domenica 30 novembre 2014

l'Olocausto dimenticato degli italiani in Crimea

L'Olocausto degli italiani in Crimea
Deportati, fucilati, condannati all’oblio della Storia. Sono gli italiani di Crimea. Terra che la cronaca di questi giorni rende ancora crocevia di guerra. Eppure, lì, in quella regione così remota, una volta si parlava italiano. C’erano attività commerciali, ludiche e comunitarie condotte in maggior parte da pugliesi. E prima di loro, secoli dietro, da veneziani e genovesi. Una popolazione che, negli anni Venti del Novecento, arrivò a essere anche il 2 per cento in alcune città. Percentuali piccole, si potrà dire, ma che vanno contestualizzate al momento storico, alla mobilità di quegli anni, ai collegamenti e alla qualità della vita di quello scorcio a cavallo di due secoli, tra l’Ottocento e il Novecento.
“Spie” o “fascisti”. Queste le accuse per gli italiani che dopo la Rivoluzione d’ottobre e la Marcia su Roma vennero perseguitati con motivazione politica, ma su base etnica. Vicende che da lì a poco si vedranno in Istria e Dalmazia. Espropriazione di beni, obbligo di parlare russo. E poi deportazione in Kazakistan e nella steppa siberiana. Gli italiani che subirono maggiormente le persecuzioni furono quelli di Kerch, o se si vuole, dell’antica Panticapeo, sullo stretto tra il mar Nero e il mare di Azov. Dove la chiesa cattolica venne costruita da italiani nel 1840.
Le persecuzioni presero il via negli anni Trenta. Alcuni riuscirono a ritrovarsi a Trieste. Poi arrivarono i rastrellamenti durante la seconda guerra mondiale, precisamente il 29 gennaio e l’8 febbraio 1942, quindi dopo che i sovietici liberarono il territorio dalle truppe naziste. Un’altra ondata arrivò nel giugno del 1944. Pochissimi sopravvissero alla deportazione in Siberia. E tra loro c’era anche chi aveva creduto nel comunismo. Ma l’accusa era di essere italiani. I bambini moriranno nel viaggio sui treni verso la steppa, per stenti e fame. I loro cadaveri, insieme a quelli di chi era troppo debole per sopravvivere a un viaggio di due mesi in tali condizioni, vennerro abbandonati nelle stazioni in cui transitavano i convogli.
“Durante le purghe e repressioni del periodo 1933-37 molti italiani, accusati di essere spie italiane, furono arrestati, torturati e poi alcuni fucilati, altri mandati nei lager dove morirono quasi tutti”. A scriverlo sono Giulia Giacchetti Boico e Giulio Vignoli, autori di “L’olocausto sconosciuto: lo sterminio degli Italiani di Crimea”, un libro che racconta in maniera particolareggiata i fatti, le storie, le crudeltà di quegli eccidi e che rende almeno giustizia alla memoria.
In oltre mille pagarono la loro italianità e oggi, secondo alcuni dati, sono circa 300, a Kerch, i discendenti di chi scelse di venire qui prima di essere ucciso. Nonostante le persecuzioni, c’è chi addirittura volle tornare, negli anni Cinquanta, in pieno regime, dopo aver ricevuto la “grazia” di Kruscev. Eppure, come si legge nel libro, gli italiani che vi arrivano a metà anni Venti erano lì “in quanto perseguitati dal fascismo” e “troveranno quasi tutti orribile fine per mano dei loro stessi compagni sovietici, con l’accusa di tradimento, di deviazionismo”. Ora, i discendenti vogliono vedersi riconoscere le proprie origini. E lo fanno anche tramite Cerkio, l’Associazione italiana a Kerch.
DANIELE SCOPIGNO
fonte: www.lettera35.it

spariti per sempre 19 marinai italiani e un gallese a bordo di nave Hedia

Algeri (2 settembre 1962), ambasciata di Francia: prigionieri italiani - foto Jim Howard (United Press International)


di Gianni Lannes

A chi può interessare la sparizione di 20 vite spezzate per sempre nel Mar Mediterraneo? Lo Stato italiano non li ha mai cercati, anzi li ha lasciati assassinare e poi ha puntato sull'oblio. E nessun magistrato si è mai sognato di andare a fondo, ma non è mai troppo tardi. Il signor Romeo Cesca ha perso il figlio Claudio, il ventiquattrenne marconista di bordo. Ha sporto denuncia ai carabinieri di Trieste, ma quel comando dell’Arma invece di trasmettere alla Procura della Repubblica lo scottante atto, l’ha invece scaricato alla prefettura locale. Risultato: il nulla di fatto. Nessuna indagine giudiziaria e nessuna inchiesta giornalistica. I giornali non hanno fatto altro che pubblicare distrattamente le veline ufficiali, quando i parenti hanno osato avanzare qualche timida domanda. Poi, chi comanda ha mandato in onda i soliti depistaggi fino ai giorni nostri.

Il piroscafo salpa da Venezia e carica a Ravenna. Si dirige in Spagna ed attracca in due porti. Il 10 marzo carica a Casablanca e riparte - ufficialmente - per Venezia. Il 14 marzo il comandante Agostinelli di Fano invia all’armatore Patella che si spaccia per l’agente marittimo, un cablogramma che indica in linea di massima la rotta. Ma si perdono le tracce. Il 2 settembre il fotografo di guerra Jim Howard ritrae ad Algeri, esattamente nel cortile dell’ambasciata francese, un gruppo di “europei” in stato di fermo. Il 12 settembre l’Ansa diffonde la foto dell’agenzia United Press International: l’immagine che ritrae un gruppo di marinai italiani. L'indomani un quotidiano di Venezia pubblica la foto accompagnata da un'eloquente didascalia. E poco dopo, alcuni familiari riconoscono i loro cari. In una riunione a Roma, all’allora presidente del consiglio Amintore Fanfani, sfugge la seguente frase: “Non si può fare una guerra per salvare 20 venti persone”. E così servizi segreti e giornalisti assoldati rilanciano i consueti depistaggi, bevuti da tutti all’epoca e perfino oggi.

La nave Hedia (ex Milly, ex Generous) è di proprietà di Nello Patella, quindi italiana, ma è coperta dalla solita società panamense (Naviera General S.A.) e dalla bandiera fantasma liberiana: un registro navale di comodo gestito a New York da una società con sede in Virginia. La Liberia era al primo posto nella black list mondiale. Il ministero della marina mercantile è perfettamente al corrente, ma lascia correre e finge di far partire le ricerche, inventando un naufragio inesistente. Per la cronaca il governo Fanfani che decise senza consultare il Parlamento e tantomeno il "popolo sovrano", la nuclearizzazione bellica da parte di Washington dell'Italia che perdura - durò in carica dal 21febbraio 1962 al 16 maggio 1963. Nell'esecutivo primeggiavano Taviani (interni), Segni (esteri) Andreotti (difesa).
Dopo 52 anni c’è ancora chi non si rassegna, come Rosa Guirreri, che all’anagrafe vanta ben 98 primavere e spera che un giorno o l’altro suo figlio Filippo Graffeo torni a casa. Accursio Graffeo, il nipote, è l’anima combattiva di questa ricerca della verità: «Abbiamo il diritto costituzionale di sapere che fine hanno fatto 19 italiani». Al conto che non torna aggiungo anche il gallese di Cardiff, Anton Narusberg. Di recente mi ha contattato il signor Graffeo, chiedendomi di occuparmi della vicenda. Ho assunto il caso. Temevo che fosse più complicato e tortuoso. Invece. Questi cittadini italiani sono stati assassinati per ritorsione dopo essere stati imprigionati senza un processo o un'accusa pubblica, da uno Stato alleato (la Francia). Il governo Fanfani sapeva tutto per filo e per segno, ma non ha mosso un dito per salvare queste vite umane. Era assicurata solo la nave ma non l'equipaggio a perdere. Patella intascò i soldi dalla Vittoria Assicurazioni di Milano e non fu mai molestato dall'autorità.



Si è trattato di una strage deliberata, consumata a sangue freddo. Correva l’anno 1962, ma è oggi. Chi è STATO? Le stragi non vanno in prescrizione. A bordo erano imbarcati pure due minorenni di Molfetta: Giuseppe Uva aveva solo 16 anni; e Nicola Caputi aveva appena compiuto 18 anni. Tutti hanno lasciato figli e mogli, madri e padri, fratelli, sorelle, nonne e nonni, fidanzate e amici. Questi uomini e ragazzi strappati all’affetto dei propri cari non sono mai più tornati. In quale fossa comune sono stati occultati questi marinai, nostri connazionali? Parigi risponda, ne va del suo onore, prima di smarrire anche i brandelli della sua trapassata grandeur.

Dopo più di mezzo secolo i responsabili istituzionali chiedano pubblicamente almeno perdono alle famiglie. Ha compreso il messaggio monsieur Hollande? E lei Renzi che fa?


fonte: sulatestagiannilannes.blogspot.it

venerdì 28 novembre 2014

Luciano Vincenzoni



da Wikipedia:

 è stato uno sceneggiatore italiano, uno dei più stimati scrittori di film, famoso in Italia come lo "Script doctor". Ha scritto prolificamente per circa 65 film fra il 1954 e il 2000.

Dopo gli studi di legge a Roma e Padova, ha iniziato a scrivere per il cinema dopo essere arrivato a Roma con l'aiuto di due suoi amici imprenditori di Treviso, Mario e Toni Roma. Ha esordito con il film Hanno rubato un tram del 1954, interpretato da Aldo Fabrizi, e successivamente Il ferroviere, di Pietro Germi, da un soggetto di Alfredo Giannetti. Dopo una lite con Germi che interrompe la loro collaborazione, Vincenzoni riesce a vendere a Dino De Laurentiis in una sola volta diversi soggetti, dopo essergli piombato in ufficio senza appuntamento. Tre dei soggetti verranno realizzati immediatamente, diventando i film Il gobbo, I due nemici, e La grande guerra. Inoltre De Laurentiis scrittura nella stessa mattina Vincenzoni, prendendolo in esclusiva per 4 anni come sceneggiatore.

