sabato 28 gennaio 2017
martedì 24 gennaio 2017
Cartesio e il pensiero razionalista
“Cogito ergo sum”
Siamo sicuri di esistere? Stando al buon senso, sì. Ma a rigor di logica è più complicato affermarlo. Chi ci dice che tutto quanto vediamo attorno a noi non sia un’illusione? I nostri sensi, si sa, si possono ingannare. E se invece fosse solamente un sogno?
Con la locuzione Cogito ergo sum, che significa letteralmente “Penso dunque sono”, Cartesio esprime la certezza indubitabile che l’uomo ha di se stesso in quanto soggetto pensante.
Con la locuzione Cogito ergo sum, che significa letteralmente “Penso dunque sono”, Cartesio esprime la certezza indubitabile che l’uomo ha di se stesso in quanto soggetto pensante.
Le idee immateriali di Dio
Un filosofo irlandese, George Berkeley (1685-1753), era giunto alla conclusione che la cosiddetta realtà fosse solo il modo in cui percepiamo le idee, immateriali, di Dio. Un’altra risposta fu avanzata, in un giorno imprecisato del 1637, dal filosofo francese Cartesio (René Descartes, 1596-1650, considerato il padre della filosofia e della matematica moderne). Cartesio rispose in latino cogito ergo sum: penso, dunque sono. Questa è la sola, incrollabile certezza possibile, secondo Cartesio, di fronte a un dubbio che il filosofo estende fino a ipotizzare l’esistenza di un genio maligno che continuamente ci inganna su tutto, dandoci la falsa impressione di esistere. Eppure, anche solo per essere ingannato, l’uomo deve pur esistere in qualche modo. E proprio perché dubita, e quindi pensa, cosa di cui non può dubitare, l’uomo è certo di esistere. Almeno come sostanza pensante.
Cartesio e l’esistenza del “Genio maligno”
Cartesio vi perviene mosso dalla ricerca di un metodo che dia la possibilità all’uomo di distinguere il vero dal falso, non soltanto per un fine strettamente speculativo, ma anche in vista di un’applicazione pratica nella vita. Per scoprire tale metodo, il filosofo francese adotta un procedimento di critica totale della conoscenza, il cosiddetto dubbio metodico, consistente nel mettere in dubbio ogni affermazione, ritenendola almeno inizialmente falsa, nel tentativo di scoprire dei principi ultimi o delle massime che risultino invece indubitabili e su cui basare poi tutta la conoscenza.
Cartesio sostiene che nemmeno le scienze matematiche, apparentemente certe, possono sottrarsi a tale scetticismo metodologico: non avendo una conoscenza precisa e sicura della nostra origine e del mondo che ci circonda, si può ipotizzare l’esistenza di un “Genio maligno” che continuamente ci inganni su tutto, anche su di esse. Si giunge così al dubbio iperbolico, estremizzazione limite del dubbio metodico.
A prima vista, quindi, per l’uomo non c’è alcuna certezza. Eppure, quand’anche il “genio maligno” ingannasse l’uomo su tutto, non può impedire che, per essere ingannato, l’uomo deve esistere in qualche modo. Non è certo detto che l’uomo esista come corpo materiale, perché egli non sa ancora nulla della materia. Ma l’uomo è sicuro di esistere in quanto è un soggetto che dubita, e quindi pensa. Cogitare in latino significa «pensare»: l’uomo perciò esiste perlomeno come sostanza pensante o res cogitans.
Cartesio perviene a questa certezza perché, pur provando a dubitare di tutti i suoi pensieri, si accorge che il dubitare di pensare è ancora un pensare: l’atto di supporre che io possa ingannarmi coincide infatti con l’io che verrebbe ingannato, c’è quindi una perfetta identità tra conoscente e conosciuto. Poiché il dubbio scettico dubitava che all’idea corrispondesse la realtà, cioè l’oggetto pensato, ora questo dubbio non ha più motivo di esistere, perché Cartesio ritiene di aver dimostrato una volta per tutte che quando si ha un’idea evidente questa corrisponderà necessariamente alla realtà: appunto come accade con il cogito ergo sum. È una dimostrazione, questa di Cartesio, che tuttavia sarà sottoposta a numerose contestazioni da parte dei suoi critici.
In realtà si tratta solo di un’intuizione e non di un ragionamento dimostrativo vero e proprio: infatti, come spiega Cartesio stesso, il significato dell”ergo differisce da quello assunto dal vocabolo in questione nei sillogismi; il suo non è un ragionamento che parte da premesse per arrivare a concludere qualcosa perché questo richiederebbe un preventivo accertamento della veridicità delle premesse. L’ergo qui va inteso come una sorta di esclamazione per sottolineare la scoperta appena fatta: “io penso” ed “io sono” sono oggetto di un unico atto di conoscenza e quindi costituiscono una certezza unitaria, ovvero il fatto di pensare significa immediatamente il fatto di esistere.
