venerdì 12 dicembre 2014
piazza Fontana
estratto da Wikipedia:
La strage di piazza Fontana fu conseguenza di un grave attentato terroristico compiuto il 12 dicembre 1969 nel centro di Milano. Viene da molti ritenuta, convenzionalmente, l'inizio del periodo passato alla storia in Italia come strategia della tensione.
Le indagini si susseguiranno nel corso degli anni, con imputazioni a carico di vari esponenti anarchici e di destra; tuttavia alla fine tutti gli accusati saranno sempre assolti in sede giudiziaria (peraltro alcuni verranno condannati per altre stragi, e altri si gioveranno della prescrizione, evitando la pena). Nel 2005 la corte di cassazione ha affermato che la strage di piazza Fontana fu realizzata da «un gruppo eversivo costituito a Padova nell'alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura», che però non furono più processabili in quanto «irrevocabilmente assolti dalla Corte d'assise d'appello di Bari».
L'avvenimento
L'esplosione avvenne il 12 dicembre 1969 alle ore 16:37: una bomba scoppiò nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano, uccidendo diciassette persone (quattordici sul colpo) e ferendone altre ottantotto.
Una seconda bomba viene rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala. Vengono eseguiti i rilievi previsti e successivamente viene fatta brillare distruggendo in tal modo (come dichiarato dal giudice Gerardo d'Ambrosio e confermato dalla Cassazione) elementi probatori di possibile importanza per risalire all'origine dell'esplosivo e a chi abbia preparato gli ordigni. Una terza bomba esplode a Roma alle 16:55 dello stesso giorno nel passaggio sotterraneo che collega l'entrata di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro con quella di via di San Basilio, ferendo tredici persone. Altre due bombe esplodono a Roma tra le 17:20 e le 17:30, una davanti all'Altare della Patria e l'altra all'ingresso del Museo centrale del Risorgimento, in piazza Venezia, ferendo quattro persone.
Si contano dunque, in quel tragico 12 dicembre, cinque attentati terroristici, concentrati in un lasso di tempo di appena 53 minuti, che colpiscono contemporaneamente le due maggiori città d'Italia: Roma e Milano.
La vicenda è tuttora oggetto di controverse interpretazioni; secondo una, le responsabilità di questi attacchi possono essere ricondotte a gruppi eversivi di estrema destra, che miravano a un inasprimento di politiche repressive e autoritarie tramite l'instaurazione di un clima di tensione nel paese.
Eventi e persone legate alla strage
Per chiarire le circostanze nelle quali si svolse la morte di Giuseppe Pinelli venne avviata un'inchiesta.
La Questura di Milano affermò in un primo tempo che Pinelli si suicidò perché era stato dimostrato il coinvolgimento nella strage, ma questa versione fu smentita nei giorni successivi.
Il fermo di Pinelli era illegale perché egli era stato trattenuto troppo a lungo in questura: il 15 dicembre 1969 (la data della sua morte) egli avrebbe dovuto essere libero, oppure in prigione, ma non in questura, infatti il fermo di polizia poteva durare al massimo due giorni.
In un primo momento lo stesso questore Marcello Guida, l'ex fascista che durante il ventennio fu direttore delle guardie delle carceri di Ventotene (l'isola dove vennero segregati gli anarchici prima di esser trasferiti nel campo di concentramento di Renicci d’Anghiari, in provincia di Arezzo) e Santo Stefano, dichiarò alla stampa che il "suicidio" di Pinelli era la dimostrazione della sua colpevolezza, ma questa versione fu poi ritrattata quando l'alibi di Pinelli si rivelò credibile.
La versione ufficiale della caduta venne fortemente criticata dagli ambienti anarchici e da parte della stampa, per via di alcune incongruenze nella descrizione dei fatti e perché gli stessi agenti presenti diedero via via versioni contrastanti dell'accaduto.
Il provvedimento di archiviazione dell'inchiesta sulla morte di Giuseppe Pinelli fu depositato il 25 ottobre 1975. Il PM Gerardo D'Ambrosio scrisse: "L'istruttoria lascia tranquillamente ritenere che il commissario Calabresi non era nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli".
