia ad non essere più soddisfatto di mangiare carne animale e vuole sperimentare la carne umana; e poco tempo dopo, vedendo la stessa guarnigione che aveva visto all'inizio del film, riesce ad attirare un soldato per poterlo uccidere. L'uomo lo agguanta e lo fa sfracellare nella bocca dell'Etna, per poi mangiarne le carni arrostite. Passati altri giorni il cannibale fa amicizia con un altro uomo e si accordano per sterminare interi villaggi divorando le persone.

Dopo varie carneficine la notizia giunge in un villaggio. La notizia è riportata da una contadina gravemente mutilata che implora il marito Maracchione di intervenire. L'uomo si mette a capo dei rivoltosi, offrendo ai due cannibali come esca una coppia totalmente nuda. I mostri abboccano subito e si scagliano contro i poverini, ma ben presto vengono circondati e catturati dagli abitanti. Maracchione ordina che vengano eretti due pali ai quali verranno legati i cannibali: questi saranno infine lentamente divorati dai cani randagi.

fonte: Wikipedia

MONOLOGO DI JULIAN

venerdì 10 luglio 2015

Tom Petty



Thomas Earl Petty, è un chitarrista, cantante e compositore statunitense.

è nato a Gainesville, in Florida, e non aveva nessuna aspirazione musicale finché Elvis Presley non visitò la sua città natale. Dopo aver fatto parte di alcune band come The Sundowners, The Epics, e Mudcrutch (di cui facevano parte i futuri membri degli Heartbreakers Mike Campbell e Benmont Tench) inizia la sua carriera discografica come Tom Petty & the Heartbreakers, quando la band irrompe nella scena musicale nel 1976 con l'album omonimo di debutto. La canzone Breakdown, pubblicata come singolo, entra nella Top 40 nel 1977.

Il secondo album You're Gonna Get It! uscito nel 1978 conferma le buone musicalità dell'album di debutto, ma i singoli tratti da questo album (Listen To Her Heart e I Need To Know non ripetono il successo di Breakdown. Petty stesso racconta che in quel periodo erano considerati troppo hard per gli amanti del mainstream e troppo soft per i punk.

Nel periodo successivo la sua casa discografica fallisce, scatenando l'apertura di una causa giudiziaria con la nuova per la proprietà dei diritti d'autore delle sue canzoni. Petty finanzierà le spese della causa con un nuovo tour chiamato appunto Lawsuite Tour. In questo stato precario nasce il suo album di maggior successo, Damn the Torpedoes, che raggiunge negli USA il triplo platino. L'album successivo, Hard Promises, ottiene un buon giudizio di critica, ma un minor successo di pubblico, risultando tuttavia un buon lavoro.

Sul suo quinto album Long After Dark (1982), il bassista Ron Blair è sostituito da Howie Epstein, che completa la line-up degli Heartbreakers. Petty in quel periodo ha problemi di stress dovuto al successo e si prende un periodo di pausa dalle scene.

Con il suo album del ritorno Southern Accents (1985) Tom Petty & The Heartbreakers ricominciano lì da dove avevano interrotto. Secondo il progetto iniziale il disco doveva essere doppio, avendo una parte più acustica dedicata alla riscoperta del sud degli Stati Uniti e una parte più sperimentale alla quale collabora Dave Stewart. Durante le registrazioni si verificano problemi e Petty a, causa della frustrazione, si frattura la mano sinistra, tirando un pugno contro il muro. Per questo incidente l'artista non potrà suonare la chitarra per circa otto mesi e questo farà tramontare del tutto l'idea dell'album doppio. Il singolo tratto dall'album è Don't Come Around Here No More prodotto da Dave Stewart, il video della canzone vede Tom vestito come il Cappellaio Matto dal libro Alice nel Paese delle Meraviglie.

Il tour è un successo, e verrà documentato sull'album Pack Up The Plantation: Live! (1986). Le capacità live della band vengono ulteriormente confermate quando Bob Dylan invita Tom Petty & the Heartbreakers a unirsi a lui durante il True Confessions Tour attraverso USA, Australia, Giappone nel (1986) ed Europa nel (1987).

Durante il 1987, il gruppo incide anche l'album Let Me Up (I've Had Enough), un album in studio che presenta sonorità assimilabili a quelle di un album dal vivo, registrato utilizzando tecniche prese in prestito da Bob Dylan. L'album include Jammin' Me, che Petty scrive con Dylan.

Prima di Full Moon Fever, Lynne e Petty lavorano insieme nella all-stars band Traveling Wilburys, nella quale sono presenti anche Bob Dylan, George Harrison e Roy Orbison. I Traveling Wilburys nascono per gioco per registrare il lato B di un singolo di George Harrison, ma Handle with Care, la canzone che ne viene fuori, è considerata troppo valida per essere relegata sul lato B di un singolo e infatti ha un tale successo che i membri decidono di registrare un intero album. Traveling Wilburys Vol. 1 esce nel 1988 ma pochi mesi dopo la morte improvvisa di Roy Orbison fa calare un'ombra sul successo dell'album, visto anche che Del Shannon, con il quale il gruppo avrebbe intenzione di sostituirlo, si suicida. Nonostante ciò un secondo album, curiosamente chiamato Traveling Wilburys Vol. 3 segue nel 1990.

Nel 1989, Petty registra Full Moon Fever, solo nominalmente un progetto solista, infatti altri membri degli Heartbreakers e altri musicisti famosi partecipano alla produzione. Mike Campbell co-produce l'album con Petty e Jeff Lynne. Il disco raggiunge la Top Ten della rivista Billboard e vi rimane per più di 34 settimane, raggiungendo il triplo disco di platino, insieme ai singoli I Won't Back Down, Free Fallin' e Runnin' Down A Dream.

