martedì 29 gennaio 2013

un soggetto smarrito (12) la decisione


Roberto e Linda sono sposati da 4 anni, hanno tutto quello che una coppia affiatata possa desiderare, una bella casa, un cane, attività lavorative ben collaudate (lui consulente finanziario, lei gallerista). Tra i progetti  un figlio ed un viaggio in barca a vela attorno al mondo. Tutto procede per il meglio fino a quando, un giorno, Roberto recandosi negli spogliatoi della palestra, sorprende (senza essere visto) Linda col personal trainer nel bel mezzo di un'amplesso sessuale. Roberto invece di affrontare la situazione si chiude in se stesso e si convince che sia colpa sua. Decide di sparire. Pianifica ogni dettaglio: si licenzia di fronte all'incredulità dei colleghi (ovviamente all'insaputa di Linda), cancella tutti i dati del computer incluso la scheda madre, chiude il proprio conto bancario utilizzando una parte della somma per acquistare un camper. L'ultima sera mentre stanno cenando, Linda (che si è accorta da tempo del suo strano comportamento) chiede a Roberto se c'è qualcosa che non va, aggiungendo: "tutti noi commettiamo degli errori, per questa ragione è giusto parlarsi prima che sia troppo tardi. Ti amo"...Lui: "va tutto bene... Ho chiuso i bilanci". All'indomani Roberto le dice che ha prenotato un tavolo e che si vedranno all'ora di pranzo. Esce aspettando che Linda a sua volta faccia altrettanto. Rientrato, toglie la carta SIM dal telefonino lasciandolo sul comò della camera da letto insieme alle chiavi di casa, poi apre un'enorme valigia riempiendola di ogni, tranne completi eleganti. Sale sul camper e si dilegua. Linda come concordato è al ristorante. Il tempo passa e Roberto non si vede. Lo chiama più volte ma il cellulare risulta spento. Dopo più di un'ora rincasa e con grande stupore vede gli armadi semi aperti. Capisce che Roberto aveva premeditato la fuga da tempo e prende atto che non tornerà