Cogito ero sum
Con il Cogito ergo sum Cartesio sembra rifarsi alla filosofia diSan Agostino d’Ippona e alla sua affermazione Si fallor sum (Se sbaglio esisto), ma in realtà ne capovolge radicalmente la prospettiva: per Agostino, infatti, il dubbio era espressione della verità, e significava che io ho la capacità di dubitare solo in quanto c’è una Verità che mi trascende e rende possibile il mio pensiero.
Cartesio invece, che tiene lui stesso a sottolineare la differenza col metodo agostiniano, intende affermare che è la verità a scaturire dal dubbio, non viceversa. Il fatto di dubitare, cioè, è la condizione che mi permette di dedurre l’essere o la verità. Solo così il dubbio può diventare “metodico”: arrivando a giustificarsi da sé, e non sulla base di una verità ad esso pregressa, il dubbio stesso si assume il compito di distinguere il vero dal falso.
In tal modo, però, il cogito diventava incapace di aprirsi ad una dimensione trascendente: l’identità di pensante e pensato non serve a ricondurre ad un fondamento ontologico (L’ontologia si occupa dello studio della natura dell’essere. Alcuni dei quesiti essenziali ai quali l’ontologia cerca di rispondere sono:
- Cos’è l’esistenza?
- L’esistenza è una proprietà reale degli oggetti?
- Qual è la relazione tra un oggetto e le sue proprietà?
- È possibile distinguere proprietà essenziali e proprietà accidentali di un oggetto?
- Il problema dell’essenza o della sostanza
- Cos’è un oggetto fisico?
- Cosa significa dire che un oggetto fisico esiste?
- Cosa costituisce l’identità di un oggetto?
- Quando un oggetto cessa di esistere, invece di cambiare semplicemente?
Il problema degli universali).
L’inganno che non c’è
Sarà per rimediare a queste difficoltà, e scongiurare così la caduta nel solipsismo, che Cartesio giungerà ad elaborare tre prove ontologiche dell’esistenza di Dio, il quale si renderebbe garante del metodo in virtù del fatto che Egli «non può ingannarci».
Il cogito cartesiano fu tuttavia contestato da vari suoi contemporanei. Ad esempio Giambattista Vico rimproverava a Cartesio di aver identificato tutto l’essere con la propria realtà interiore, riducendo l’ontologia ad una mera conseguenza dei suoi pensieri, e affermando se stesso come la realtà assoluta. Secondo Vico, invece, qualcosa diventa reale solo quando si fa storia, sulla base del modo specifico che ha l’uomo di esistere e di estrinsecare le Idee divine nel mondo. Vico si rifà in proposito all’antica distinzione tra essere ed esistere, in virtù della quale Cartesio non avrebbe potuto affermare «penso dunque sono», bensì «penso dunque esisto»: in altri termini, il suo cogito ha un valore relativo e non assoluto.
Estimatore di Cartesio sarà invece Hegel, il quale, salutandolo come l’iniziatore del pensiero moderno dopo secoli di filosofia presunta “misticheggiante”, dirà di lui: «Qui possiamo dire che siamo a casa e, come il navigante dopo una lunga peripezia su un mare tumultuoso, possiamo gridare “Terra!”».
Altri interpreti, ad esempio Emmanuel Lévinas, sottolineano come nel Cogito cartesiano vi sia una preminenza del soggetto sull’oggetto, che sarebbe allora incompatibile con la loro presunta identificazione: la dimostrazione cartesiana di una corrispondenza del soggetto pensante con l’oggetto pensato avviene tutta all’interno del soggetto stesso, quindi non atterrebbe alla sfera sicura dell’oggettività, ma a quella evanescente della soggettività.
Da quel primo cogito ergo sum gli uomini non hanno mai smesso di dubitare. In primo luogo della risposta data da Cartesio. Ma il maligno genio che spaventava il filosofo francese potrebbe impallidire davanti ai mostri tecnologici che oggi sfidano la nostra precaria consapevolezza di esistere. I computer sono ormai abbastanza potenti, sostengono gli esperti, da consentirci di creare mondi alternativi, civiltà virtuali e avanzate che, in un futuro non troppo lontano, potrebbero contenere esseri autonomi e coscienti come noi.
Se penso, esisto. O no?
In questo modo saremmo praticamente tornati al punto in cui ci ha lasciato Cartesio: posso essere sicuro solo della mia esistenza, in quanto dubito e penso. Tutto il resto potrebbe essere illusione-simulazione. Senonché la scienza oggi potrebbe demolire anche quest’ultimo caposaldo.
I neuroscienziati hanno infatti sempre più spesso messo in dubbio che gli uomini siano dotati di libero arbitrio, di volontà. In effetti molto spesso scegliamo senza pensare e solo a posteriori giustifichiamo con il ragionamento le nostre scelte. «Potrei anch’io essere uno zombie, senza capacità di volere e senza rendermene conto», sostiene Paul Skokowsky, filosofo dell’Università Stanford.