Il film Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana (2012) ricostruisce la morte di Pinelli, oltre agli altri fatti relativi alle vicende di Piazza Fontana, come accidentale, ma verosimilmente in seguito a colluttazione per motivi di nervosismo e ostilità tra Pinelli e i poliziotti di rango inferiore presenti nella stanza al momento del fatto durante una momentanea assenza del commissario Calabresi.
Il caso Calabresi
A seguito della tragica morte di Pinelli, il commissario Luigi Calabresi, incaricato delle indagini, sebbene secondo l'inchiesta non fosse presente nella stanza dove era interrogato Pinelli al momento della sua caduta dalla finestra, in circostanze non ancora chiarite, sarà oggetto di una dura campagna di stampa, petizioni e minacce da parte di gruppi di estrema sinistra e di fiancheggiatori, che ebbero il risultato di isolarlo e renderlo vulnerabile.
Oltre settecento tra intellettuali, scrittori, uomini di cinema e artisti (alcuni dissociatisi negli anni seguenti) firmarono una celebre petizione pubblicata dall'Espresso il 27 giugno 1971, che iniziava così: "Il processo che doveva far luce sulla morte di Giuseppe Pinelli si è arrestato davanti alla bara del ferroviere ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità della sua fine, Luigi Calabresi, ha trovato nella legge la possibilità di ricusare il suo giudice."
La petizione contribuì ad isolare e colpevolizzare il commissario, già bersagliato da una campagna di stampa, con minacce esplicite di morte, da parte del giornale "Lotta Continua".
Eppure il commissario Calabresi riteneva che la strage fosse frutto di "menti di destra, manovali di sinistra" con il coinvolgimento dunque in sede di ideazione della strage di movimenti ed apparati di destra.
Il 17 maggio 1972 Luigi Calabresi fu assassinato da militanti di estrema sinistra membri di Lotta Continua.
Gli autori della campagna di stampa non saranno mai condannati (Camilla Cederna arrivò a scrivere su "Lotta Continua" che un'eventuale inquisizione e condanna di Luigi Calabresi non sarebbe bastata: "noi per questi nemici del popolo esigiamo la morte").
Per l'omicidio Calabresi sono stati condannati in via definitiva Ovidio Bompressi e il pentito Leonardo Marino quali autori materiali, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri quali mandanti.
L'assassinio del commissario creò una certa indecisione sulla direzione da dare alle indagini.
"Nino il fascista"
Nell'ambito delle indagini e delle inchieste giornalistiche sulla strage spesso sono comparse alcune persone vicine a quelli che allora erano gli ambienti anarchici e dell'estremismo (di sinistra e di destra) che, seppur non implicati nell'attentato, sono stati al centro di eventi vicini a questo. Tra questi vi era Antonio Sottosanti, noto tra gli anarchici come "Nino il fascista": al tempo quarantenne, era nato nel 1928 a Verpogliano (provincia di Gorizia) da genitori filo-fascisti di origine siciliana (il padre venne ucciso durante gli anni trenta, forse da antifascisti slavi). Dopo la seconda guerra mondiale aveva lavorato in diversi paesi europei, per poi arruolarsi nella Legione straniera francese (con lo pseudonimo di Alfredo Solanti, per sua ammissione nel reparto informativo della stessa). Tornato a Milano nel 1966 effettuò diversi lavori saltuari, iniziando anche a frequentare gli ambienti anarchici della città, fino al suo trasferimento in Sicilia nell'ottobre 1969.
Sottosanti, per una supposta somiglianza con Valpreda e dopo che Guido Giannettini, Nico Azzi e Pierluigi Concutelli avevano parlato dell'uso di un militante di destra come sosia dell'anarchico, viene a volte indicato dalla pubblicistica legata alla strage proprio come il sosia in oggetto. Secondo questa tesi il sosia venne utilizzato dai servizi deviati o dai gruppi di destra per portare la valigia con la bomba sul taxi e far ricadere quindi la responsabilità della strage sugli anarchici. Sottosanti ha sempre negato il fatto e ha querelato diversi media, come il Corriere della Sera, che avevano dato per buona la tesi. Durante le indagini Sottosanti dimostrò di avere un alibi, che lo lega al caso Pinelli: il giorno dell'attentato infatti era proprio in compagnia del ferroviere anarchico, il quale gli aveva consegnato un assegno di 15.000 lire, come risarcimento spese da parte della Croce Nera Anarchica (un gruppo di solidarietà dei circoli anarchici) per essere tornato a Milano a testimoniare per confermare l'alibi di Tito Pulsinelli, accusato di aver effettuato un attentato alla caserma di pubblica sicurezza Garibaldi il 19 gennaio 1969. Pulsinelli, che era già agli arresti con altri anarchici in quanto indagati anche nell'ambito degli attentati del 25 aprile, verrà poi assolto da tutte le accuse in quanto estraneo ad entrambi i fatti.