la vita in un barattolo



Ci sono storie che devono essere raccontate. Sono storie che cambiano il mondo: esse hanno il potere, raro e prezioso, di cambiare la vita di chi le racconta e di chi le ascolta. La storia di Irena Sendler è una di queste. E’ una storia un po’ magica, sembra quasi una favola tanto è bella e, tuttavia, è una storia vera. 
Irena nacque nel 1910 a Varsavia in Polonia. Quando nel 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale, lavorava in un servizio sociale e aveva soltanto 29 anni. Iniziò da subito a proteggere gli amici ebrei a Varsavia. Nel 1940 fu eretto il ghetto e Irena iniziò a entrarvi con vari pretesti: ispezioni per verificare potenziali sintomi di tifo, ispezioni alle tubature d’acqua. I pretesti variavano, ma lo scopo vero no: Irena iniziò a trasportare fuori dal ghetto decine e decine di bambini di tutte le età, per salvarli dalla morte certa che li attendeva. Nascondeva i neonati nelle casse del furgone, i bambini più grandicelli in sacchi di juta. Addestrò il suo cane ad abbaiare quando arrivavano i tedeschi, perché non potessero sentire i pianti disperati dei bambini che venivano separati dai loro genitori. Irena più volte in seguito ebbe a dire che in realtà i veri eroi erano quelle madri e quei padri che decisero di affidarle i loro bambini. La sua libertà di entrare e uscire dal ghetto le permise di convincere i genitori ad affidarle i bambini, affinché si potesse evitare loro la vita di stenti del ghetto con la speranza di poter riunire le famiglie in futuro. Alla fine Irena riuscì a salvare circa 2500 bambini. E’ un numero impressionante. Quanti viaggi avrà fatto per portarne fuori così tanti? Non tutti erano nel ghetto, molti erano anche negli orfanotrofi. Irena li prendeva e forniva loro una nuova identità, li affidava a famiglie e preti cattolici. Questi bambini ora sono adulti e, soprattutto, sono vivi. Ma il sogno di Irena era quello di restituire loro un giorno la famiglia d’origine. Nascose quindi per anni in barattoli di marmellata vuoti i fogli con i nomi delle famiglie d’origine, poi sotterrò i barattoli nel giardino.
Ad un certo punto la Gestapo la catturò. Subì la tortura, le fratturano entrambe le gambe e le braccia. Irena riuscì a non rivelare il suo segreto. La condannarono a morte, ma la resistenza polacca attraverso l’organizzazione clandestina ZEGOTA riuscì a salvarla, corrompendo alcuni soldati tedeschi. Cosi alla fine della guerra questi preziosi barattoli furono recuperati da Irena e utilizzati per ricontattare 2000 bambini. Le loro famiglie erano state sterminate e nella maggioranza dei casi il ricongiungimento non fu possibile.
Dal 1965 il suo nome fu menzionato nell’elenco del museo Yad Vashem fra i “Giusti tra le Nazioni” e nel 1983 un albero fu piantato nel giardino dello stesso museo in Israele in suo onore. Tuttavia la storia di Irena è stata per anni dimenticata dall’opinione pubblica, ma è stata riscoperta e resa nota nel 1999 da un gruppo di studenti del Kansas che hanno fondato un progetto di sostegno alla conoscenza pubblica di questa vicenda. “Life in a Jar” è diventato uno spettacolo, un libro e un dvd. La storia di questo progetto si trova sul sito www.irenasendler.org. Nel 2007 Irena ottenne una nomination per il Nobel per la Pace, ma non le fu assegnato perché una regola per l’assegnazione del Nobel richiede di aver effettuato una qualche attività meritoria nei due anni precedenti alla richiesta. Nel caso di Irena le azioni meritorie risalivano tuttavia a molti anni prima. Il 12 maggio 2008 questa donna, dal viso dolce e paffuto, si è spenta a Varsavia.
Questa è una storia che il cinema potrebbe raccontare, perché è un pezzo della memoria pubblica della Shoah che tutti dovremmo conoscere. Negli ultimi decenni il cinema ha contribuito in modo decisivo ad iscrivere nel discorso pubblico italiano e internazionale alcuni pezzi di storia dell’Olocausto che altrimenti non avremmo mai conosciuto. In seguito, ai film su Oskar Schindler e sul caso di Giorgio Perlasca - il falso console spagnolo che a Budapest salvò migliaia di ungheresi di religione ebraica - la nostra conoscenza pubblica della Shoah è radicalmente cambiata. Il modo in cui possiamo parlare e ricordare uno dei momenti più bui del passato europeo è mutato. Accanto alle rappresentazioni del carnefice feroce nazista e delle vittime ebree e non, abbiamo potuto collocare nuove immagini, nuove figure – quelle di chi non ha voluto stare a guardare, quelle di chi non ha permesso che accadesse, quelle di chi ha deciso di rischiare e resistere. Oskar Schindler, Giorgio Perlasca, Irena Sendler sono uomini e donne che hanno saputo riconoscere a se stessi il potere e la forza di cambiare il destino e l’hanno semplicemente fatto, accettando di correre i rischi e di pagare i costi che le loro scelte comportavano.
Cari registi e care registe, cari artisti e care artiste, Vi rivolgo un appello: a quando un film o un’opera d’arte su questa donna eroica e semplice che ha cambiato la vita di 2500 bambini? Questa è una storia, alla quale l’arte e la cultura possono restituire la visibilità che merita. Peraltro, in questo periodo in cui in Italia l’immaginario femminile è stato così vilipeso, così svilito e impoverito dalle recenti vicende politiche abbiamo proprio bisogno che ci vengano restituite immagini belle ed eroiche del femminile. Irena era una donna bellissima e coraggiosa, la cui memoria è un bene pubblico prezioso da portare con noi nel futuro.