E’ il filosofo della scienza Giulio Giorello, che ha scritto un libro su questo tema (Lo scimmione intelligente, Rizzoli 2009), fa un esempio: «Già Erich Fromm (1900-1980, sociologo e psicanalista tedesco) faceva il caso di un ipnotizzatore che faceva addormentare un soggetto e gli suggeriva che al risveglio avrebbe cercato un manoscritto. E, non trovandolo, avrebbe ritenuto che un amico glielo avesse rubato. Così succede. Ma a quel punto compare un quarto personaggio, che, ignorando l’esperimento, si convince che il soggetto dice la verità. Abbiamo usato questo esempio», dice Giorello, «per sottolineare quanto conti la comprensione adeguata della situazione. In breve, l’osservatore della storiella non la possiede: non sa che il soggetto è stato ipnotizzato». Ma scoprire la verità è facile se si comprende la situazione. Cosa ne pensate? Siamo o non siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni?
Fonte tratta dal sito .
fonte: https://wwwblogdicristian.blogspot.it
domenica 22 gennaio 2017
sabato 14 gennaio 2017
psicosi meningite? Follia: l’Italia è il paese con meno casi
Si definisce “a bassa incidenza” un paese che ha, in un anno, meno di 2 casi di meningite meningococcica ogni centomila abitanti. Nel 2015 nel nostro paese sono stati segnalati 196 casi di malattia invasiva da meningococco con un’incidenza pari a 0,32 casi su 100.000 persone (dati “Epicentro”). «L’Italia si conferma quindi tra i paesi a più bassa incidenza di meningite meningococcica in Europa», afferma il dottor Tancredi Ascani: «Negli altri paesi europei, con incidenze ben maggiori delle nostre, non c’è nessuna emergenza meningite». Lo conferma il sito “Epicentro”. Da noi, l’incidenza della meningite è inferiore alla media europea: ogni anno vengono segnalati circa 200 casi, pari a 3 casi ogni milione di abitanti (nel resto d’Europa, invece, ogni milione di persone abbiamo ben 14 casi. «E’ da sempre stato così», afferma il medico, «con lievi oscillazioni che però non sembrano seguire le vaccinazioni anti-meningite: da notare infatti che i casi di meningite meningococcica risultano numericamente simili tra il 1998 (epoca pre-vaccinale) e il 2013. Solo dal 2009-2010 il vaccino è offerto gratuitamente a tutti i nuovi nati e solo dal 2012 è stato inserito nel Piano Nazionale Vaccinazioni».
Addirittura, «proprio dal 2012 si nota un nuovo aumento di casi da sierogruppo C che risultano superiori ai casi della fine degli anni ‘90», scrive il dottor Ascani sul blog “Luogo Comune”. Da notare che «negli anni 2003-2005 abbiamo avuto molti più casi di meningite da meningococco rispetto a quest’anno ma, non andando di moda conteggiare e mettere in prima pagina ogni caso con titoli allarmanti, nessuna psicosi di massa da meningite si è verificata». Come spiega Carlo Signorelli, presidente uscente della Società italiana di igiene, la meningite «può essere determinata da diversi agenti batterici e virali», e ha comunque «una bassa contagiosità», ovvero: «Solo una piccola parte di chi viene a contatto con l’infetto o il portatore si ammala a sua volta, e quindi l’allarmismo delle ultime settimane non è giustificato dal punto di vista sanitario». Infatti, si definisce “epidemia” (di meningite) solo un’incidenza “superiore ai 100 casi ogni 100 mila” in un anno. Noi invece siamo intorno allo 0,3%. E quindi, secondo il dottor Ascani, «chiunque vada a dire in giro che vi è una qualche epidemia di meningite in Italia sta facendo una gravissima disinformazione e procurato allarme».
In Toscana, continua il medico, negli anni 2015-2016 è stato riportato un lieve aumento di casi, portando l’incidenza a 0,83 casi su 100.000 nel 2015 e ancor meno nel 2016. «Siamo sempre quindi ad un’incidenza bassa, sempre ben al di sotto dei 2 casi per 100 mila abitanti che caratterizzano i paesi a bassa incidenza di meningite». Se in Toscana si è registrato il triplo dei casi a partire dal 2015, sostiene l’immonologa Chiara Azzari, è solo per via del tipo di test molecolare introdotto. «E questo nessuno lo specifica nei nostri media, tutti presi a far solo allarmismo e a spingere al vaccino come se fossimo in piena epidemia di meningite e come se il vaccino fosse innocuo come bere un bicchier d’acqua», afferma il dottor Ascani. Le linee guida internazionali, del resto, parlano chiaro: secondo l’American Academy of Pediatrics, «la vaccinazione di routine nei bambini in buona salute dai 2 mesi ai 10 anni non è raccomandata, in assenza di un incrementato e persistente rischio di malattia meningococcica». E la stessa Oms raccomanda la vaccinazione su larga scala solo nei paesi con tassi endemici alti, cioè almeno 10 casi su 100.000 abitanti.