Proprio la reticenza di Pinelli a parlare della presenza di Sottosanti e dell'assegno, dovuta al fatto che questo avrebbe potuto essere interpretato dalla procura come un pagamento per una confessione falsa, furono, secondo quanto riferito da Allegra in commissione stragi, tra i motivi che prolungarono il fermo dell'anarchico poi morto in questura. Lo stesso Allegra darà un duro giudizio sulla persona di Sottosanti:
« ALLEGRA. Il Sottosanti era quello che il pomeriggio del 12 dicembre andò a trovare Pinelli e riscosse l'assegno di 15.000 lire; Pinelli non ha mai voluto dire che era insieme con lui. Questo è il motivo per cui il fermo di quest'ultimo si protrasse: aveva dato un alibi che era stato smontato.
MANTICA. Nino Sottosanti era di destra?
ALLEGRA. Lui frequentava gli ambienti anarchici e diceva che suo padre era un martire fascista. Quindi lo chiamavano «Nino il fascista». A me sembrava una persona che «se ne fregava» della destra e della sinistra e pensava ai fatti suoi. Era stato anche nella Legione straniera...
MANTICA. Allora era di moda.
ALLEGRA. Ci andavano i delinquenti. »
Al capitano dei Ros dei carabinieri Massimo Giraudo, che negli anni novanta indagava sui collegamenti tra l'estrema destra e la strage, Sottosanti riferirà di aver visto, il giorno precedente quello della strage, un esponente del gruppo Freda intento a controllare la casa di Corradini e Vincileone, due anarchici poi inquisiti dalla polizia nelle indagini sull'atto terroristico. Lo stesso Sottosanti, intervistato da Paolo Biondani, giornalista del Il Corriere della Sera, nel giugno 2000, affermerà di essere comunque a conoscenza di alcuni retroscena degli avvenimenti, ma di non volerli rivelare:
« SOTTOSANTI: Ci sono troppe cose che non posso dire. Mettiamola così: in quei giorni, io sentii fare discorsi gravi, che ho compreso solo dopo aver letto gli atti di piazza Fontana
BIONDANI: Ricapitolando: lei non ha incastrato Valpreda, ma ha saputo comunque i retroscena della strage.
S.:Lei non ha capito: la mia verità non è un sentito dire. Di certi fatti io fui testimone oculare.
B.:E allora perché non parla? Di fronte a una strage impunita, non si sente in dovere di aiutare la giustizia?
S.:In nome di cosa? Per questa Italia di oggi? No, guardi, i miei segreti io me li porterò nella tomba. »
Antonio Sottosanti morì nel luglio 2004.
L'agente Zeta
Nel Natale del 1971 vengono rinvenuti dei carteggi in una cassetta di sicurezza della Banca Popolare di Montebelluna. Cointestatari delle cassetta di sicurezza sono la madre e la zia di Giovanni Ventura e i contenuti dei documenti, analizzati in quella occasione dal giudice Gerardo D'Ambrosio, lasciano pensare a delle veline dei servizi segreti italiani, ovvero il SID (i documenti contengono informazioni riservate che non possono essere nella disponibilità di persone al di fuori degli ambienti dei servizi segreti). Il giudice solleciterà quindi il SID, per avere informazioni direttamente da loro, ma in un primo tempo non riceverà alcuna risposta.
Tale documento reca la sigla KSD/VI M ed il numero progressivo 0281.
Giovanni Ventura confiderà in seguito al giudice D'Ambrosio di essere entrato in contatto con tale Guido Giannettini (alias Agente Zeta, alias Adriano Corso), autore delle veline che lui conservava nella cassetta di sicurezza. Il contatto avviene in occasione di un incontro a tre, del 1967, tra lui, il Giannettini e un'agente del controspionaggio rumeno.