Tra i molti soggetti scritti in quegli anni, uno verrà rappresentato a teatro, Sacco e Vanzetti. Vincenzoni lo adatterà con l'aiuto di Mino Roli. Tra gli interpreti Gian Maria Volontè. Doveva diventare anche un film ma i rapporti con De Laurentiis si interrompono e non si realizzerà il progetto. (Mino Roli collaborerà in seguito ad un film su Sacco e Vanzetti, prodotto da Papi e Colombo per la regia di Giuliano Montaldo, e che ebbe tra gli interpreti lo stesso Volontè). Terminata la collaborazione con De Laurentiis, Vincenzoni ritrova il maestro Germi, che ha chiuso da poco i rapporti con Giannetti. Tornano a lavorare insieme e creano la società RPA e producono il film Sedotta e abbandonata, con l'aiuto di Franco Cristaldi, e subito dopo con Robert Haggiag e la United Artists, il film Signore & signori.

Di nuovo una lite mette fine ai rapporti con Germi, e Vincenzoni esce dalla RPA e prosegue la sua carriera con Sergio Leone che lo cerca per scrivere il film Per qualche dollaro in più. Insieme faranno anche Il buono, il brutto, il cattivo e Giù la testa: questi film daranno a entrambi fama internazionale e ricchezza. Vincenzoni scriverà pochissimi altri film western. Ilya Lopert, capo della UA in Europa chiede in quel periodo a Vincenzoni di dirigere un film western sull'onda del successo degli "Spaghetti western". Vincenzoni declina l'offerta, ma comunque supervisiona la realizzazione del film Da uomo a uomo diretto da Giulio Petroni e prodotto da Sansone e Chroscick. I rapporti con Petroni non saranno idilliaci. Lopert con il film voleva lanciare l'attore John Phillip Law.

Il film negli USA ebbe un grande successo. Law però non arrivò mai al tipo di successo sperato dai dirigenti UA. Gli stretti rapporti con i dirigenti degli studios, come Lopert o i fratelli Picker, permisero a Vincenzoni di vendere Per qualche dollaro in più alla United Artists. Durante la fase di contrattazione si trovava di fronte a Sergio Leone quando i rappresentanti della United Artists chiesero se era già stato scritto il seguito. Vincenzoni ripensando a La grande guerra, che era stata comprata per gli USA dagli stessi con cui contrattava, disse di avere già un soggetto per un film ambientato nella guerra di secessione, che aveva per protagonisti due straccioni, tipo Gassman - Sordi.

Ancora oggi presso il Pubblico registro della SIAE si può visionare la denuncia inizio lavorazione di questo film, che ha come primo titolo Due magnifici straccioni, poi cambiato ne Il buono, il brutto, il cattivo. Lopert decise di acquistare Per qualche dollaro in più dopo che Vincenzoni lo convinse a vedere Per un pugno di dollari in un cinema di Roma. Quel giorno il pubblico scalpitava per entrare, la sala era gremita. Lopert, che andò poco convinto, non ebbe più dubbi. Vincenzoni sviluppava interamente i soggetti che scriveva già dai suoi primi lavori, come La grande guerra, straordinario film tragicomico che racconta della vita di trincea durante la prima guerra mondiale. A titolo di mera curiosità il titolo del famosissimo Il buono, il brutto, il cattivo è stata una sua idea, idea venutagli in sogno.

Il successo al botteghino portò tutte le persone che lavoravano con Leone, compreso Vincenzoni, a diventare rapidamente milionari. Vincenzoni ha avuto un ruolo importante nella carriera di Leone, sia come scrittore che come mediatore, aiutandolo nei rapporti con i dirigenti della UA. Leone voleva anche affidargli la regia del film Giù la testa, che non voleva fare. Vincenzoni declinò l'offerta. Leone poi propose il film a Peter Bogdanovich, che incontrò il regista italiano, ma litigarono su tutto. Leone cacciò Bogdanovich, Vincenzoni ne prese le difese, e da allora divennero grandi amici. Vincenzoni riferì che, dopo il successo dei film della "trilogia del dollaro", Leone non poteva tollerare di vedere Vincenzoni condividere con lui i ricavi.

Ci fu, per questo, dell'acredine fra i due amici per qualche anno. Fu molto amico degli scrittori Goffredo Parise e Ennio Flaiano. Riguardo a Flaiano, Vincenzoni ha sempre ricordato pubblicamente che questi era uno dei pochi che lo aiutò nei periodi di difficoltà in cui cercava lavoro. Vincenzoni visse diciassette anni a Hollywood quando lavorava con Dino De Laurentiis. I suoi vicini di casa erano Candice Bergen e Peter Sellers, e divenne amico dell'attore William Holden e del regista Billy Wilder, oltre che del già citato Bogdanovich. Tentò di realizzare con Peter Bogdanovich un film dal titolo Cow Girl, ma il progettò si arenò.

I protagonisti dovevano essere Marcello Mastroianni e Cybill Shepherd. Scrisse il film Raw Deal, uscito in Italia con il titolo Codice Magnum, che ha come protagonista Arnold Schwarzenegger, il soggetto originale di Vincenzoni e Donati però, si discostava molto dalla versione finale modificata dallo sceneggiatore G. de Vore. Vincenzoni fu intervistato nell'edizione speciale del DVD della "trilogia del dollaro": durante questa intervista ha rivelato che osservava ciascun film nel dietro le quinte. Ha vinto due Nastri d'Argento come Miglior Sceneggiatura per Sedotta e abbandonata e Signore e signori. Nel 1996 ha ricevuto il Premio Flaiano alla carriera. È stato membro emerito del WGA (Writer's Guild of America). È scomparso il 22 settembre 2013 a Roma, all'età di 87 anni,

Curiosità

Fu intervistato nella trasmissione 60 minutes.

Nel 2008 è stato realizzato il documentario Il falso bugiardo, per la regia di Claudio Costa, ispirato all'autobiografia dello scrittore, Pane e Cinema. Nel documentario, oltre allo stesso Vincenzoni, intervengono Dino De Laurentiis, Ennio Morricone, Furio Scarpelli, Tullio Kezich, Enrico Vaime, Gianni Bulgari, Vittorio Sgarbi, Felice Laudadio, Nicola Badalucco, Giorgio Capitani, Carlo Lizzani ed altri.

Nel 2007 gli è stata conferita la Pietra Miliare del Premio Genius Loci per la sceneggiatura del film Signore & signori.

Nel 2010 ha ricevuto il premio alla carriera Domenico Meccoli.

Dall'edizione del 2014 al Bari International Film Festival il premio alla sceneggiatura è intitolato a Luciano Vincenzoni.

Filmografia parziale

Incantesimo tragico (1951) (come produttore)
Hanno rubato un tram (1954)
I girovaghi (1956)
Il ferroviere, regia di Pietro Germi (1956)
Il cocco di mamma (1957)
Amore e guai (1958)
Gli italiani sono matti (1958)
La prima notte (1959)
La grande guerra, regia di Mario Monicelli (1959)
Il gobbo, regia di Carlo Lizzani (1960)
È arrivata la parigina (1960)
Crimen (1961)
La rivolta dei mercenari (1961)
Mani in alto (1961)
Orazi e Curiazi (1961)
La cuccagna, regia di Luciano Salce (1962)
I due nemici (1962)
I briganti italiani (1962)
Copacabana Palace (1962)
Sedotta e abbandonata (1964)
La vita agra (1964)
Signore & signori (1965)
Per qualche dollaro in più, regia di Sergio Leone(1965)
Il buono, il brutto, il cattivo (1966)
Da uomo a uomo (1967)
L'avventuriero (1967)
Il mercenario (1968)
Un tranquillo posto di campagna (1969)
Devil's Crude (1971)
Noi donne siamo fatte così, regia di Dino Risi (1971)
Roma bene (1971)
Giù la testa (1971)
Torino nera (1972)
Ming, ragazzi! (1973)
Libera, amore mio... (1973)
Le guerriere dal seno nudo (1973)
L'emigrante (1973)
Dio, sei proprio un padreterno! (1973)
Gli eroi (1973)
Piedone lo sbirro (1973)
La poliziotta (1974)
L'accusa è: violenza carnale e omicidio (Verdict), regia di André Cayatte (1974)
Uomini duri (1974)
Il bestione (1974])
Il padrone e l'operaio (1975)
Baby Sitter - Un maledetto pasticcio (1975)
Cipolla Colt (1975)
L'Italia s'è rotta (1976)
Bruciati da cocente passione (1976)
Gran bollito (1977)
Orca (1977)
Tony, l'altra faccia della Torino violenta (1980)
Il paramedico (1982)
Bonnie e Clyde all'italiana (1982)
I paladini - Storia d'armi e d'amori, regia di Giacomo Battiato (1983)
Il conte Tacchia (1983)
A tu per tu (1984)
Inferno in diretta (1985)
Casablanca, Casablanca (1985)
Miami supercops - I poliziotti dell'ottava strada (1985)
Codice Magnum (1986)
Blowing Hot and Cold (1989)
Rosso veneziano (film) (1989)
Un milione di miliardi (1990) (mini-serie TV)
Beyond Justice (1992)
Sette criminali e un bassotto (1992)
L'uomo dal sigaro in bocca (1997) (interpreta se stesso)
Ritornare a volare (1998) (TV)
Malèna (2000)
Il falso bugiardo (2008) (interpreta se stesso)

INTERVISTA DI VIRGINIA ZULLO

mercoledì 26 novembre 2014

il cimitero di Copenhagen


Cimitero Assistens (Assistens Kirkegard) Norrebrogade/Kapelvej, Copenhagen, Danimarca (Nørrebro)

difficile da credere?
eppure questo cimitero, a Copenaghen, è una delle visite in città che mi è piaciuta di più, domenica mattina, in bici,  in giro per i quartieri residenziali.
un luogo indimenticabile.
la concezione del cimitero di questi paesi è lontana anni luce dalla nostra. ammetto la mia passione sviscerata per il Monumentale di Milano che è, appunto, monumentale ed enfatico, fortemente suggestivo ed artistico, ma questi luoghi sono magici, riposanti, distensivi, comunicano pace, un buon rapporto con la vita, con la morte.
Assistens Kirkegard è un parco, prati erbosi, viali, angoli gotici, mamme con bambini, biciclette, silenzio, rispetto, scoiattoli e corvi. il cimitero è un luogo da vivere.
l'autunno e la sua luce hanno fatto il resto, un ricordo unico e irripetibile.









fonte: nuovateoria.blogspot.it

il globalismo che porta povertà, falso liberalismo e democrazia, lotte sociali, caos e schiavitù


In Italia continua il dibattito anacronistico tra destra e sinistra quando il vero dibattito è tra globalismo e autarchia.