Chi sono i pazienti più colpiti? «L’incidenza maggiore del virus si è registrata nella fascia di età tra i 20 e i 29 anni», dice Stefania Saccardi, assessore regionale alla sanità in Toscana, mentre «l’età media delle persone decedute è invece di 52 anni». Ma il vaccino è efficace? «I dati parlano da soli», scrive il dottor Ascani. «Nel 2016 in Toscana ci son stati 29 casi, 13 erano vaccinati, il 45% quindi. La vaccinazione può offrire una protezione individuale, può ridurre il rischio di contrarre la malattia, ma non funziona per tutti e l’efficacia pare essere di breve durata». In pratica, il vaccino «ha mostrato un’efficacia nei bambini del 97% entro un anno dalla vaccinazione, che diminuisce già al 68 % dopo 1 anno». Un recente studio rivela che solo il 25% dei bambini vaccinati in età compresa tra i 2 mesi e i 6 anni aveva anticorpi protettivi dopo 6 anni dall’inoculazione». Insomma: protezioni solo relativamente efficaci, e di breve durata, secondo svariate ricerche mediche internazionali citate dal dottor Ascani.
fonte: www.libreidee.org
martedì 10 gennaio 2017
utili idioti?
Marco Cedolin
Su queste pagine abbiamo sempre evitato di assumere una posizione manichea nei confronti di Beppe Grillo e del Movimento 5 stelle da lui diretto.Lo abbiamo difeso quando ritenevamo venisse attaccato ingiustamente, lo abbiamo criticato quando a nostro avviso ha commesso degli sbagli e più in generale abbiamo guardato a lui come ad una "novità" positiva che con il tempo avrebbe o meno confermato la propria bontà.
Proprio per questo oggi, di fronte al teatrino di dubbio gusto messo in scena da Grillo in Europa preferiamo non infierire tacciandolo come traditore, autore di chissà quale voltafaccia e via discorrendo, ma ci limitiamo a fare un paio di considerazioni....
Se esiste un grosso limite di Beppe Grillo e del suo movimento è senza dubbio quello di non avere mai avuto la capacità o la volontà di schierarsi apertamente riguardo ai grandi temi della nostra contemporaneitá. l'Europa, l'euro, la sovranità monetaria, la NATO, l'immigrazione figlia di mafia capitale, solo per citarne alcuni dei più importanti.
Anziché assumere una posizione chiara e convincente il M5S ha sempre preferito defilarsi nell'angolo, trincerarsi dietro l'utopia di un'improbabile democrazia diretta sul web, delegare le decisioni fondamentali a santoni e guru, continuando a girare intorno agli argomenti.
Una scelta che per molti versi potrebbe anche pagare in termini elettorali finché si è partito di opposizione e si tenta di raccogliere un po' tutto, gli europeisti e gli antieuropeisti, i fuoriusciti della sinistra e quelli della destra e via discorrendo. Ma una scelta che qualora s'intenda diventare partito di governo diventa suicida, dal momento che quando dalle parole si passai ai fatti non è possibile agire restando defilati. O si è contrari alla UE o la si sostiene, o si resta nell'euro o si torna alla lira, o si appoggia la NATO o la si contesta, o si protegge il popolo (venendo tacciati come populisti) o si finanziano le banche.
Tertium non datur insomma e non può essere sufficiente fare i saltimbanchi fra i gruppi parlamentari europei, tentando di passare da Farage a Mario Monti per risolvere il problema.
È necessario avere una linea chiara, possibilmente coerente con la sensibilità dei propri elettori e con quanto si è promesso loro nelle piazze. Altrimenti si rischia di partire per fare la rivoluzione ed arrivare invece sotto forma di un clone del PD, con il rischio che gli elettori europeisti e radical chic continuino a preferire l'originale.
Tutto ciò naturalmente se si aspira a diventare forza di governo, se invece l'unico scopo è quello d'impedire che il "populismo" in Italia alzi la testa, allora gli equilibrismi e le mancate prese di posizione sono la strada giusta per creare quella confusione dove tutto cambia perché nulla cambi, con buona pace di chi ci ha creduto e magari continuerà a crederci.
fonte: https://ilcorrosivo.blogspot.it
ex consigliere di Stato USA
“Ecco perché abbiamo ucciso Aldo Moro”
“Con la sua morte impedimmo a Berlinguer di arrivare al potere e di evitare così la destabilizzazione dell’Italia e dell’Europa».
Così parlò nel 2006 Steve Pieczenik – il consigliere di Stato USA, chiamato al fianco di Francesco Cossiga per risolvere la condizione di crisi – in un’intervista pubblicata in Francia dal giornalista Emmanuel Amara, nel libro “Nous avons tué Aldo Moro”.
Ancora prima, il 16 marzo del 2001, in una precedente dichiarazione rilasciata a “Italy Daily”, lo stesso Pieczenik disse che il suo compito per conto del governo di Washington era stato quello «…di stabilizzare l’Italia in modo che la Dc non cedesse. La paura degli americani era che un cedimento della Dc avrebbe portato consenso al Pci, già vicino a ottenere la maggioranza. In situazioni normali, nonostante le tante crisi di governo, l’Italia era sempre stata saldamente in mano alla Dc. Ma adesso, con Moro che dava segni di cedimento, la situazione era a rischio. Venne pertanto presa la decisione di non trattare. Politicamente non c’era altra scelta.Questo però significava che Moro sarebbe stato giustiziato. Il fatto è che lui non era indispensabile ai fini della stabilità dell’Italia».