Successivamente, la magistratura milanese ordinerà la perquisizione dell'abitazione di Guido Giannettini e in quell'occasione la polizia rinverrà documenti del tutto paragonabili a quelli rinvenuti nella cassetta di sicurezza della banca. Si tratta infatti di documenti che possono essere definiti gli archetipi dei documenti in possesso di Ventura.
Il documento rinvenuto nella casa di Giannettini reca la stessa sigla del documento di cui sopra (KSD/VI M) ed il numero progressivo immediatamente successivo 0282.
Il 15 maggio 1973 nell'ambito dei processi sulla strage vengono incriminati Guido Giannettini, che fugge a Parigi e, anche a seguito di alcune dichiarazioni di Ventura sul legame di un "giornalista di destra" con la strage, il giornalista de La Nazione Guido Paglia, appartenente ad Avanguardia nazionale (successivamente prosciolto in istruttoria dal giudice D'Ambrosio). Si scoprirà successivamente che la fuga di Giannettini era stata coperta dal SID, di cui era collaboratore, e che in Francia continuerà ad essere stipendiato per diverso tempo dai servizi.
Il SID, interpellato nuovamente e incalzato dagli eventi, il 12 luglio 1973, dichiarerà per voce del generale Vito Miceli "notizie da considerarsi segreto militare" e "non possono essere rese note".
Circa un anno dopo, il 20 giugno 1974, Giulio Andreotti (allora ministro della Difesa del governo Rumor V), indicherà in un'intervista a Il Mondo Giannettini come collaboratore del SID, sostenendo che era stato uno sbaglio non rivelare durante le indagini dei mesi precedenti l'appartenenza dello stesso ai servizi. Nel successivo agosto Giannettini si consegna all'ambasciata italiana di Buenos Aires.
Nel febbraio 1979 si conclude il processo di primo grado a Catanzaro e Giannettini viene condannato all'ergastolo. Due anni dopo, nel 20 marzo 1981, sempre a Catanzaro, si conclude il processo d'appello, che assolve Giannettini per insufficienza di prove e ne ordina la scarcerazione e la Corte di Cassazione, nel giugno 1982, confermerà la parte di sentenza d'appello che ne prevede l'assoluzione.
Affermazioni riferite ad Aldo Moro
Nel Memoriale Moro compilato dalle Brigate Rosse deducendolo dall'interrogatorio cui lo sottoposero durante il sequestro di Aldo Moro, Aldo Moro avrebbe indicato come probabili responsabili della strage, così come in generale della strategia della tensione, rami deviati del SID (il servizio segreto della Difesa), in cui si erano insediati negli anni diversi esponenti legati alla destra, con possibili influenze dall'estero, mentre gli esecutori materiali erano da ricercarsi nella pista nera.
Le indagini
Le indagini vennero orientate inizialmente nei confronti di tutti i gruppi in cui potevano esserci possibili estremisti; furono fermate per accertamenti circa 80 persone, in particolare alcuni anarchici del Circolo anarchico 22 marzo di Roma (tra i quali figura Pietro Valpreda) e del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa di Milano (tra i quali figura Giuseppe Pinelli). Secondo quanto dichiarato da Antonino Allegra, ai tempi responsabile dell'ufficio politico della questura, alla Commissione Stragi, gli arresti erano stati particolarmente numerosi ed avevano interessato anche esponenti della destra estrema, con lo scopo di evitare che nei giorni seguenti questi individui, ritenuti a rischio, potessero dare vita a manifestazioni o altre azioni pericolose per l'ordine pubblico.
Il 12 dicembre l'anarchico Giuseppe Pinelli (già fermato ed interrogato con altri anarchici nella primavera 1969 per alcuni attentati. successivamente rivelatisi di matrice neofascista), viene fermato e interrogato a lungo in questura. Il 15 dicembre, dopo tre giorni di interrogatori, Pinelli precipita dal quarto piano della questura milanese e muore. L'inchiesta giudiziaria, coordinata dal sostituto procuratore Gerardo D'Ambrosio, individuò la causa della morte in un "malore attivo", in seguito al quale l'uomo sarebbe caduto da solo, sporgendosi troppo dalla ringhiera del balcone della stanza: l'autopsia non fu mai pubblicata e fu accertato durante l'inchiesta che il commissario Calabresi non era nella stanza al momento della caduta (fatto contestato dagli ambienti anarchici in base alla testimonianza di uno dei fermati, Pasquale Valitutti).