Oggigiorno nel pianeta vi sono sostanzialmente due tendenze economiche-sociali. La prima è potentissima, quasi invincibile: è il globalismo(o globalizzazione), mentre la seconda è debole, e spesso utilizzata da politici populisti: è l’autarchia.

Il piano dei globalisti è iniziato 101 anni fa con la creazione della Federal Reserve Bank, la banca centrale degli Stati Uniti d’America. E’ poi continuato finanziando ideologie opposte e contrarie che hanno portato alla seconda guerra mondiale. 


Nel 1954, poi, c’è stata la prima riunione del Bilderberg, alla quale parteciparono David Rockefeller (il nipote dell’uomo più ricco di tutti i tempi), e N.D. Jay (agente della J.P. Morgan). In quella riunione si decise il futuro assetto dell’Europa, il cui organismo embrionale, la CECA, fu finanziato e appoggiato dalla fondazione Rockefeller e dalla CIA, attraverso l’ACUE (American Commitee on United Europe).

Con la caduta del Muro di Berlino, e il conseguente dissolvimento dell’Urss, gli Stati Uniti d'America si trovarono nuovamente in una posizione di assoluto dominio del pianeta. L’era del globalismo e del capitalismo estremo era cominciata. Questo modello di sviluppo, ha portato alla concentrazione della ricchezza mondiale in pochissime mani, e ha prodotto, specialmente in Occidente, molti nuovi poveri. 

Le grandi multinazionali occidentali hanno bisogno di mercati aperti per poter espandersi, dove vi si possa commerciare liberamente, sanza dazi e, inoltre, hanno bisogno di mano d’opera a basso costo. Ecco il motivo che i grandi gruppi economici hanno favorito il crearsi dello spazio comune europeo, idea nobile, ma che a tutt’oggi non è stata interpretata come avrebbe dovuto essere. 

Pertanto in Europa il dibattito tra “destra” e “sinistra” è ormai completamente fuori dal tempo. In Europa è in atto una completa “americanizzazione” del lavoro, rendendolo più consono alle esigenze dei capitalisti estremi o addirittura degli speculatori.

Forse farei meglio a scrivere che in Europa è in atto la “colombianizzazione” del lavoro. La Colombia, infatti, è un paese dove non esistono i sindacati e dove i capitalisti estremi hanno campo libero, in quanto non esiste certezza del posto di lavoro e il salario minimo si aggira sui 300 dollari al mese.

E’ questo il progetto finale del globalismo, che in alcuni casi, come per esempio in Brasile, si maschera da “socialismo di mercato” con forti sussidi alle classi meno abbienti e agli indigeni, rendendo di fatto il popolo dipendente dal governo e quindi facilmente influenzabile e corrompibile.
Ma c’è un altro punto importantissimo che i globalisti sostengono, quasi fosse la “nuova Bibbia”: è il multiculturalismo. Ormai da circa cinquant’anni, in Occidente vi sono ondate migratorie da altri paesi. E’ indubbio che l’intergazione culturale sia a volte una cosa positiva, (un popolo conoscendo la filosofia, gli usi e costumi di un altro popolo si arricchisce culturalmente), ma è altrettanto indubbio che i globalisti abbiano bisogno di manodopera a basso prezzo per poter continuare a lucrare sul lavoro degli esseri umani.

Facciamo un esempio concreto del progetto globalista: da quando la globalizzazione ha iniziato a dilagare nel mondo, nel 1991 con il dissolvimento dell’Urss, ma in particolare nel 2001 con l’entrata della Repubblica Popolare Cinese nel WTO e nel 2002 con l’instaurazione dell’euro, un imprenditore europeo ha interesse a delocalizzare, cioè a portare la sua fabbrica in paesi dove il lavoro costa meno. Dalla Francia o dall’Italia porterà la sua fabbrica in Romania o in Turchia, dove potrà pagare i lavoratori sino ad un quarto di quello che li pagava nell’Europa Occidentale.

Lentamente quindi nell’Europa Occidentale l’occupazione diminuirà sempre più e i diritti sociali saranno tagliati, avvicinando l’Europa al Sud America. I salari o le ore di lavoro saranno abbassati. I lavoratori europei protesteranno, ma gli immigrati, specie se di origine africana o medio-orientale accetteranno, perchè non avranno scelta. Ad un certo punto anche i lavoratori europei accetteranno questa situazione. La classe lavoratrice sarà appiattita, liquefatta.

Se questo piano si avverrà nella sua totalità, i globalizzatori avranno vinto, avranno il governo mondiale, controllato dalle banche e dalle multinazionali, e una massa di umanità soggiogata e ammutolita, proprio come nel famoso libro “1984” di George Orwell. 

Ma c’è un altro punto che potrebbe causare seri problemi in Occidente. L’immigrazione selvaggia, voluta dai globalisti, con gli esempi del flusso di “latinos” dal Messico agli USA e con il flusso di africani e arabi in Europa attraverso l’Italia, porta ad una situazione paradossale, dove i clandestini hanno più diritti dei cittadini europei e vengono coccolati non solo dalle imprese, ma anche dalle mafie.

Se questa situazione aumenterà in un futuro non lontano ci potrebbero essere scontri sociali in Occidente, soprattutto con gruppi di radicalisti islamici, che invece di adattarsi alla cultura occidentale pretenderebbero di importare la sharia in Europa (vedi i casi successi in alcuni quartieri di Londra).

Tutto ciò come ho indicato all’inizio dell’articolo, favorisce i politici che propongono un ritorno all’autarchia: chiusura delle frontiere, uscita dall’euro, uscita dall’Unione Europea e dalla Nato, incentivi alle produzioni locali e dazi alle importazioni. Queste proposte difficilmente riusciranno ad essere messe in pratica, proprio perchè la maggioranza della popolazione è ammorbata dalla pubblicità dei media, in mano ai poteri forti.

A mio avviso però non sarebbe nemmeno questa la via giusta da seguire, perchè la Storia ha mostrato che chi si chiude in se stesso è destinato a fallire. Secondo me bisognerebbe procedere semplicemente con il buon senso: per quanto riguarda l’economia, bisognerebbe tassare pesantemente le speculazioni e i capitalisti estremi dovrebbero pagare in proporzione maggiore dei piccoli imprenditori. Bisognerebbe inoltre limitare gli stipendi d’oro, ridistribuire ricchezza ai pensionati minimi, e incentivare le produzioni locali, senza però alzare dazi alle importazioni.

Dal punto di vista dell’immigrazione e quindi del multiculturalismo, a mio parere i flussi migratori dovrebbero essere contenuti e ordinati, in modo da non creare scontri sociali e da non stravolgere la cultura originaria dei popoli occidentali.

di Yuri Leveratto

Fonte & Fonte

Vedi anche:

fonte: freeondarevolution.blogspot.it

lunedì 24 novembre 2014

la crisi del sapere umanistico: non leggiamo più il mondo

La crisi del sapere umanistico è ormai conclamata: negli Usa 54 membri dell’“American Academy of Arts and Sciences” hanno denunciano il rischio della rapida scomparsa delle materie umanistiche dalle università americane; in Inghilterra la storia è stata esclusa da quasi tutti i corsi di studio; la geografia è quasi scomparsa dai corsi di insegnamento di metà Europa e resiste qua e là solo come geografia economica; gli studenti disertano i corsi di lettere, filosofia, storia, persino scienze politiche e giurisprudenza anche in Francia, Italia, Spagna. Resisticchiano le facoltà di lingue e letterature straniere o simili. Trionfa solo economia. Questo collasso è uno dei fenomeni culturali più inquietanti del tempo presente, contro il quale non servono a nulla le solite geremiadi. Esso è determinato da due cause principali fra loro connesse: le caratteristiche proprie del neoliberismo e il rifiuto degli umanisti di reinventarsi le loro discipline e ridefinire la loro figura sociale.
Il neoliberismo ha prodotto una vistosa regressione culturale: la visione pan-economicista e la riduzione della stessa economia al solo filone walrasiano e derivati sono stati il brodo di coltura del maggior arretramento intellettuale mai registrato in epoca Max Webermoderna. A questo si sono sommati, a ricaduta: la delegittimazione di ogni pensiero che non fosse quello liberista-liberale, che ha inaridito ogni confronto di idee; la pretesa di imporre comunque e dovunque la lingua inglese, funzionale solo alla dittatura culturale della produzione culturale made in Usa; una versione assai pedestre dell’utilitarismo, per cui qualsiasi attività è valutata in funzione del guadagno immediato. Da questo discendono i tagli alle spese culturali e per l’istruzione, di cui oggi gli intellettuali umanisti si risentono, ma dopo anni di acquiescenza. L’ondata neoliberista si è accompagnata ai cori festanti degli economisti massicciamente convertitisi a questo verbo, ma non ha trovato resistenze neppure fra i giuristi, gli storici, i sociologi, i politologi, che non hanno manifestato che rare e occasionali obiezioni, spesso improprie o più arretrate del fenomeno che avrebbero voluto criticare.
E già questa scarsa attitudine a confrontarsi con l’ondata neoliberista è assai eloquente sulla capacità degli umanisti di confrontarsi con il tempo presente. La produzione storica, sociologica, politologica, giuridica, filosofica dell’ultimo quarto di secolo è, nella maggior  parte dei casi, paccottiglia di nessun valore intellettuale. E’ tutto molto ripetitivo, stantio, privo di originalità e le opere di valore, per ciascuna disciplina, si contano sulle dita di un paio di mani. Diciamocelo sinceramente: se si trattasse di questo attuale assetto delle scienze umane, la loro scomparsa non sarebbe un gran danno. Il punto è che le discipline umanistiche non si sono adeguatamente confrontate con le vastissime conseguenze culturali della globalizzazione. Non che manchino studi sul fenomeno in sé (ad esempio quelli, peraltro non sempre soddisfacenti, di Zygmunt Bauman, Zygmunt BaumanManuel Castells, Ulrich Beck, Alain Touraine), ma si tratta di punte individuali, che non si innestano su un solido reticolo di opere minori indispensabili a determinare una svolta complessiva di questa area di studi.
E infatti si tratta in larga parte di opere che non si sottraggono ad un’ottica eurocentrica e non sfuggono ad un taglio specialistico disciplinare, che precludono molti sviluppi alla ricerca. La globalizzazione implica sia la mondializzazione dei rapporti, sia una stretta interdipendenza fra le sfere politica, economico-finanziaria, sociale, culturale, militare, e se il primo aspetto richiede imperiosamente un punto di vista più “centrale” e meno sbilanciato verso occidente, il secondo impone una capacità di analisi transdisciplinare, che allo stato si intravede solo in pochissime opere. Occorre un cambio di passo complessivo nei metodi; ripensare, soprattutto, la storica frattura fra scienze umane e scienze logiche, matematiche e naturali: i fisici, i biologi, i neurologi lo hanno capito e fanno sempre più frequenti incursioni nel mondo delle scienze umane, mentre gli umanisti (con l’eccezione di quei filosofi e psicologi che partecipano a progetti di scienze cognitive) tardano a comprenderlo e si tengono ancora troppo al di qua della linea di demarcazione che li separa dall’“altra metà del cielo”.
Quanti storici, sociologi e politologi immaginano di poter lavorare usando un modello di simulazione? E quanti di loro sono in grado di misurarsi con il campo delle scienze cognitive? Nelle nostre università si respira un’aria viziata perché da troppo tempo non si aprono le finestre. Certo che occorre continuare a studiare la letteratura greca e la Guerra dei Sette Anni, Leopardi e Weber, la secessione austriaca e la Riforma protestante, ma occorrerà ripensarli comparativamente agli sviluppi delle altre civiltà che, naturalmente, bisognerà studiare. Da due secoli e mezzo l’Europa (e tutto l’Occidente) ha costruito la sua identità intorno all’idea di modernità: l’Occidente è moderno per definizione e la modernità è occidentale allo stesso modo. E la globalizzazione è stata pensata come “modernizzazione del mondo” cioè come progetto di omologare tutto il mondo al Leopardimodello occidentale. Ma le cose non stanno andando così: quello che le nostre scienze sociali pensavano fosse un modello universale si è rivelato solo il racconto di “come è andata in Europa”.
La modernità è stata pensata come l’intreccio organico di sviluppo economico e urbanizzazione, di specificazione individuale e secolarizzazione, di affermazione dello Stato di diritto e disincanto del mondo, di nazione e acculturazione di massa, un insieme in cui ogni aspetto presuppone e rafforza l’altro. E abbiamo pensato che tutto questo avesse regole precise, che permettessero di replicarlo in ogni contesto, salvo trascurabili varianti locali. Ebbene, non sta andando affatto così: lo sviluppo economico non trascina dietro di sé quei processi di democratizzazione e secolarizzazione di cui si diceva, e ogni contesto sta avendo un suo sviluppo particolare. Questo obbliga a ripensare anche molte delle nostre convinzioni sulla nostra storia e sul modo con cui l’abbiamo interpretata ma, più ancora, ci obbliga ad un’opera di mediazione e di traduzione culturale: sia noi che i cinesi, gli indiani o gli egiziani abbiamo il concetto di nazione, ma siamo sicuri di dire tutti la stessa cosa? E lo stesso potremmo dire per concetti come classe, popolo, potere, secolarizzazione. E questo lavoro di riesame non riguarda solo storici, politologi e sociologi, ma anche giuristi, filosofi, letterati.
Questo è il piano su cui le scienze umanistiche devono impegnarsi trasformandosi, ed è quello che ci dà la misura esatta del ritardo accumulato in questi anni, in gran parte dovuto allo statuto sociale dei nostri intellettuali umanisti, che da troppo tempo non hanno stimoli verso l’innovazione. Dopo gli anni ottanta, cessate le passioni politiche, che costituivano l’unico vero stimolo alla ricerca, gli umanisti si sono seduti sulla rendita di posizione di intellettuali burocratici retribuiti dallo Stato. Tutto oggi si riduce alla stucchevole rivendicazione del ruolo del “sapere inutile che ci renderà liberi”. Questa emerita sciocchezza, in realtà, vorrebbe dire che ci sono altre utilità oltre quelle economiche, il che è giusto, ma questo non implica che non debba Francis Fukuyamaesserci un calcolo dei costi e dei benefici dell’investimento e, se anche è accettabile l’idea che non sempre i benefici di un investimento culturale siano misurabili in termini monetari, non ce la si può cavare con i luoghi comuni sul “sapere critico” e simili.
Un po’ di rapporto con il mercato non guasterebbe, per dare una scossa ai nostri intellettuali sedentarizzati. Non sto pensando all’università privata, che è un disastro anche peggiore che ha prodotto autori terribili come Francis Fukuyama, Niall Ferguson o Samuel Huntington. Sto pensando ad imprese autogestite degli intellettuali umanisti che si misurino con il mercato. Servirebbero anche cose minime, come ad esempio retribuire i docenti in base al numero di studenti che hanno, lasciando ovviamente gli studenti liberi di scegliere. Vediamo quante aule restano disperatamente vuote? Concludendo: certo che occorre difendere le materie umanistiche, ma questo sarà possibile solo cambiandole profondamente e mutando altrettanto radicalmente lo stato sociale dei suoi operatori, da “intellettuali” in “lavoratori della cultura”. La cultura non serve per i salotti.
(Aldo Giannuli, “La crisi del sapere umanistico”, dal blog di Giannuli del 9 ottobre 2014).

fonte: www.libreidee.org

venerdì 14 novembre 2014

la camera degli sposi

da Wikipedia:

La Camera degli Sposi, chiamata nelle cronache antiche Camera picta ("camera dipinta"), è una stanza collocata nel torrione nord-est del Castello di San Giorgio di Mantova. È celebre per il ciclo di affreschi che ricopre le sue pareti, capolavoro di Andrea Mantegna, realizzato tra il 1465 e il 1474. Mantegna studiò una decorazione ad affresco che investisse tutte le pareti e le volte del soffitto, adeguandosi ai limiti architettonici dell'ambiente, ma al tempo stesso sfondando illusionisticamente le pareti con la pittura, come se lo spazio fosse dilatato ben oltre i limiti fisici della stanza. Il tema generale è una celebrazione politico-dinastica dell'intera famiglia Gonzaga, con l'occasione dell'elezione a cardinale di Francesco Gonzaga.

Storia

La decorazione della stanza venne commissionata da Ludovico Gonzaga a Mantegna, pittore di corte dal 1460. La sala aveva originariamente una duplice funzione: quella di sala delle udienze (dove il marchese trattava affari pubblici) e quella di camera da letto di rappresentanza, dove Ludovico si riuniva coi familiari.

L'occasione della commissione è tutt'altro che chiarita dagli studiosi, registrando varie discordanze. L'interpretazione tradizionale lega gli affreschi all'elezione al soglio cardinalizio del figlio del marchese Ludovico, Francesco Gonzaga, avvenuta il 1º gennaio 1462: la scena della Corte rappresenterebbe quindi il marchese che ne riceve la notizia e quella dell'Incontro mostrerebbe padre e figlio che si trovano nel felice evento. La figura matura e corpulenta di Francesco tuttavia non è coerente con la sua età nel 1461, di circa 17 anni, testimoniata invece da un suo presunto ritratto conservato oggi a Napoli. Si è pensato quindi che gli affreschi celebrino la venuta di Sua Eminenza a Mantova nell'agosto 1472, quando si apprestò a ricevere il titolo di Sant'Andrea.

La sequenza cronologica delle pitture è stata chiarita dal restauro del 1984-1987: il pittore iniziò dalla volta con limitate campiture a secco, che riguardano soprattutto parti dell'"oculo" e della ghirlanda che lo circonda; si passò poi alla parete della Corte, dove venne usata una misteriosa tempera grassa, stesa a secco procedendo per "pontate"; seguirono le pareti est e sud, coperte dai tendaggi dipinti, dove venne usata la tecnica tradizionale dell'affresco; infine fu dipinta la parete ovest dell'Incontro, pure trattata ad affresco e condotta a "giornate" molto piccole, che testimoniano una lentezza operativa che confermerebbe la durata quasi decennale dell'impresa, indipendentemente da altri compiti che il maestro dovette assolvere.

Dopo la morte di Ludovico, la stanza e il suo ciclo subirono una serie di traversie, che spesso ne degradarono, oltre che la conservazione fisica, anche il ruolo nella storia dell'arte. Pochi anni dopo la morte del marchese la camera risulta adibita a deposito di oggetti preziosi: forse per questa ragione a Vasari non fu permesso di visitarla, escludendola dal resoconto delle Vite. Durante l'occupazione imperiale del 1630 subì numerosi danni, per poi essere praticamente abbandonata alle intemperie fino al 1875 circa. Non è chiaro da quando la stanza iniziò ad essere chiamata "Camera degli Sposi". In ogni caso il riferimento era dovuto alla presenza in posizione predominante di Ludovico raffigurato accanto alla moglie, non tanto perché si trattasse di una camera nuziale. In effetti il Gonzaga ha utilizzato la camera per redigere e custodire i suoi documenti commerciali e per ricevere, quasi uno studio di rappresentanza. Vi è presente in effetti un armadio per custodire i documenti ma anche il gancio che determinava la posizione del letto.