Libri e varie…
Queste dichiarazioni di un esponente ufficiale del governo statunitense (assistente del segretario di Stato sotto Kissinger, Vance, Schultz, Baker) sono di dominio pubblico da tempo. Il 9 marzo 2008, sono state riportate anche dal quotidiano “La Stampa” (“Ho manipolato le br per far uccidere Moro”) e non sono mai state smentite né da Cossiga né Andreotti.
Ma allora, come mai la magistratura italiana, ovvero la procura della Repubblica di Roma, non ha mai convocato Steve Pieczenik? Proprio Pieczenik nei primi anni Settanta fu chiamato da Henry Kissinger a lavorare come consulente presso il ministero degli Esteri, con l’approvazione di Nixon. Quel Kissinger che aveva minacciato di morte Aldo Moro e che, ai giorni nostri, è stato ricevuto come se niente fosse da Giorgio Napolitano, quello eletto da onorevoli illegittimi, che ha piazzato ben tre governi abusivi, ossia Monti, Letta, Renzi (sentenza della Corte costituzionale numero 1 del gennaio 2014) che il popolo “sovrano” non ha votato.
L’ex vicepresidente del CSM ed ex vicesegretario della Democrazia Cristiana, Giovanni Galloni, il 5 luglio 2005, in un’intervista rilasciata alla trasmissione NEXT di Rainews24, disse che poche settimane prima del rapimento, Moro gli confidò, discutendo della difficoltà di trovare i covi delle BR, di essere a conoscenza del fatto che sia i servizi americani che quelli israeliani avevano degli infiltrati nelle BR, ma che gli italiani non erano tenuti al corrente di queste attività che sarebbero potute essere d’aiuto nell’individuare i covi dei brigatisti.Galloni sostenne anche che vi furono parecchie difficoltà a mettersi in contatto con i servizi statunitensi durante i giorni del rapimento, ma che alcune informazioni potevano tuttavia essere arrivate dagli USA: «Pecorelli scrisse che il 15 marzo 1978 sarebbe accaduto un fatto molto grave in Italia e si scoprì dopo, che Moro doveva essere rapito il giorno prima (…). L’assassinio di Pecorelli potrebbe essere stato determinato dalle cose che il giornalista era in grado di rivelare».
Lo stesso Galloni aveva già effettuato dichiarazioni simili, durante un’audizione alla Commissione Stragi il 22 luglio 1998, in cui affermò anche che durante un suo viaggio negli USA del 1976 gli era stato fatto presente che, per motivi strategici (il timore di perdere le basi militari su suolo italiano, che erano la prima linea di difesa in caso di invasione dell’Europa da parte sovietica) gli Stati Uniti erano contrari ad un governo aperto ai comunisti come quello a cui puntava Moro: «Quindi, l’entrata dei comunisti nel Governo o nella maggioranza era una questione strategica, di vita o di morte, “life or death”… come dissero, per gli Stati Uniti d’America, perché se fossero arrivati i comunisti al Governo in Italia, sicuramente loro sarebbero stati cacciati da quelle basi e questo non lo potevano permettere a nessun costo. Qui si verificavano le divisioni tra colombe e falchi. I falchi affermavano in modo minaccioso che questo non lo avrebbero mai permesso, costi quel che costi, per cui vedevo dietro questa affermazione colpi di Stato, insurrezioni e cose del genere».
La prigione di Aldo Moro, nel cuore di Roma, ovvero nel quartiere ebraico, ad un soffio da via Caetani dove il 9 maggio 1978, fu ritrovato il corpo senza vita dello statista, era ben nota al governo di allora (Cossiga e Andreotti). Il 16 marzo 1978, la strage di via Fani fu compiuta da uomini dei servizi segreti italiani. Era presente in loco il colonnello Guglielmi. Quei cosiddetti brigatisti rossi non sapevano neanche tenere in mano un’arma giocattolo, figuriamoci sparare con armi vere e assassinare due carabinieri e tre poliziotti. Mai come allora, gli apparati di cosiddetta sicurezza italian, unitamente alle forze dell’ordine, mostrarono una così grande inettitudine voluta.
I brigatisti grazie a una trattativa segreta con lo Stato tricolore sono oggi tutti liberi. Come se la spassano adesso Valerio Morucci (vari ergastoli), Mario Moretti (condannato a 6 ergastoli) e Barbara Balzerani? A proposito: le carte sulla vicenda Moro, in barba alla legge vigente, sono ancora sottoposte all’impermeabile segreto di Stato, nonostante i proclami propagandistici di Renzi.
Anche per questo siamo una colonia a stelle e strisce, un’Italietta delle banane eterodiretta dall’estero, a sovranità inesistente.