La vicenda del taxi e del presunto riconoscimento
Il 16 dicembre viene arrestato anche un altro anarchico, Pietro Valpreda, indicato dal tassista Cornelio Rolandi come l'uomo che nel pomeriggio del 12 dicembre era sceso dal suo taxi in piazza Fontana, recando con sé una grossa valigia. Rolandi ottenne anche la taglia di cinquanta milioni di lire disposta per chi avesse fornito informazioni utili. Valpreda fu interrogato dal sostituto procuratore Vittorio Occorsio che gli contestò l'omicidio di quattordici persone e il ferimento di altre ottanta.
Il giorno dopo il Corriere della sera titolò che il "mostro" era stato catturato, e il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat indirizzò un assai discusso messaggio di congratulazioni al questore di Milano Marcello Guida avvalorando implicitamente la pista da lui seguita.
Le dichiarazioni del tassista determinano, però, uno scenario della vicenda assai poco plausibile. Il tassista dichiara che Valpreda avrebbe preso il taxi in piazza Cesare Beccaria, la quale dista 130 metri a piedi da piazza Fontana. Viene addotta per questa ragione la motivazione che Valpreda fosse claudicante. Il taxi, però non si fermerà a piazza Fontana, ma proseguirà sino alla fine di via Santa Tecla. In questo modo Valpreda dovrà percorrere 110 metri a piedi, al posto dei 130 metri originari. Il taxi gli avrà fatto risparmiare 20 metri, ponendolo però di fronte al rischio di farsi riconoscere. Inoltre Valpreda avrebbe chiesto al tassista di attenderlo e in questo modo, avrebbe dovuto ripercorrere all'inverso i 110 metri (anche se questa volta non avrebbe portato più con sé la pesante valigia).
Indagini successive vedranno prendere corpo l'ipotesi di un sosia, che prenderà il taxi al posto di Valpreda. Viene quindi avanzata dalla pubblicistica un'ipotesi, secondo la quale il sosia sarebbe stato tale Antonino Sottosanti, un ex legionario siciliano, infiltrato nel circolo anarchico di Pinelli nel quale era conosciuto - per via dei suoi trascorsi - come "Nino il fascista", ipotesi mai riscontrata.
Le dichiarazioni della stampa e dei partiti
Il quotidiano del Partito Socialista Italiano Avanti! decide di condannare Valpreda immediatamente e scriverà in quei giorni di lui:
« Non aveva alcuna ideologia, non leggeva, ce l'aveva con tutto e con tutti, odiava i partiti politici come tali ed era strettamente legato ad un movimento, quello denominato 22 marzo di ispirazione nazista e fascista (..) qualunquista, violento, detestava le istituzioni democratiche »
Lo stesso PCI era convinto che l'attentato fosse stato opera degli anarchici. Bettino Craxi ricorderà nel 1993 che il principale teste d'accusa contro Valpreda, il tassista Rolandi, era iscritto al partito Comunista e questo avvalorò la sua deposizione tra molti esponenti del Pci. Sul punto, in realtà, c'è scarsa chiarezza. In data 19 dicembre 1969, Sergio Camillo Segre ad una riunione del Pci, presente Berlinguer riferisce che Guido Calvi - allora avvocato d'ufficio di Valpreda ed iscritto allo Psiup, poi senatore PD - aveva svolto una sua indagine tra gli anarchici; Segre riporta quanto dettogli da Calvi:
« L'impressione è che Valpreda può averlo fatto benissimo. Gli amici hanno detto: dal nostro gruppo sono stati fatti attentati precedenti. Ci sono contatti internazionali. Valpreda ha fatto viaggi in Francia, Inghilterra, Germania occidentale. Altri hanno fatto viaggi in Grecia. Alle spalle cosa c'è? L'esplosivo costa 800 mila lire e c'è uno che fornisce i quattrini. I nomi vengono fatti circolare. »
Eppure agli atti processuali risulta che Guido Calvi - chiamato a svolgere funzioni di avvocato d'ufficio di Valpreda a Roma nel confronto tra Valpreda ed il tassista Rolandi - richiese se Rolandi avesse mai visto prima un'immagine dell'imputato, ed ebbe la risposta che una sua fotografia gli era stata mostrata alla questura di Milano nel corso della sua deposizione del giorno prima. La prassi prevede che nei casi di pluralità di persone possibili, attori del fatto indagato, eventuali testimoni, sfoglino le foto segnaletiche a disposizione delle forze dell'ordine; il codice di procedura penale attuale, (anno 2007), però, prevede che quando il sospetto assuma la veste di indagato - e Valpreda già lo era - egli abbia il diritto di presenziare alla maturazione delle prove a suo carico, mediante il contraddittorio (cioè un confronto con l'accusatore), mentre procedere ad influenzare il testimone con una disamina "mirata" vìola il principio del contraddittorio.