La tecnica usata, che prevedeva in alcuni episodi parti a secco più o meno ampie, non facilitava la conservazione e si hanno notizie vaghe di restauri prima del XIX secolo. Quelli successivi, fino a quello del 1941, furono numerosi ed inadeguati. Finalmente nel 1987 si procedette a un restauro capillare con tecniche moderne, che ha recuperato tutto quanto sopravvissuto, restituendo l'opera agli studi e alla fruizione pubblica.

Il terremoto dell'Emilia del 2012 ha riaperto una vecchia microfenditura che corre verticale e poi obliqua nella scena della Corte ed ha staccato una porzione di intonaco dipinto. Sono in corso interventi tecnici (2014) per mettere in sicurezza da eventuali sismi la Camera Picta.

Descrizione e stile

Giulio Carlo Argan evidenzia come la pittura mantegnesca qui, come in altre opere, si caratterizzi per la sua evocazione di immagini dell'antichità classica. Mantegna è il primo grande "classicista" della pittura. La sua arte può essere definita un "classicismo archeologico".

Impaginazione generale

Nella stanza pressoché cubica (8,05 m circa di lato, con due finestre, due porte e un camino), Mantegna studiò una decorazione che investiva tutte le pareti e le volte del soffitto, adeguandosi ai limiti architettonici dell'ambiente, ma al tempo stesso sfondando illusionisticamente le pareti con la pittura, come se ci si trovasse al centro di un loggiato o di un padiglione aperto verso l'esterno.

Motivo di raccordo tra le scene sulle pareti è il finto zoccolo marmoreo che gira tutt'intorno nella fascia inferiore, sul quale poggiano i pilastri che suddividono le scene in tre aperture. La volta è affrescata suggerendo una forma sferoidale e presenta centralmente un oculo, da cui si sporgono personaggi e animali stagliati sul cielo azzurro. Attorno all'oculo alcuni costoloni dipinti dividono lo spazio in losanghe e pennacchi. I costoloni vanno a terminare in finti capitelli, a loro volta poggianti sui reali peducci delle volte, gli unici elementi a rilievo di tutta la decorazione, assieme alle cornici delle porte e al camino. Ciascun peduccio (esclusi solo quelli in angolo) appoggia in corrispondenza di uno dei pilastri dipinti.

Il registro superiore delle pareti è occupato da dodici lunette, decorate da festoni e imprese dei Gonzaga. Alla base delle lunette, tra peduccio e peduccio, corrono figuratamente le aste che fanno da cursore ai tendaggi, che sono raffigurati come scostati per permettere la visione delle scene principali. Questi drappi, che realmente coprivano i muri delle stanze del castello, simulano il broccato o il cuoio impresso a oro e foderato d'azzurro, e sono abbassati sulle pareti sud ed est, mentre sono aperti sulla parete nord (la Corte) e ovest (l'Incontro).

Il tema generale è la celebrazione politico-dinastica dell'intera famiglia Gonzaga, anche se decenni di studi non sono riusciti a chiarire univocamente un'interpretazione accettata da tutti gli studiosi. Probabilmente l'ideazione del complesso programma iconografico richiese varie consulenze, tra cui sicuramente quella del marchese stesso. Numerosissimi sono i ritratti, estremamente curati nella fisionomia e, talvolta, nella psicologia. Sebbene un'identificazione certa di ognuno di essi è impossibile a causa della mancanza di testimonianze, taluni sono tra le opere più intense di Mantegna in questo genere.

La volta

La volta è composta da un soffitto ribassato, che è illusionisticamente diviso in vele e pennacchi dipinti. Alcuni finti costoloni dividono lo spazio in figure regolari, con sfondo dorato e pitture a monocromo che simulano sculture e clipei in stucco. L'abile articolarsi degli elementi architettonici dipinti simulano una volta profonda, quasi sferica, che in realtà è una leggera curva di tipo "unghiato".

Al centro si trova il famoso oculo, il brano più stupefacente dell'intero ciclo, dove sono portati alle estreme conseguenze gli esperimenti illusionistici della Cappella Ovetari di Padova. Si tratta di un tondo aperto illusionisticamente verso il cielo, che doveva ricordare il celebre oculo del Pantheon, il monumento antico per eccellenza celebrato dagli umanisti. Nell'oculo, scorciati secondo la prospettiva da "sott'in su", si vede una balaustra dalla quale si sporgono una dama di corte, accompagnata dalla serva di colore, un gruppo di domestiche, una dozzina di putti, un pavone (riferimento agli animali esotici presenti a corte, piuttosto che simbolo cristologico) e un vaso, sullo sfondo di un cielo azzurro. Per rafforzare l'impressione dell'oculo aperto, Mantegna dipinse alcuni putti pericolosamente in bilico aggrappati al lato interno della cornice, con vertiginosi scorci dei corpicini paffuti: uno è anche raffigurato mentre fa pipì. La varietà delle pose è estremamente ricca, improntata ad una totale libertà di movimento dei corpi nello spazio: alcuni putti arrivano a infilare il capo negli anelli della balaustra, oppure sono visibili solo da una manina che spunta.

Se non è chiara l'eventuale identificazione delle fanciulle con personaggi reali gravitanti attorno alla corte gonzaghesca (un volto muliebre è acconciato come la marchesa Barbara), esse sono colte in atteggiamenti diversi (una addirittura ha in mano un pettine) e le loro espressioni giocose sembrano suggerire la preparazione di uno scherzo, un episodio tratto dalla quotidianità nel solco della lezione di Donatello. Il pesante vaso di agrumi è infatti appoggiato a un bastone e le ragazze attorno, con volti sorridenti e complici, sembrano in procinto di farlo cadere nella stanza.

Nella nuvola vicino al vaso si trova nascosto un profilo umano, probabile autoritratto dell'artista abilmente mascherato.

L'oculo è racchiuso da una ghirlanda circolare, a sua volta racchiusa in un quadrato di finti costoloni, che sono dipinti con un motivo intrecciato che ricorda le palmette dei bassorilievi all'antica. Nei punti di incontro tra si trovano medaglioni dorati. Attorno al quadrato sono disposte otto losanghe con sfondo dorato, ciascuna contenente una ghirlanda circolare che racchiude un ritratto di uno dei primi otto imperatori romani, dipinto a grisaglia, sorretto da un putto e circondato da nastri svolazzanti. Tale rappresentazione suggella la concezione fortemente antiquaria dell'intero ambiente. I cesari sono ritratti in senso antiorario con il nome entro il medaglione (dove conservato) e le loro pose sono variate per evitare uno schematismo. Sono:

Morte di Orfeo
Ottaviano Augusto
Tiberio
Caligola
Claudio
Nerone
Galba
Otone

Attorno alle losanghe, nel registro più esterno, sono collocati (in senso orario) dodici pennacchi corrispondenti a ciascuna lunetta sulle pareti. Essi sono decorati con finti bassorilievi di ispirazione mitologica, che celebrano simbolicamente le virtù del marchese quale condottiero e uomo di stato, quali il coraggio (mito di Orfeo), l'intelligenza (mito di Arione di Metimna), la forza (mito delle dodici fatiche di Ercole). Sono:

Orfeo incanta le forze della natura
Orfeo incanta Cerbero e una Furia
Morte di Orfeo (Orfeo straziato dalle Baccanti)
Arione che incanta il delfino
Arione portato in salvo dal delfino
Periandro che condanna i cattivi marinai
Ercole scocca una freccia verso il centauro Nesso
Nesso e Deianira
Ercole che lotta con il leone Nemeo
Ercole che uccide l'Idra
Ercole e Anteo
Ercole che uccide Cerbero

I costoloni vanno a terminare in finti capitelli con decorazioni vegetali, sui quali sono impostate le basi dei putti reggi-medaglione. Questi capitelli poggiano sui peducci reali.

Parete della Corte

La scena della corte ha un'impaginazione particolarmente originale, per adattarsi alla forma della stanza. La presenza del camino infatti, che invade a metà la parte inferiore destinata agli affreschi narrativi, rendeva molto difficile ambientare la scena senza interruzioni, ma Mantegna risolse il problema usando l'espediente di collocare la scena su una piattaforma rialzata a cui si accede da alcuni gradini che scendono nel lato destro. Da questa piattaforma, il cui pavimento coincide con il ripiano sopra il camino, pendono preziosi tappeti che arricchiscono la sontuosità della scena.

Il primo settore è occupato da una finestra che dà sul Mincio: qui Mantegna si limitò a disegnare una tenda chiusa. Nel secondo la tenda è dischiusa e mostra la corte dei Gonzaga riunita, sullo sfondo di un'alta transenna decorata da medaglioni marmorei, oltre la quale un alberello sfonda nella lunetta. Il terzo settore ha la tenda chiusa, ma una serie di personaggi vi passa davanti, camminando anche davanti al pilastro, secondo un espediente che confonde il confine tra mondo reale e mondo dipinto, usato già da Donatello.