Fonte tratta dal sito .
fonte: https://wwwblogdicristian.blogspot.it
lunedì 9 gennaio 2017
volendo volare, volando volere
I TENORINI DE “IL VOLO”, CHE SI SONO ESIBITI OVUNQUE, RIFIUTANO DI ESIBIRSI PER TRUMP
MA ANDATE AFFAN-VOLO! I TENORINI DE “IL VOLO”, CHE SI SONO ESIBITI OVUNQUE, RIFIUTANO DI ESIBIRSI PER TRUMP (“SIAMO CONTRO IL POPULISMO XENOFOBO”) E SGARBI LI UCCELLA: “SONO TRE COGLIONCELLI, NON SANNO NEANCHE COSA SIGNIFICHI ‘POPULISMO’. TRUMP DOVREBBE METTERE UN LORO CD E MANDARLI A FARE IN CULO! PROPRIO LORO CHE SI SONO INCULATI TONY RENIS...” (VIDEO)
1 - VITTORIO SGARBI CONTRO “IL VOLO”
2 - IL VOLO SCHIFA TRUMP MA NON LA PIAZZA ROSSA
Carlo Piano per “la Verità”
Che possa non piacere Donald Trump, che lo si possa trovare stonato è comprensibile. Però tra qualche giorno sarà lui a capo della Casa Bianca e, come funziona da quelle parti al contrario che da noi, sarà il presidente di vincitori e vinti. Si gioca duro in campagna elettorale, ma poi basta: si va avanti insieme. Lo ha detto durante il victory speech, appena dopo il risultato: Prometto a ogni cittadino di questo paese che sarò il presidente di tutti gli americani. È una cosa davvero importante per me. Aggiungendo di voler cercare collaborazione, e non conflitto, con le altre nazioni del mondo.
Quindi rifiutare di cantare alla sua cerimonia d' insediamento non è uno schiaffo al tycoon Donald Trump, quanto piuttosto agli Stati Uniti e alla più grande democrazia del mondo. Che la ripulsa sdegnata venga da un gruppo italiano tra i più conosciuti all' estero non è simpatico né per il Paese né tantomeno per la nostra diplomazia.
Oltretutto un trio di talentuosi giovanotti come Il Volo, la politica la dovrebbe lasciare da parte. Volarci sopra, come ci volava sopra Giacomo Puccini con la Tosca e la Turandot. Per mesi negli Usa Nessun dorma interpretata dal Volo è stata prima in classifica dei brani classici su iTunes. E il loro concerto del 4 marzo alla Radio city music hall di New York è già sold out. Forse fisseranno una seconda data. L' arte non si abbassa alle beghe dei partiti, anche se si chiamano democratici e repubblicani, ma i tre tenorini sì. Quindi hanno risposto che il 20 gennaio sul palco a Washington loro non ci saranno.
Abbiamo rifiutato l' invito perché non siamo mai stati d' accordo con le sue idee, spiegano, non possiamo appoggiare un uomo che ha basato la sua ascesa politica sul populismo oltre che su atteggiamenti xenofobi e razzisti. Anzi, la cerimonia neppure la seguiranno in tv, almeno Gianluca Ginoble, che è considerato il bello del gruppo, protagonista sulle pagine di gossip per cambi di fidanzata. In un' intervista al Corriere della sera ha dichiarato: Se si gioca Roma -Inter guarderò la partita. Sul fatto che rappresenti bene l' Italia, una certa Italia nel pallone, non ci sono dubbi.
Comunque lui e i compagni Ignazio Boschetto e Piero Barone non hanno avuto le stesse remore a esibirsi a Mosca e in altre città della Russia in quattro concerti, nel 2016. Con Toto Cutugno addirittura sulla Piazza Rossa. E Vladimir Pu tin, oltre a essere grande amico di Trump e accusato dalla Cia di averne favorito e truccato l' elezione, non incarna un esempio di democrazia.
E non si può neppure dire che Il Volo disdegni il richiamo dei multimiliardari come Trump, visto che nel 2012 sono stati gli unici stranieri ad essere ingaggiati per l' illuminazione del l' albero di Natale al Rockfeller Center di New York, insieme con Mariah Carey, Rod Stewart e Stefan Green. Chiamarli era stata un' idea di David Rockfeller, padre padrone della JPMorgan chase, una delle più grandi banche al mondo.
Insomma, parliamo di una stirpe di capitalisti davanti alla quale la ricchezza di Donald Trump strappa un sorriso. Sono considerati una delle famiglie più potenti nella storia degli Stati Uniti d' America. Ma forse, in questa scelta natalizia, valevano di più i dollari.
Se poi andiamo a vedere l' ascesa dei tenorini negli Usa, si scopre che il grande artefice e impacchettatore del loro successo è stato Tony Renis. Uno che non ha mai nascosto le sue simpatie repubblicane. Oltreoceano l' hanno soprannominato mister Quando quando quando. Frequentava Gregory Peck, Charlton Heston, Kirk Douglas e soprattutto conosceva personalmente Ronald Reagan e la moglie Nancy. Insomma uno sicuramente più vicino a Trump che a Hillary Clinton. Quindi il diniego del Volo si spiega ancora meno.
Può darsi si siano un po' montati la testa, perché come artisti abbiamo una grande eco e non potevamo cantare per una persona con cui non condividiamo quasi niente. Ribadiamo, non si trattava di fare un concerto per la chiusura della campagna elettorale di Trump, come per esempio è successo con la Clinton e Bruce Springsteen sul palco dell' Independence mall a Philadelphia. I tre italiani erano stati interpellati, a risultato ampiamente acquisito, da una nazione amica che si chiama Stati Uniti per salutare l' insediamento del presidente. Che si chiami Trump, Clinton o persino Paolo Gentiloni non importa. Dovrebbe essere considerato un privilegio. Eppure.