Nel caso specifico l'eccezione difensiva era tuttavia infondata, poiché foto di Valpreda erano comparse sin dai primissimi giorni su tutti i quotidiani, e dunque appariva ininfluente che Rolandi le avesse viste anche nel corso dell'interrogatorio. La circostanza dell'accoglimento della tesi dell'avvocato Calvi fu dunque interpretata come manifestazione di un atteggiamento innocentista verso Valpreda, che andava peraltro diffondendosi nella pubblica opinione grazie al battage della stampa nazionale.
La contro-inchiesta delle Brigate Rosse
Sulla strage anche le Brigate Rosse (BR) svolgeranno una loro inchiesta, che venne rinvenuta il 15 ottobre 1974 in un loro covo a Robbiano, fraz. di Mediglia, insieme ad altri materiali riguardanti gli avvenimenti politici e terroristici relativi agli anni sessanta e settanta.
Solo una minima parte del materiale sequestrato che riguardava Piazza Fontana fu messo a disposizione dei magistrati che indagavano sulla strage, indebolendo così le loro indagini. Successivamente questo materiale scomparve e venne forse parzialmente distrutto nel 1992.
L'indagine delle BR è stata ricostruita grazie alle relazioni stilate dai carabinieri, a vario materiale ritrovato e alle testimonianze di un brigatista pentito. Originariamente l'indagine comprendeva anche un'intervista a Liliano Paolucci (colui che aveva raccolto la testimonianza di Cornelio Rolandi e l'aveva convinto a parlare ai carabinieri) e delle interviste di alcuni dirigenti del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa.
Le conclusioni di questa indagine sono in parte differenti dalle ricostruzioni che si faranno nella lunga storia dei processi: secondo l'indagine, l'attentato era stato organizzato materialmente dagli anarchici. Costoro avrebbero avuto in mente un atto dimostrativo, che solo per un errore nella valutazione dell'orario di chiusura della banca si trasformò in una strage. Esplosivo, timer e inneschi sarebbero stati forniti loro da un gruppo di estrema destra. Pinelli, sempre secondo questa ricostruzione, si sarebbe realmente suicidato perché sarebbe rimasto coinvolto involontariamente nel traffico di esplosivo poi utilizzato per la strage. Le Brigate Rosse mantennero segreti i risultati della loro inchiesta, per motivi di opportunità politica.
L'inchiesta delle BR ebbe una rinnovata notorietà durante i lavori della Commissione Stragi. La maggior parte dei documenti dell'inchiesta condotta dalle Brigate Rosse su Piazza Fontana era divenuta intanto irreperibile, apparentemente persa nel 1980 nei trasferimenti tra le varie procure e tribunali e forse distrutta erroneamente nel 1992, in quanto ritenuta non significativa.
Responsabilità civile e penale
In 43 anni, non è mai stata emessa una condanna definitiva per la strage: ben sette processi si sono celebrati sino ad oggi, ma non si è ancora giunti all'identificazione certa dei colpevoli e delle responsabilità; soltanto alcuni esponenti dei servizi segreti italiani (il generale Gianadelio Maletti e il capitano Antonio Labruna) verranno condannati definitivamente per depistaggi.