Il settore centrale mostra il marchese Ludovico Gonzaga seduto su un trono a sinistra in veste "de nocte", in risalto particolare grazie alla posizione leggermente defilata. Egli è ritratto mentre tiene in mano una lettera e parla con un servitore dal naso adunco, probabilmente il suo segretario Marsilio Andreasi o Raimondo Lupi di Soragna. La posa del marchese è l'unica che rompe la staticità del gruppo, attirando inevitabilmente l'attenzione dello spettatore. Sotto il trono sta accucciato il cane preferito del marchese, Rubino, simbolo di fedeltà. Dietro di lui sta poi in piedi il terzogenito Gianfrancesco, che tiene le mani sulle spalle di un bambino, forse il protonotario Ludovichino. L'uomo col cappello nero è Vittorino da Feltre, precettore del marchese e dei suoi figli. Al centro troneggia seduta la moglie del marchese, Barbara di Brandeburgo, in posizione quasi frontale e con un'espressione di dignitosa sottomissione, con una bambina alle ginocchia che sembra porgerle una mela in un gesto di fanciullesca ingenuità, forse l'ultimogenita Paola. Dietro la madre sta in piedi Rodolfo, affiancato a destra da una donna, forse Barbarina Gonzaga. Gli altri personaggi sono incerti. Il primo profilo in secondo piano da sinistra è stato interpretato come un possibile ritratto di Leon Battista Alberti, mentre la donna dietro Barbarina è forse una nutrice di casa Gonzaga o, come sostengono alcuni studiosi, Paola Malatesta, madre di Ludovico III, in abito monastico; in basso sta la famosa nana di corte, che guarda direttamente lo spettatore; in piedi parzialmente coperto dal pilastro sta un famiglio (cortigiano).

Il settore successivo mostra sette cortigiani che si avvicinano alla famiglia marchionale, in parte sulla piattaforma, in parte salendo le scale attraverso un'anticamera. Gli ultimi "entrano" nella scena discostando la tenda, dietro la quale si intravede un cortile assolato con muratori all'opera.

Nello sguancio della finestra si trova un finto paramento marmoreo, solcato da venature tra le quali è celata la data 16 giugno 1465, dipinta come un finto graffito e di solito interpretata come data di inizio dei lavori.

Non è chiaro l'esatto episodio a cui si riferisce l'affresco di questa parete. Fondamentale sarebbe stata la lettura delle scritte sulla lettera tenuta dal marchese, secondo alcuni la stessa tenuta in mano dal cardinale nella parete ovest, che l'ultimo restauro ha confermato come definitivamente perdute. Alcuni hanno interpretato la missiva come l'urgente convocazione di Ludovico quale comandante della truppe milanesi, da parte della duchessa di Milano Bianca Maria Visconti, a causa dell'aggravarsi delle condizioni del marito Francesco Sforza: spedita da Milano il 30 dicembre 1461 era giunta a Mantova il 1º gennaio 1462, proprio la data destinata ai festeggiamenti del neocardinale. Partito ligiamente per Milano rinunciando ai festeggiamenti, Ludovico avrebbe così incontrato a Bozzolo il figlio Francesco, che percorreva la strada in senso opposto (scena dell'Incontro), tornando da Milano dove si era recato per ringraziare lo Sforza per il ruolo che aveva giocato nelle trattative per la sua nomina a cardinale. Il pomello del faldistorio nel trono farebbe in modo di coprire proprio l'indirizzo della lettera, dettaglio che è stato interpretato come una sorta di damnatio memoriae decretata dai Gonzaga verso gli Sforza, colpevoli di aver impedito al loro erede di sposare prima una (Susanna) e poi l'altra figlia (Dorotea) delle figlie di Ludovico. Ma molti hanno sollevato il dubbio che una vendetta così ermetica potesse essere rappresentata in un'opera tanto rilevante ed alcuni dubitano anche se l'episodio della lettera e della partenza del marchese per Milano fosse così significativo da dover essere immortalato.

Di recente, uno studio di Giovanni Pasetti e Gianna Pinotti ha creduto di identificare nelle figure di cortigiani dipinte sulla parete nord gran parte della famiglia Sforza, tra cui un giovane Ludovico il Moro.

Parete dell'Incontro

La parete ovest, detta "dell'Incontro", è analogamente divisa in tre settori. In quello di destra avviene l'"incontro" vero e proprio, in quello centrale alcuni putti reggono una targa dedicatoria e in quello di sinistra sfila la corte del marchese, che prosegue con due personaggi anche nel settore centrale: questi ultimi sono rappresentati nell'angusto spazio tra il pilastro e la reale mensola dell'architrave della porta, dimostrando la difficile compenetrazione attuata efficacemente tra mondo reale e mondo dipinto. Nel pilastro tra l'incontro e i putti si trova nascosto tra le grisaille un autoritratto di Mantegna come mascherone.

Nell'Incontro sono rappresentati il marchese Ludovico, stavolta in vesti ufficiali, accanto al figlio Francesco cardinale. Sotto di loro stanno i figli di Federico I Gonzaga, Francesco e Sigismondo, mentre il padre si trova all'estrema destra: le pieghe generose del suo abito sono uno stratagemma per nascondere la cifosi. Federico è a colloquio con due personaggi, uno di fronte e l'altro in secondo piano, indicati da alcuni come Cristiano I di Danimarca (di fronte) e Federico III d'Asburgo (cognato di Ludovico II, poiché marito di Dorotea di Brandeburgo, sorella di Barbara) figure che ben rappresentano il vanto della famiglia per la parentela regale. Il ragazzo al centro infine è l'ultimo figlio maschio del marchese, il protonotario Ludovico, che tiene per mano il fratello cardinale e il nipote, futuro cardinale, rappresentando il ramo della famiglia destinato al cursus ecclesiastico. La scena ha una certa fissità, determinata dalla staticità dei personaggi ritratti di profilo o di tre quarti per enfatizzare l'importanza del momento.

Sullo sfondo è rappresentata una veduta ideale di Roma, in cui si riconoscono il Colosseo, la piramide di Cestio, il teatro di Marcello, il ponte Nomentano, le Mura aureliane, ecc. Mantegna inventò anche alcuni monumenti di sana pianta, come una statua colossale di Ercole, in un capriccio architettonico che non ha niente di filologico, derivato probabilmente da un'elaborazione fantastica basata su modelli a stampa. La scelta della città eterna era simbolica: rimarcava il forte legame tra la dinastia e Roma, avvalorato dalla nomina cardinalizia, e poteva anche essere una citazione beneaugurante per il cardinale quale possibile futuro papa. A destra si trova anche una grotta dove alcuni cavatori sono al lavoro nello scolpire blocchi e colonne.

La parte centrale è occupata dai putti che reggono la targa dedicatoria. Vi si legge:

"ILL. LODOVICO II M.M. / PRINCIPI OPTIMO AC / FIDE INVICTISSIMO / ET ILL. BARBARAE EJUS / CONIUGI MVLIERVM GLOR. / INCOMPARABILI / SVVS ANDREAS MANTINIA / PATAVVS OPVS HOC TENVE / AD EORV DECVS ABSOLVIT / ANNO MCCCCLXXIIII".

Oltre alla firma "pubblica" dell'artista, che si dichiara "padovano", vi si legge la data 1474, generalmente indicata come quella della fine dei lavori, e parole di adulazione verso Ludovico Gonzaga ("illustrissimo... principe ottimo e di fede ineguagliata") e a sua moglie Barbara ("incomparabile gloria delle donne").

Nell'ultimo restauro è stata riscoperta nello scomparto sinistro una carovana dei Magi, stesa a secco e già coperta di sudiciume, forse aggiunta per indicare la stagione invernale dell'Incontro, nonostante la rigogliosa vegetazione, che però comprende anche alcuni aranci, che fioriscono a fine anno. Nello scomparto sinistro manca una lunga fascia di lato, che era stata coperta da una ridipintura settecentesca: i restauri hanno confermato la completa perdita delle pitture, dove si nascondeva una figura della quale si vede ancora oggi una mano.

Pareti minori

Le pareti sud ed est sono coperte da tendaggi, oltre i quali spuntano le lunette. In quella sud si aprono una porta e un armadio a muro. Sopra l'architrave della porta è dipinto un grande stemma gonzaga, piuttosto malridotto, e le lunette sono quasi illeggibili. Quella est è meglio conservata e presenta tre belle lunette con festoni e imprese araldiche.

CAMERA PICTA

IN INGLESE

RIAPERTURA E RICERCA FONDI

eravamo, eravate

da Wikipedia:

La rivoluzione sessuale (o liberazione sessuale) fu un sostanziale cambiamento culturale nella moralità riguardo alla sessualità nei paesi occidentali che ebbe luogo tra i tardi anni sessanta e i primi anni settanta del XX secolo.

Introduzione

Secondo alcuni storici, la rivoluzione sessuale non rappresenterebbe una vera e propria rottura rispetto ai costumi occidentali in fatto di sesso degli anni precedenti. Si tratterebbe invece di una liberalizzazione, dopo un periodo di chiusura nei confronti della sessualità tra gli anni trenta e cinquanta. Si fa al riguardo osservare che la Guerra Fredda avrebbe favorito gli atteggiamenti conformisti nel sociale. Negli USA, il conformismo prese toni puritani che si scontravano con comportamenti sessuali naturali o addirittura, ironicamente, caratteristici della cultura. Questo periodo di "puritanesimo da Guerra Fredda" sarebbe sfociato, in seguito, nella ribellione culturale che prese le forme della rivoluzione sessuale.

È d'altra parte discutibile la misura in cui la rivoluzione sessuale portò a significativi cambiamenti nel comportamento sessuale. Secondo diverse testimonianze, il principale cambiamento non consistette nel fatto che la gente praticasse con maggiore frequenza il sesso o diverse forme di sesso; semplicemente, se ne parlava più apertamente di quanto non facessero le precedenti generazioni. Lo storico David Allyn lo definisce un periodo di coming out: riguardo a rapporti sessuali prematrimoniali, masturbazione, fantasie erotiche, uso della pornografia e omosessualità.

Detto questo, è altrettanto vero che il comportamento sessuale effettivamente cambiò per la maggioranza delle donne, ma soltanto una generazione dopo che la cosiddetta rivoluzione aveva avuto inizio. Il comportamento delle donne che raggiunsero la maturità sessuale dopo la metà degli anni ottanta ha numerosi tratti in comune con quello degli uomini della generazione precedente: ebbero più partner (da due a tre volte tanti) e cominciarono ad avere rapporti sessuali in età più giovane (da tre a cinque anni prima) delle donne della generazione degli anni settanta.