Diciamo che il trio ha voluto seguire una scia già aperta da Andrea Bocelli, anche se non si è capito bene se fosse stato contattato o meno. Un portavoce di Trump ha detto che è stata la Casa Bianca a rifiutare un' offerta di Bocelli. Mah. Di certo hanno declinato l' invito Elton John e Gene Simmons, cantante e bassista dei Kiss. L' attore Alec Baldwin, che da mesi sta facendo un' imitazione del tycoon al Saturday night live, si è offerto scherzosamente di cantare alla cerimonia Highway to Hell - Autostrada per l' inferno- degli Ac/Dc.
Certo, per i tre ragazzi del Volo poteva essere una grande soddisfazione e, permettetemi, anche per noi italiani. Ma forse, in fondo, ha ragione Placido Domingo quando dice che sono simpatici, ma non sono cantanti d' opera: hanno solo aggiunto delle arie al loro repertorio. Ricordiamoci da dove vengono, dal talent canoro per bambini Ti lascio una canzone.
IL VOLO IN MUTANDE 013 12 16 A 08.02.16
FONTE HTTP://WWW.DAGOSPIA.COM/RUBRICA-29/CRONACHE/MA-ANDATE-AFFAN-VOLO-TENORINI-DE-VOLO-CHE-SI-SONO-ESIBITI-OVUNQUE-138839.HTM
fonte: https://alfredodecclesia.blogspot.it
FONTE HTTP://WWW.DAGOSPIA.COM/RUBRICA-29/CRONACHE/MA-ANDATE-AFFAN-VOLO-TENORINI-DE-VOLO-CHE-SI-SONO-ESIBITI-OVUNQUE-138839.HTM
fonte: https://alfredodecclesia.blogspot.it
Come scrive il critico musicale Michele Monina tre bimbiminkia prestati al bel canto direttamente da Antonella Cleri ci. Forse ha ragione lui, la Casa Bianca era davvero troppo. Magari anche per Donald Trump, ma per loro di sicuro.
mercoledì 4 gennaio 2017
Monbiot: malati di solitudine, questo sistema ci fa impazzire
Un’epidemia di malattie mentali sta distruggendo mente e corpo di milioni di persone. È arrivato il momento di chiederci dove stiamo andando e perché. Quale maggiore atto d’accusa potrebbe esserci, per un sistema, di una epidemia di malattie mentali? Eppure problemi come ansia, stress, depressione, fobia sociale, disturbi alimentari, autolesionismo e solitudine oggi si abbattono sulle persone in tutto il mondo. Le recenti, catastrofiche statistiche sulla salute mentale dei bambini in Inghilterra riflettono una crisi globale. Ci sono una moltitudine di ragioni secondarie per spiegare questo disagio, ma a me sembra che la causa di fondo sia ovunque la stessa: gli esseri umani, mammiferi estremamente sociali, i cui cervelli sono cablati per rispondere agli altri, sono stati scorticati. I cambiamenti economici e tecnologici in questo svolgono un ruolo importante, ma lo stesso vale per l’ideologia. Benché il nostro benessere sia indissolubilmente legato alla vita degli altri, ci viene spiegato da ogni parte che il segreto della prosperità è nell’egoismo competitivo e nell’individualismo estremo.
In Gran Bretagna, uomini che hanno passato tutta la loro vita in circoli privilegiati – a scuola, all’università, al bar, in Parlamento – ci insegnano che dobbiamo sempre camminare con le nostre gambe. Il sistema dell’istruzione diventa ogni anno più brutalmente competitivo. Trovare lavoro è una lotta all’ultimo sangue con una massa di altri disperati che inseguono i sempre meno posti disponibili. I moderni sorveglianti dei poveri attribuiscono a colpe individuali la loro situazione economica. Gli incessanti concorsi televisivi alimentano aspirazioni impossibili come le opportunità reali. Il vuoto sociale è riempito dal consumismo. Ma, lungi dal curare la malattia dell’isolamento, questo intensifica il confronto sociale, al punto che, dopo aver consumato tutto quello che c’era da consumare, iniziamo ad avventarci su noi stessi. I social media ci uniscono ma anche ci dividono, consentendoci di quantificare con precisione la nostra posizione sociale, e di constatare che altre persone hanno più amici e seguaci di noi.