Negli anni novanta l'inchiesta del giudice Guido Salvini affacciò anche un'ipotesi di connessione col fallito Golpe Borghese e raccolse le dichiarazioni di Maurizio Siciliano e Carlo Digilio, ex neofascisti di Ordine Nuovo, i quali confessarono il proprio ruolo nella preparazione dell'attentato, ribadendo le responsabilità dei neofascisti Freda e Ventura; in particolare Digilio sostenne di aver ricevuto una confidenza in cui Delfo Zorzi gli raccontava di aver piazzato personalmente la bomba nella banca. Zorzi, trasferitosi in Giappone nel 1974, divenne un imprenditore di successo. Ottenne la cittadinanza giapponese che gli garantì poi l'immunità all'estradizione.
Nel 2000 Digilio ottenne la prescrizione del reato per il prevalere delle attenuanti riconosciutegli, appunto, per il suo contributo alle indagini. Il 3 maggio 2005 la Corte di Cassazione ha assolto definitivamente gli ultimi indagati (Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, militanti della cellula veneziana-mestrina di Ordine Nuovo condannati in primo grado all'ergastolo) scrivendo però nella sentenza che con le nuove prove - emerse nelle inchieste successive al processo milanese nel 1972 e alla definitiva assoluzione nel 1987 - gli ordinovisti veneti Franco Freda e Giovanni Ventura sarebbero stati entrambi condannati. Attualmente non vi è alcun procedimento giudiziario aperto in quanto la condanna arriva tardiva, oltre al terzo grado di giudizio. Dopo decine di anni, la morte di Pinelli è ancora oggetto di discussione, sebbene la Magistratura si sia pronunciata in modo univoco, nel senso della morte accidentale dell'anarchico. Al termine il processo nel maggio 2005 ai parenti delle vittime sono state addebitate le spese processuali.
Le vittime
I nomi delle vittime dalla bomba di piazza Fontana sono:
Angelo Scaglia
Attilio Valè
Calogero Galatioto
Carlo Gaiani
Carlo Garavaglia
Carlo Perego
Carlo Silva
Eugenio Corsini
Gerolamo Papetti
Giovanni Arnoldi
Giulio China
Luigi Meloni
Mario Pasi
Oreste Sangalli
Paolo Gerli
Pietro Dendena
Vittorio Mocchi
Le manifestazioni
Negli anni numerose manifestazioni si sono svolte e si svolgeranno in ricordo della strage di piazza Fontana e di Giuseppe Pinelli. Diverse di tali iniziative sono degenerate in scontri tra polizia e manifestanti. Ancora oggi è attiva la contestazione, motivo ricorrente negli ambienti di sinistra milanesi e non solo, ma anche la riflessione, della quale si è fatto interprete anche il Capo dello Stato incontrando i familiari delle vittime il 7 dicembre 2009: in questa circostanza Giorgio Napolitano ha elogiato "la passione civile, l'impegno che mostrate per alimentare la memoria collettiva e la riflessione, due cose alle quali l'Italia e la coscienza nazionale non possono abdicare (...) quello che avete vissuto voi mi auguro diventi parte della coscienza nazionale (...) comprendo il peso che la verità negata rappresenta per ciascuno di voi, un peso che lo Stato italiano porta su di sé (...) La riflessione è necessaria perché ciò che è avvenuto nella nostra società non è del tutto chiaro e limpido e non è del tutto stato maturato. Continuate a operare per recuperare ogni elemento di verità".
Le manifestazioni che si svolgono ogni 12 dicembre per ricordare la strage e il 15 dicembre per commemorare Pinelli, sono diventate un appuntamento ricorrente per la città di Milano.
Opere artistiche correlate
Teatro:
Dario Fo nel 1970 scrisse e mise in scena una commedia dedicata all'assassinio di Giuseppe Pinelli, Morte accidentale di un anarchico. Per la rappresentazione di questo spettacolo subì più di quaranta processi in giro per l'Italia.
Molti musicisti hanno dimostrato sensibilità rispetto all'attentato e l'hanno ricordato nelle proprie canzoni:
Francesco De Gregori si riferisce alla strage ("Viva l'Italia, l'Italia del 12 dicembre" ) nella canzone Viva l'Italia inserita nell'omonimo album del 1979.
Pierangelo Bertoli allude al primo dei sette processi - tenutosi a Catanzaro - per individuare e punire i responsabili della strage ("Dalla fuga di Kappler Catanzaro sorpresa / distende una lunga mano nera" ) in Nicolò, brano contenuto nel 33 giri Album del 1981.