Petty si riunisce con gli Heartbreakers per l'album successivo, Into the Great Wide Open nel 1991. È prodotto di nuovo da Jeff Lynne e include i singoli Learning to Fly e la title-track Into the Great Wide Open, che vede gli attori Johnny Depp, Gabrielle Anwar e Faye Dunaway nel video.

Nel 1994, Petty registra il suo secondo album solista, Wildflowers prodotto da Rick Rubin, che include i singoli You Don't Know How It Feels, You Wreck Me, It's Good to Be King, A Higher Place e Honey Bee. Petty considera questo uno dei suoi album più riusciti, parere condiviso anche dalla critica.

Due anni dopo 1996 realizza la colonna sonora del film Il senso dell'amore del regista Edward Burns. Nominato direttore artistico del progetto, non riusce però a trovare nessun altro musicista disposto a fornirgli brani validi e decide quindi di usare insieme alle canzoni nuove composte per l'occasione, anche brani non usati nel disco precedente.

Dovranno passare ancora tre anni, periodo travagliato del divorzio dalla prima moglie, prima che esca il successivo album in studio Echo, con cui Petty ottiene un buon successo soprattutto negli USA. Nonostante in questo periodo conosca Dana, quella che diventerà la sua seconda moglie, l'album ha testi molto tristi e sofferti.

Dopo che nel 2000 esce un'altra antologia in doppio CD, nel 2002 esce The Last DJ, in cui parte dei testi esprimono una critica all'industria discografica, che a suo parere schiaccia la vera arte per cercare solo l'utile economico. La critica musicale non è tenera e giudica l'album il peggiore in assoluto della sua carriera, giudizio senz'altro severo visto che il disco benché sia distante dai picchi della sua produzione, resta un disco ascoltabile con qualche pezzo discreto. L'artista stesso si stupirà di come tutte le critiche siano rivolte ai testi senza nessun accenno alla qualità delle canzoni.

Il 24 luglio 2006 è uscito Highway Companion, nuovo album solista dell'artista, realizzato nuovamente con Jeff Lynne e il fido Mike Campbell. L'album prodotto come l'album solista Wildflower del 1994 da Rick Rubin, è il primo inciso per la American Recordings, etichetta del produttore stesso, che fa parte della Warner con la quale Tom Petty incide da più di dieci anni. Si tratta di un album certamente migliore da un punto di vista musicale rispetto al precedente anche se certi capolavori sembrano oramai irripetibili.

Nella primavera del 2008 Tom Petty riunisce la sua prima band, i Mudcrutch, con cui non aveva mai inciso alcun disco e pubblica l'album Mudcrutch, che stilisticamente non si discosta troppo dalle sue recenti produzioni.

Nel giugno 2010 Petty pubblica, nuovamente con gli Heartbrakers, l'album Mojo, seguito nel luglio 2014 da Hypnotic Eye.

The Heartbreakers

Membri attuali

Mike Campbell - chitarra
Benmont Tench - pianoforte, tastiere
Ron Blair - basso
Steve Ferrone - batteria
Scott Thurston - chitarra, armonica a bocca, basso

Ex-membri

Howie Epstein - basso
Stan Lynch - batteria

Discografia

Album

1976 Tom Petty & the Heartbreakers
1978 You're Gonna Get It!
1979 Damn the Torpedoes
1981 Hard Promises
1982 Long After Dark
1985 Southern Accents
1986 Pack up the Plantation: Live!
1987 Let Me Up (I've Had Enough)
1989 Full Moon Fever
1991 Into the Great Wide Open
1993 Greatest Hits
1994 Wildflowers
1995 Playback -
1996 Songs and Music from "She's the One"
1999 Echo
2000 Anthology: Through The Years
2002 The Last DJ
2003 Live at the Olympic: The Last DJ
2006 Highway Companion
2009 The Live Anthology
2010 Mojo
2014 Hypnotic Eye

Curiosità

La canzone Running Down a Dream è stata usata come colonna sonora nei videogiochi Grand Theft Auto: San Andreas e Guitar Hero 5

La canzone Free Fallin' è stata usata come colonna sonora nel videogioco LEGO Rock Band e nel film Jerry Maguire.

Il suo personaggio animato ha partecipato alla puntata de I Simpson, Come ho passato la mia vacanza a strimpellare, mentre in un'altra puntata si sente la canzone The Waiting.

Interpreta se stesso nel futuro post-apocalittico del film L'uomo del giorno dopo, con protagonista Kevin Costner. Nel film Tom Petty è sindaco di una piccola comunità che risiede nel paese Brige City.

Nel manga Le bizzarre avventure di JoJo uno dei personaggi comprimari, l'eremita Tonpetty, deriva il suo nome direttamente da Tom Petty, nell'ottica dell'autore di assegnare ai personaggi di supporto nomi tratti dal mondo della musica. Vengono infatti presentati come suoi allievi l'eccentrico W. A. Zeppeli ed i seguaci Dire e Straits (rispettivamente da Led Zeppelin e Dire Straits).

L'arrangiamento della canzone Tu Come Il Sole di Max Pezzali, contenuta nell'album Terraferma dello stesso Max, è un tributo a Free Fallin' .

John Mayer ha suonato la cover della canzone Free Fallin' .

I Reel Big Fish hanno inciso nell'album Fame, Fortune And Fornication del 2009 la cover di Won't Back Down.

fonte: Wikipedia

LEARNING TO FLY