La poesia Annus Mirabilis (1974) dello scrittore britannico Philip Larkin coglie lo spirito della rivoluzione sessuale. La prima strofa recita:

(EN)

« Sexual intercourse began
in nineteen sixty-three
(which was rather late for me) -
between the end of the "Chatterley" ban
and the Beatles' first LP. »

(IT)

« Il rapporto sessuale cominciò
nel millenovecentosessantatré
(assai tardi per me) -
tra la fine della proibizione de L'amante di Lady Chatterley
e il primo LP dei Beatles »

(Philip Larkin, Annus Mirabilis)

Larkin non menziona l'avvento della contraccezione orale nel 1960, ma avrebbe potuto. La possibilità di avere rapporti sessuali senza correre il rischio di avere dei figli sancì secondo alcuni la nascita della rivoluzione sessuale e l'inizio di una svolta verso la libertà sessuale. A detta di molti, questo trend si invertì a partire dagli anni ottanta, in cui l'atteggiamento nei confronti del sesso si fece più conservatore, almeno in parte a causa della paura dell'AIDS.

Sviluppo storico

La rivoluzione sessuale è il prodotto dell'evoluzione della società occidentale nella storia recente. Lo sviluppo dell'Età moderna assistette alla graduale erosione del potere dei valori e della morale radicati nella tradizione giudaico-cristiana, e all'affermazione di una cultura maggiormente permissiva nei confronti della libertà sessuale e della sperimentazione che si diffuse in tutto il mondo e che può essere riassunta nell'espressione "amore libero".

Rapporto con gli sviluppi culturali dell'età moderna

Nel XIX secolo, la Rivoluzione Industriale, e con essa lo sviluppo della scienza e di tecnologia, medicina e una maggiore attenzione alla salute, portarono allo sviluppo di migliori contraccettivi. Progressi nella manifattura e nella produzione della gomma resero possibile la produzione di massa di preservativi, che divennero accessibili a un gran numero di persone, con la possibilità di evitare le gravidanze indesiderate sostenendo un costo modesto. Progressi nell'immunologia resero inoltre l'aborto meno rischioso per la salute della donna.

A partire dal secondo dopoguerra, sviluppi nella chimica, nella farmacologia, nella biologia e nella fisiologia umana resero disponibili nuovi farmaci, portando alla scoperta e al perfezionamento dei contraccettivi orali (la "Pillola") nel 1960.

Nuovi medicinali, come il Viagra, consentirono agli uomini impotenti di avere un'erezione, e aumentarono la potenza di altri. L'acquisto di un afrodisiaco, come di vari giocattoli sessuali divenne un fatto normale; crebbe la popolarità del sadomasochismo.

Nel corso degli anni sessanta e settanta il divorzio unilaterale divenne una concreta possibilità legale in diversi paesi.

Tali sviluppi ebbero luogo al contempo, e in combinazione con, un aumento dell'alfabetismo a livello mondiale, e con il progressivo declino dell'osservanza religiosa. Antichi valori, quali la nozione del "crescete e moltiplicatevi" biblico, ad esempio, vennero abbandonati; si diffusero gli stili di vita delle culture occidentali.

Gli scritti di autori come Herbert Marcuse e Wilhelm Reich, inoltre, contribuirono allo sviluppo della libertà sessuale.

Sviluppo tecnologico

Gli sviluppi nel campo della fotografia e della cinematografia, in particolare i miglioramenti nella tecnologia delle apparecchiature per riprendere immagini ferme e in movimento della gente, accelerò la diffusione di film e fotografie. Studi sulla psicologia dei consumatori e nuove tecniche di marketing e pubblicità aiutarono la crescita dell'industria cinematografica a Hollywood, creando un mercato di massa per immagini attraenti, prima in bianco e nero e successivamente a colori e in Technicolor.

La scuola freudiana

Sigmund Freud credeva che le radici del comportamento umano risiedessero nella libido. La nuova "scienza" moderna della psicoanalisi rivoluzionò l'immagine di sé di un'intera cultura. La pruderie Vittoriana venne messa da parte da una nuova consapevolezza del desiderio sessuale. Secondo Freud gli uomini avevano il complesso di Edipo e le donne l'invidia del pene.

Gli studiosi anarchici di Freud, Otto Gross e specialmente Wilhelm Reich, che coniò la frase "rivoluzione sessuale", svilupparono una sociologia del sesso negli anni 1920 e 1930.

Nascita delle stelle del cinema

Bellissime donne e uomini estremamente affascinanti vennero selezionati rigorosamente per diventare stelle del cinema, e quando venivano scritturati in film con romantiche scene d'amore, baci, abbracci e flirt, un'intera cultura venne trasformata, essendo diventato più accettabile mostrare segni d'affetto in pubblico. L'umore molto conservatore che aveva portato al XX secolo fece strada a un crescente milieu erotico, che venne reso popolare dall'industria del cinema.

La nudità sullo schermo fu inizialmente rara. Ma con il passare del tempo la gente divenne più tollerante della nudità parziale per gli uomini e per l'esibizione dei seni delle attrici; inizialmente per il pubblico adulto e successivamente per quello generale. L'invenzione della televisione rese possibile trasmettere scene d'amore o romantiche in qualsiasi casa con una "TV". Nacque un intero genere di attori che erano particolarmente dotati di carisma e sex appeal. Nacque quindi un'intera cultura che era immersa e eroticizzata da film e televisione, distante dai decenni passati, di più rigida e tradizionale morale sessuale.

I nomi famosi del mondo dello spettacolo non divennero solo "stelle", ma anche "dee" o "icone". Donne attraenti come Mae West, Marilyn Monroe, Raquel Welch, Brigitte Bardot, Jane Fonda, Sophia Loren, Madonna e le sue più giovani imitatrici, furono esplicite nell'emanare un'aura sessuale rispetto al loro essere attrici e verso i mass media affamati di celebrità. Una scena d'amore in ogni film venne accettata come la norma.

Kinsey e Masters & Johnson

Alla fine degli anni 1940 e nei primi anni 1950, Alfred C. Kinsey pubblicò due sondaggi sui comportamenti sessuali moderni. Nel 1948, Alfred C. Kinsey e i suoi collaboratori, rispondendo alle richieste avanzate dalle studentesse della Indiana University per maggiori informazioni sul comportamento sessuale umani, pubblicarono il libro Sexual Behavior in the Human Male, cui fece seguito cinque anni dopo Sexual Behavior in the Human Female. Questi libri diedero il via ad una rivoluzione della consapevolezza sociale della sessualità umana e la portarono all'attenzione del pubblico.

Si dice che all'epoca, la morale pubblica limitasse notevolmente la discussione libera sulla sessualità come caratteristica umana, e in particolare le pratiche sessuali, specialmente quelle che non portavano alla procreazione. I libri di Kinsey, che tra le altre cose riportavano scoperte sulla frequenza di diverse pratiche sessuali compresa l'omosessualità, provocarono scalpore. Molte persone ritenevano che lo studio del comportamento sessuale avrebbe minato la struttura della famiglia e danneggiato la società statunitense.

Questi libri gettarono le basi per il lavoro di Masters e Johnson. Nel 1966 il loro saggio dirompente, intitolato La risposta sessuale umana, rivelò la natura e l'estensione delle pratiche sessuali dei giovani statunitensi.

L'amante di Lady Chatterley, Tropico del Cancro e Fanny Hill

Negli anni tra il 1959 e il 1966 negli Stati Uniti venne rimosso il bando su tre libri dall'esplicito contenuto erotico: L'amante di Lady Chatterley, Tropico del Cancro e Fanny Hill. Precedentemente erano stati attuati controlli su ciò che si poteva o non si poteva pubblicare. Per esempio negli Stati Uniti d'America venne vietata l'importazione dell'Ulysses di James Joyce; nella Chiesa cattolica venne pubblicato l'Index Librorum Prohibitorum e a Boston la Watch and Ward Society di derivazione protestante fondata da Anthony Comstock rese la frase "banned in Boston" un detto popolare.

Nel 1959 la Grove Press pubblicò un'edizione censurata de L'amante di Lady Chatterley di D. H. Lawrence, ma le Poste inglesi confiscarono le copie che venivano spedite per posta. L'avvocato Charles Rembar citò in giudizio il direttore delle Poste di New York e vinse la causa davanti alla corte federale. Nel 1965, Tom Lehrer celebrò la carica erotica del romanzo nella canzone satirica Smut:

Who needs a hobby like tennis or philately?
I've got a hobby: rereading Lady Chatterley
(che bisogno c'è di un hobby come il tennis o la filatelia? / Io ho un hobby: rileggere Lady Chatterley )

Il romanzo di Henry Miller Tropico del Cancro (1934) a causa degli espliciti brani sessuali non poté essere pubblicato negli Stati Uniti (ma un'edizione del romanzo, pubblicata dalla Obelisk Press di Parigi, arrivò in America di contrabbando).

Nel 1961, la Grove Press pubblicò una copia del romanzo e in vari stati furono intentate numerose azioni legali contro dozzine di librai per permetterne la vendita. La pubblicazione venne definitivamente consentita dalla decisione del 1973 della Corte Suprema degli Stati Uniti in Miller v. California. Nella sentenza, la Corte definì l'"oscenità" secondo quello che viene oggi chiamato testo di Miller. L'articolo di Wikipedia sulla pornografia nota che "Negli Stati Uniti, la pornografia è legale se non corrisponde al testo di Miller sulle oscenità, cosa che non si verifica quasi mai".

Nel 1965, la Putnam pubblicò il romanzo Fanny Hill, scritto nel 1750 da John Cleland. Questo fu un punto di svolta perché Charles Rembar fece ricorso contro un ordine restrittivo che portò fino alla Corte Suprema e vinse. In Memoirs v. Massachusetts, 383 U.S. 413, la corte sentenziò che il sesso era "una grande e misteriosa forza motivatrice nella vita umana", e che la sua espressione nella letteratura era protetta dal Primo emendamento. Solo i libri che facevano appello principalmente a "interessi osceni" potevano essere messi al bando. In una frase celebre, la corte disse che l'oscenità è "interamente priva di una importanza sociale redimente" — volendo dire con ciò che, al contrario, qualsiasi opera con una importanza sociale redimente non era oscena, anche se conteneva passaggi isolati che potevano "depravare o corrompere" alcuni lettori.