Giorgio Gaber fa riferimento alla strage di piazza Fontana nella canzone Qualcuno era comunista ("Qualcuno era comunista perché piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica eccetera, eccetera, eccetera" ).
Nel 1992 i Fratelli di Soledad pubblicano la canzone Brescia Bologna Ustica.
I Modena City Ramblers citano la strage e la morte di Pinelli nella canzone Quarant'anni, contenuta nell'album Riportando tutto a casa (1994): "Ho visto bombe di Stato scoppiare nelle piazze / e anarchici distratti cadere giù dalle finestre".
Il gruppo milanese Yu kung ha composto in memoria di questo evento la canzone Piazza Fontana.
Nel 1995 la ska band italiana Banda Bassotti ha reinciso il brano, intitolandolo Luna rossa, nel loro album Avanzo de cantiere. La strage viene citata a più riprese con le parole: "In piazza Fontana il traffico è animato / c'è il mercatino degli agricoltori / sull'autobus a Milano in poche ore / la testa nel bavero del cappotto alzato / Bisogna fare tutto molto in fretta / perché la banca chiude gli sportelli" e successivamente: "Dice la gente che in piazza Fontana / forse è scoppiata una caldaia / là nella piazza 16 morti / li benediva un cardinale".
I Litfiba in una versione live della canzone Il Vento, contenuta nella raccolta Lacio drom, citano l'evento: "Con il cuore in quella piazza / tiene a mente Piazza Fontana".
I 99 Posse nella canzone Odio/Rappresaglia dell'album NA 99 10 si riferiscono all'evento con le parole: "Penso al 12 dicembre '69, allo stato delle stragi, allo stato delle trame" e in Rafaniello con le parole: "...cumpagne aret' 'e sbarre dint' 'e galere imperialiste, pe' mezz' 'e gli interessi d' 'o Partito Comunista, e se sparteno 'e denar' c' 'a Democrazia Cristiana, 'o partit' ca mettett' 'e bombe a piazza Fontana" ("...compagni dietro le sbarre dentro le galere imperialiste, a causa degli interessi del Partito Comunista, e si dividono i denari con la Democrazia Cristiana, il partito che mise le bombe a piazza Fontana" ).
I rapper milanesi Club Dogo citano implicitamente la strage nella traccia Cronache di resistenza del loro primo album Mi Fist. Jake la Furia definisce i giovani milanesi, suoi coetanei, "generazione post-BR, figli della bomba", con chiaro riferimento a piazza Fontana.
Valerio Sanzotta ha partecipato al Festival di Sanremo 2008 con una canzone intitolata Novecento che cita la strage dicendo: "E non fu solo un sogno e non ci credemmo poco / mettere il mondo a ferro e fuoco, / mentre un'altra stagione già suonava la campana / il primo rintocco fu a piazza Fontana".
Poesia:
Nel 1971 esce per Garzanti la raccolta di poesie "Trasumanar e organizzar" di Pier Paolo Pasolini che comprende la poesia "Patmos", in omaggio se così si può dire alle vittime della strage, scritta di getto all'indomani del 12 dicembre, prima della morte di Pinelli.
Teatro:
Nel 2009 Daniele Biacchessi mette in scena Piazza Fontana, il giorno dell'innocenza perduta, spettacolo di teatro civile rappresentato in numerosi eventi e festival e racconta la strage di Piazza Fontana negli spettacoli La storia e la memoria e ''Il paese della vergogna'' con il gruppo Gang (gruppo musicale).
Film:
Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana, 2012, liberamente tratto dal libro Il segreto di piazza Fontana di Paolo Cucchiarelli.
Libri:
La Strage. Il Romanzo di Piazza Fontana di Vito Bruschini, 2012
BLU NOTTE - CARLO LUCARELLI
La vergogna di noi tutti, come paese, è quella di esserci dato un sistema investigativo-giudiziario che, a dispetto delle quotidiane parole tronfie, è capace di non arrivare a nessuna conclusione e nessuna giustizia.. E' talmente farraginoso che rimane tutto in dubbio. Rarissimamente si vede "giustizia fatta". Ci abbiamo messo oltre 2000 anni per arrivare a questo minestrone. Teniamocelo!
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