fonte: www.linkiesta.it

giovedì 17 gennaio 2013

web, spionaggio di massa, siamo tutti sorvegliati dagli Usa



La Cia ci spia, cantava tanti anni fa Eugenio Finardi, pensando agli 007 di allora, impegnati nella guerra fredda. Archiviato il grande nemico, l’Unione Sovietica, gli “spioni” sono più che mai al lavoro, grazie ai nuovi ferri del mestiere: i servizi “cloud” offerti da Google, Microsoft e Facebook. Obiettivo: «Sorveglianza di massa, di calibro pesante, mirata alla nuvola informatica», nientemeno. «Un tipo di linguaggio che non può essere spazzato e nascosto a lungo sotto il tappeto», afferma il giornalista Ryan Gallagher, che da Londra tiene d’occhio manipolazioni digitali e violazioni della privacy effettuate via web. Una su tutte: la nuova legge che di fatto autorizza gli Stati Uniti a controllarci: «Europei, prendete nota: il governo Usa si è auto-attribuito il diritto di spiarvi segretamente». Lo rivela una relazione fornita al Parlamento Europeo, che avverte: l’America ha legalizzato «una sorveglianza meramente politica sui dati relativi a stranieri».
«Gli europei – scrive Gallagher in un servizio su “Slate”, ripreso da “Megachip” – avrebbero già dovuto essere allarmati dal fatto che il “Patriot spying Act” può essere usato per ottenere dati su cittadini residenti al di fuori del suolo Usa». Ma stavolta, al centro dell’attenzione è una legge diversa: il “Foreign Intelligence and Surveillance Amendments Act” (Fisa), che solleva «un rischio ancora maggiore nei confronti della sovranità Ue sui dati rispetto ad altre leggi finora prese in considerazione dai decisori politici europei». È quanto risulta dall’ultima relazione sulla lotta contro i cyber-reati e la protezione della privacy sul web: introdotto nel 2008, il “Fisa Amendments Act” ha appena legalizzato in modo retroattivo l’utilizzo del controverso programma di «registrazioni telefoniche senza garanzie» iniziato dall’amministrazione Bush dopo l’11 Settembre, che ora resterà in vigore fino al 2017.
Se lo “spionaggio di massa” preoccupa i cittadini americani, ad essere ancora più allarmati dovrebbero essere gli stranieri: lo afferma Caspar Bowden, co-autore della relazione ed ex consulente-capo, per la privacy, di MicrosoftEuropa. Secondo Bowden, l’emendamento Fisa del 2008 ha creato un «potere di sorveglianza di massa» mirato specificamente a dati di persone non-statunitensi, residenti fuori dall’America e applicabile al sistema di “cloud computing”. Il che significa che, «in base a un ordine di sorveglianza segreto emanato da un tribunale segreto», aziende statunitensi con sedi nell’Unione Europea «possono essere costrette a consegnare dati sui cittadini europei. «Si apre la porta a un tipo di spionaggio intrusivo senza precedenti», avverte Gallagher, dato che il Quarto Emendamento tutela esclusivamente la privacy degli americani, non degli stranieri. «È come versare nella fornitura d’acqua pubblica una droga che controlla la mente dei soli non-americani», afferma Bowden, che aggiunge: «La mancanza di Caspar Bowdenattenzione delle autorità europee che hanno in carico la protezione dei dati nei confronti di questo provvedimento è stata sconvolgente».
Se il monitoraggio di e-mail e telefonate di gruppi “sospetti” fa parte della routine delle agenzie di intelligence, il Fisa autorizza invece in modo esplicito e automatico a prendere di mira sia le comunicazioni in tempo reale, sia i dati “cloud” depositati e collegati a organizzazioni politiche con sede all’estero: in pratica qualsiasi cittadino, non solo sospetti terroristi. Di fatto, per Bowden, il Fisa dà pienamente «carta bianca per spiare qualsiasi cosa che sia di giovamento per gli interessi della politica estera Usa» e legalizza il monitoraggio di giornalisti, attivisti e politici europei che abbiano a che fare con qualsiasi argomento che rientri nella sfera degli interessi degli Stati Uniti. Secondo Bowden, il Fisa rende espressamente legale, per gli Stati Uniti, esercitare «una sorveglianza di massa continua di comuni attività politiche democratiche e legali» e potrebbe spingersi fino ad obbligare i fornitori Usa di servizi “cloud”, come Google, a fornire una “intercettazione in diretta” dei dati degli utenti europei.
I funzionari Usa smentiscono: l’ambasciatore statunitense presso l’Unione Europea, William Kennard, parla della «paura di un accesso illimitato ai dati da parte del governo Usa», affermando che tutte le azioni per l’applicazione delle leggi e per le indagini sulla sicurezza nazionale negli Stati Uniti sono soggette a limiti legali e giudiziari concepiti per proteggere la privacy individuale. «Si può inoltre mettere in discussione che un tribunale statunitense, per di più in segreto, possa essere tanto audace da autorizzare davvero lo spionaggio di massa sui giornalisti europei», osserva Gallagher, anche se almeno a livello teorico «rimane una possibilità». Per nulla soddisfatto dalle rassicurazioni d’oltreoceano, lo stesso Bowden – primo firmatario della scottante relazione – fa appello affinché i cittadini dell’Unione Europea ricevano adeguati avvertimenti sul fatto che i loro dati potrebbero risultare vulnerabili nei confronti della sorveglianza politica Sophia in ’t Veldstatunitense. La relazione propone inoltre che sia garantita agli europei un’equa protezione presso i tribunali americani.
E gli europei? «È assai chiaro che la Commissione Europea stia chiudendo un occhio», ammette l’olandese Sophia in ’t Veld, che nel Parlamento Europeo è vicepresidente della commissione che si occupa di libertà civili, giustizia e affari interni, che accusa di “distrazione” anche i governi nazionali, «in parte perché non hanno afferrato la questione, e in parte perché temono di mettersi contro le autorità Usa». Ora, conclude Gallagher, sembra comunque inevitabile che i legislatori europei debbano finalmente decidersi ad affrontare le questioni che riguardano l’intercettazione di massa targata Usa, per quanto controversa possa essere. Tutti spiati, per legge? Non si può certo continuare a far finta di niente.

fonte: www.libreidee.org

mercoledì 16 gennaio 2013