Come Rhiannon Lucy Cosslett ha brillantemente documentato, le ragazze e le giovani donne modificano abitualmente le foto che pubblicano per sembrare più levigate e sottili. Alcuni telefoni lo fanno perfino automaticamente, basta attivare l’impostazione “bellezza”; così ci si può trasformare anche da soli in modelli di magrezza da inseguire. Benvenuti nella distopia post-hobbesiana: una guerra di tutti contro se stessi. C’è da stupirsi, in questa solitudine interiore, in cui il contatto è stato sostituito dal ritocco, se le giovani donne stanno annegando nel disturbo mentale? Una recente indagine condotta in Inghilterra suggerisce che tra i 16 e i 24 anni una donna su quattro si è autoinflitta una ferita, e uno su otto oggi soffre di disturbo da stress post-traumatico. Ansia, depressione, fobie o disturbo ossessivo-compulsivo colpiscono il 26% delle donne in questa fascia di età. Dati di questo tipo assomigliano da vicino a una crisi di salute pubblica. Se la frammentazione sociale non è presa in seria considerazione, come si prende sul serio una gamba rotta, è perché non possiamo vederla. Ma i neuroscienziati possono.
Una serie di affascinanti articoli suggerisce che il dolore sociale e il dolore fisico sono elaborati dagli stessi circuiti di neuroni. Questo potrebbe spiegare perché in molte lingue è difficile descrivere l’impatto della rottura dei legami sociali senza ricorrere alle parole che usiamo per indicare dolore fisico e lesioni. Negli esseri umani come negli altri mammiferi sociali il contatto sociale riduce il dolore fisico. Questo è il motivo per cui abbracciamo i nostri figli quando si fanno male: l’affetto è un potente analgesico. Gli oppioidi alleviano sia l’agonia fisica sia l’angoscia della separazione. Forse questo spiega il legame tra isolamento sociale e tossicodipendenza. Alcuni esperimenti riassunti sulla rivista “Physiology & Behaviour” il mese scorso suggeriscono che, data la possibilità di scegliere tra dolore fisico o isolamento, i mammiferi sociali scelgono il primo. Alcune scimmie cappuccino prive di cibo e tenute in isolamento per 22 ore, prima di mangiare si sono riunite alle loro compagne. I bambini che sono trascurati dal punto di vista emotivo, secondo alcuni studi, subiscono peggiori conseguenze per la salute mentale rispetto ai bambini che soffrono sia trascuratezza emotiva sia violenza fisica: per quanto orribile, la violenza comporta essere notati e toccati.
L’autolesionismo è spesso usato come tentativo di alleviare la sofferenza: un’altra indicazione che il dolore fisico è meno terribile del dolore emotivo. Come il sistema carcerario sa fin troppo bene, una delle forme più efficaci di tortura è proprio l’isolamento. Non è difficile capire quali potrebbero essere le ragioni evolutive per la presenza del dolore sociale. La sopravvivenza tra i mammiferi sociali è notevolmente più alta quando sono fortemente legati al resto del branco. Sono gli animali isolati ed emarginati che hanno più probabilità di essere attaccati dai predatori, o morire di fame. Così come il dolore fisico ci protegge dai danni fisici, il dolore emotivo ci protegge dai danni sociali. Ci spinge a ricostruire connessioni. Ma per molte persone è diventato quasi impossibile.
Non è sorprendente che l’isolamento sociale sia fortemente associato alla depressione, al suicidio, all’ansia, all’insonnia, alla paura e alla sensazione di essere minacciati. È più sorprendente scoprire la gamma di malattie fisiche che provoca o aggrava. Demenza, ipertensione, malattie cardiache, ictus, abbassamento della resistenza ai virus, perfino gli incidenti sono più comuni tra le persone sole. La solitudine ha un impatto sulla salute fisica paragonabile al fumare 15 sigarette al giorno: sembra aumentare il rischio di morte prematura del 26%. Questo in parte è perché la solitudine aumenta la produzione dell’ormone dello stress, il cortisolo, che deprime il sistema immunitario. Studi condotti su animali e sull’uomo suggeriscono che mangiare sia motivo di conforto: l’isolamento riduce il controllo dell’impulso, portando all’obesità. Visto che le persone situate nella parte più bassa della scala socioeconomica sono anche quelle più a rischio di soffrire di solitudine, questa potrebbe essere una delle spiegazioni per il forte legame tra basso livello economico e obesità?
Chiunque può rendersi conto che qualcosa di molto più importante della maggior parte dei problemi di cui ci si preoccupa è andato storto. Ma allora, perché siamo così impegnati in questa frenesia che distrugge il mondo e si autoannienta, devastando l’ambiente e riducendo in pezzi le società, se tutto ciò che produce è un dolore insopportabile? Questo problema non dovrebbe essere considerato il più scottante nella vita pubblica? Ci sono enti di beneficenza meravigliosi che fanno quello che possono per lottare contro questa marea, con alcuni dei quali ho intenzione di lavorare come parte del mio progetto contro la solitudine. Ma per ogni persona aiutata, molte altre vengono spazzate via. Non basta una risposta politica per tutto questo. Ci vuole qualcosa di molto più grande: ripensare un’intera visione del mondo. Di tutte le fantasie degli esseri umani, l’idea che ce la si possa fare da soli è la più assurda e forse la più pericolosa. O restiamo uniti o andiamo in pezzi.
(George Monbiot, “Il nuovo ordine liberale crea solitudine, ecco cosa sta facendo a pezzi la nostra società”, dal “Guardian” del 12 ottobre 2016, articolo tradotto da “Voci dall’Estero”).
fonte: www.libreidee.org