Questa decisione fu di particolare importanza, poiché, dei tre libri menzionati, Fanny Hill ha di gran lunga la maggior quantità di contenuto che sembra appellarsi a interessi osceni, e la più piccola parte di merito letterario e di "importanza sociale redimente". Mentre una versione censurata de L'amante di Lady Chatterley è stata una volta pubblicata, nessuna operazione simile è stata mai compiuta per Fanny Hill (ed è difficile persino immaginare in cosa potrebbe consistere un tale lavoro).

Permettendo la pubblicazione di Fanny Hill, la Corte Suprema pose il limite per un qualsiasi bando così in alto che lo stesso Rembar definì la decisione del 1966 come "la fine dell'oscenità".

Manuali sul sesso (saggistica)

La decisione della corte che legalizzò la pubblicazione di Fanny Hill ebbe un effetto ancor più importante: liberò dalla paura di azioni legali, e opere saggistiche riguardanti il sesso e la sessualità iniziarono ad apparire.

Nel 1962, Helen Gurley Brown pubblicò Sex and the Single Girl: The Unmarried Woman's Guide to Men, Careers, the Apartment, Diet, Fashion, Money and Men. Già solo il titolo sarebbe stato impensabile un decennio prima. (Nel 1965 la stessa autrice avrebbe trasformato la rivista Cosmopolitan in un manuale di vita per giovani donne in carriera).

Nel 1969, Joan Garrity, usando lo pseudonimo "J.", pubblicò The Way to Become the Sensuous Woman, completo di cose come gli esercizi per migliorare la destrezza della lingua.

Lo stesso anno vide la comparsa del libro del dott. David Reuben, intitolato Everything You Always Wanted to Know About Sex (But Were Afraid to Ask). Nonostante la dignità delle credenziali mediche di Reuben, il libro aveva un tono leggero e, per molti lettori, mantenne abbastanza fedelmente le promesse. Una signora di mezza età di un paesino del Wisconsin venne udita esclamare "Prima di leggere questo libro, non sapevo con precisione cosa fosse ciò che gli omosessuali fanno."

Nel 1970, il Boston Women's Health Collective pubblicò Women and their Bodies (che divenne meglio noto in seguito con il nuovo titolo, Our Bodies, Ourselves). Pur non essendo un trattato sull'erotismo o un manuale sessuale, il libro includeva comunque delle descrizioni franche della sessualità e conteneva illustrazioni che avrebbero potuto causare problemi legali solo pochi anni prima.

Nel 1972 arrivò il libro di Alex Comfort, La gioia del sesso: A Gourmet Guide to Love Making.

Nel 1975 Zeig Mal! (Mostrami!), di Will McBride, scritto con la psicologa Helga Fleichhauer-Hardt, per i bambini e i loro genitori, apparve nelle librerie su entrambe le sponde dell'Atlantico. Apprezzato da molti genitori per la sua descrizione esplicita delle/dei preadolescenti alla scoperta e all'esplorazione della loro sessualità, il libro scandalizzò altri e alla fine venne tolto dalla circolazione negli USA e in alcune altre nazioni. Ebbe un seguito nel 1989 con Zeig Mal Mehr! (Mostrami di più!).

Questi libri avevano molte cose in comune. Mostravano fatti ed erano di fatto educativi. Erano disponibili al pubblico generalizzato. Erano impilati sui banconi delle librerie scontate, erano tra quelli selezionati dai club librari e i loro autori erano ospiti dei talk show di tarda serata. La gente li leggeva in pubblico. In una rispettabile casa della classe media, Playboy e Fanny Hill possono essere presenti ma tenuti solitamente fuori vista. Ma alcuni di questi libri potrebbero trovarsi tranquillamente sul tavolino del soggiorno. Soprattutto, tutti questi libri riconoscevano e celebravano la coltivazione del piacere erotico.

Il contributo di tali libri alla rivoluzione sessuale non deve essere esagerato. Libri precedenti, come What Every Girl Should Know (Margaret Sanger, 1920) e A Marriage Manual (Hannah e Abraham Stone, 1939) avevano rotto il completo silenzio nel quale la gente, le donne in particolare, era cresciuta. Negli anni 1950, negli Stati Uniti, era diventato finalmente raro che una donna arrivasse alla prima notte di nozze senza sapere letteralmente cosa aspettarsi. Ma la discussione aperta sul sesso come piacere, e le descrizioni di pratiche e tecniche sessuali, fu veramente rivoluzionaria. C'erano pratiche di cui, forse, qualcuno aveva sentito parlare. Ma molti adulti non erano certi se fossero realtà, o fantasie che si trovavano solo nei libri pornografici. Erano cose "normali", o erano esempi di psicopatologia? (Quando usiamo parole come fellatio stiamo ancora usando la terminologia usata da Krafft-Ebing in Psychopathia Sexualis). Le donne sposate facevano queste cose, o solo le prostitute? Il rapporto Kinsey rivelò che queste pratiche erano, alla fine dei conti, sorprendentemente frequenti.

Elvis Presley

Durante gli anni 1950, un cantante e attore in particolare, Elvis Presley, introdusse uno stile di danzare ed esibirsi molto veloce, usando i contorcimenti del suo corpo in modo sessualmente suggestivo. Venne soprannominato "Elvis the Pelvis" (Elvis il bacino) per i suoi tipici ancheggiamenti. Milioni di giovani donne divennero sue ammiratrici ed egli divenne il loro "idolo". Sul palco e in concerto, migliaia di ragazze strillavano e piangevano durante la sua esibizione. Presley è stato indicato come un fattore principale della "perdita di inibizioni" e nella "ribellione giovanile" degli anni 1950 e 1960.

Medicina e sesso

Lo sviluppo degli antibiotici negli anni 1940 rese possibile una cura per la maggior parte delle malattie veneree dell'epoca, rimuovendo la minaccia di malattie sessualmente trasmissibili come la sifilide. Nei primi anni 1960 divenne disponibile la pillola anticoncezionale. Con la rimozione del rischio di malattie e gravidanza, molte delle limitazioni tradizionali ai comportamenti sessuali sembrarono ingiustificate.

Con la nozione che le malattie trasmesse sessualmente erano facilmente curabili, parte della generazione del baby boom sperimentò il sesso al di fuori del matrimonio.

L'avvento dell'herpes genitale e dell'AIDS ha fatto oscillare il pendolo in direzione opposta, ma le tendenze moderne vanno verso la riduzione del rischio, attraverso l'educazione e il sesso sicuro, piuttosto che verso il ritorno alla monogamia e a norme sessuali più tradizionali.

Contraccezione

Nuovi metodi di contraccezione permisero a uomini e donne di prendere il controllo della propria riproduzione. La disponibilità a basso prezzo di preservativi in gomma per gli uomini e della spirale intrauterina e dei contraccettvi orali per le donne, diede un senso di affrancamento dal rischio di gravidanza a seguito del rapporto sessuale.

La rivoluzione sessuale nel Regno Unito

Nel Regno Unito la nuova generazione cresciuta dopo la seconda guerra mondiale si era stancata dei razionamenti e dell'austerità degli anni 1940 e 1950 e dei valori vittoriani dell'epoca precedente. Così gli anni 1960 furono un periodo di ribellione alle tristi mode e norme sociali della generazione precedente.

I primi indizi di cambiamento si videro nel 1960, quando il governo dell'epoca cercò senza successo di perseguire per oscenità la Penguin Books, per la pubblicazione del romanzo di D.H. Lawrence, L'amante di Lady Chatterley che era stato messo al bando fin dagli anni 1920, per il suo contenuto (per l'epoca) piccante.

Come prova di quanto l'atteggiamento dell'establishment fosse "vecchio stile", l'avvocato dell'accusa Mervyn Griffith-Jones, passò alla storia per essersi posto davanti alla giuria durante la sua arringa finale e aver chiesto "È questo un libro che desiderereste fosse letto da vostra moglie o dalla vostra servitù?". Quando il caso fu chiuso, il romanzo divenne un best seller, con 2 milioni di copie vendute.

La pillola anticoncezionale divenne disponibile presso il National Health Service negli anni 1960, prima limitatamente alle donne sposate, ma più tardi in quel decennio la disponibilità venne estesa a tutte le donne.

Libero amore

Nata a San Francisco a metà degli anni 1960, la nuova cultura dell'"amore libero", vide decine di migliaia di giovani che divennero "hippy" e predicavano il potere dell'amore e la bellezza del sesso, come componente della vita quotidiana. Ciò era parte di una controcultura che esiste ancora oggi. All'inizio degli anni 1970 era accettabile per le università di permettere alloggi studenteschi in cui uomini e donne si mischiavano liberamente.

L'"amore libero" continuò in forme diverse per tutti gli anni settanta e finì improvvisamente quando l'opinione pubblica iniziò ad essere conscia dell'AIDS, a metà degli anni 1980.

Sesso esplicito sullo schermo

Il sesso esplicito sullo schermo, e con esso l'accettazione del nudo da parte di uomini e donne sulla scena, divenne la norma in diversi paesi europei e nordamericani verso la fine del XX secolo. Locali specializzati nello spogliarello e nella lap dance si diffusero rapidamente; le famose conigliette di Playboy iniziarono questo trend.

Rapporti sessuali prematrimoniali

Gli aderenti alla "controcultura" praticavano apertamente il sesso prematrimoniale; nel corso degli anni settanta ciò divenne un fatto comune tra i giovani. Sempre negli anni settanta, la possibilità di abortire legalmente si diffuse in diversi paesi. Questi fatti portarono alla percezione di quegli anni, da parte di alcuni, come un'epoca di promiscuità, decadenza ed edonismo; in epoca recente la tendenza sembra inoltre essersi invertita negli USA, dove si assiste a un ritorno ai valori tradizionali, attraverso campagne propagandistiche relative al valore della verginità prematrimoniale.