venerdì 5 agosto 2016

"morte cerebrale": omicidi per espiantare organi



di Gianni Lannes

Nemesi medica: ecco la genesi della tratta di organi, trapianti "legali" ed espianti fuorilegge, il passaggio da esseri a merci degli umani. Il nodo cruciale è tutto qui, mentre i Paesi aderenti aderenti all'Unione europea, tranne l'Albania, non hanno ratificato la convenzione internazionale sulla tratta di organi umani.  

Il 3 dicembre 1967, al Groote Schuur Hospital di Città del Capo, in Sudafrica, un cardiochirurgo sudafricano, Christiaan Neethling Barnard, realizzò il primo omotrapianto cardiaco: il cuore di Denise Darvall, una giovane donna vittima di un incidente stradale, venne trapiantato in un cardiopatico diabetico, tale Louis Washkansky (che morì 18 giorni dopo).

Il 5 agosto 1968 un gruppo di medici di Harvard pubblicò sul Journal of American Medical Association, un rapporto in cui fissava incredibilmente il momento della morte non quando il cuore non batte più, ma quando si registra la perdita irreversibile dell’ attività cerebrale. In seguito, tale criterio privo di scientificità, è stato adottato da tutta, o quasi, la comunità medica internazionale. Gli autori dichiaravano nella pubblicazione che il cambiamento dei criteri di definizione di morte si rendevano necessari oltre che per evitare l'accanimento terapeutico, anche per risolvere problemi di approvvigionamento d'organi per trapianto da donatore con cuore battente. Infatti, nel testo è scritto: «Criteri obsoleti di definizione di morte possono portare a controversie nell'ottenere organi a fine di trapianto». 




A questo punto, infranto l'ultimo tabù, il concetto di morte cerebrale conquistò fulmineamente una grossa fetta della comunità sanitariainternazionale, provocando una serie di problemi medico-scientifici, legati alla corretta diagnosi ed alla corretta previsione prognostica, oltre che legali, antropologici, filosofici, etici e religiosi. Comunque, in tal modo venne sostituito il concetto di morte dell'individuo secondo i classici criteri di arresto irreversibile cardio-circolatorio, con quello della morte di un organo: la presunta "morte cerebrale".  

Questa mera convenzione, ovvero una nuova ma assurda definizione della morte, è servita a favorire la tecnica e la pratica di espianti e trapianti di organi umani. In ogni caso, se il cervello dell’essere umano non manda più segnali, non vuol dire che la persona è morta.



Gli scientisti fanno una distinzione fra l'individuo e il suo corpo. Nella cosiddetta “morte cerebrale” l'individuo non esisterebbe più, e ci sarebbe solo il suo corpo. Ma che differenza è mai questa? L’essere umano è il suo corpo, e quando il suo cuore batte e il sangue pulsa nelle vene è vivo. Nel 2002 c'è stato il caso (non l'unico) di una donna incinta data per “clinicamente morta”, che ha continuato a portare avanti la sua gravidanza. Cosa significa? Che quando i medici espiantano un organo ad un umano classificato in “morte cerebrale”, ossia solo in base ad una mera definizione, in realtà lo strappano ad una persona ancora viva. E non potrebbe essere diversamente, perchè se fosse realmente morta lo sarebbero anche i suoi organi che quindi non potrebbero essere più utilizzati per gli espianti e i trapianti. E questo è tanto più vero dato che, delle persone considerate ufficialmente morte vengono tenute artificialmente in vita per poter procedere appunto all'espianto.




I protocolli di Harvard ispirano ancora oggi la maggior parte delle legislazioni in materia di accertamento della morte cerebrale, fra le quali la legge italiana. Nella legislazione italiana la materia è regolata dalla Legge 29 dicembre 1993, n.578 (norme per l'accertamento e la certificazione di morte), dal Decreto 22 agosto 1994, n.582 del Ministero della Sanità (regolamento recante le modalità per l'accertamento e la certificazione di morte) e dal Decreto 11 aprile 2008 (G.U. n.136 del 12/06/2008, 'Aggiornamento del decreto 22 agosto 1994, n. 582...'). La diagnosi di morte si esegue con un elettrocardiogramma in maniera continuativa per 20 minuti, come esprime la legge 578/93. (morte accertata con criteri cardiaci). Il tempo di osservazione per l'accertamento della morte cerebrale è di 6 ore per ogni fascia d'età, come sancito dal decreto ministeriale del 2008 (precedentemente vi era una distinzione in 6 ore nel adulto, 12 nel bambino sotto i 5 anni, 24 nel bambino sotto un anno). Queste norme non impongono l'utilizzo delle più moderne tecniche di stimolazione cerebrale, tecniche di immagine e delle più avanzate strumentazioni per rilevare l'esistenza di qualsiasi attività cerebrale. Non sono previste altre tecniche che oggi permettono di visualizzare dall'interno l'attività cerebrale con immagini di alta qualità, e di meglio distinguere fra uno stato vegetativo all'apparenza senza vie d'uscita e uno "stato di coscienza minima", quali: Pet, elettroencefalogramma ad alta densità, risonanza magnetica funzionale, stimolazione magnetica transcranica. La comunità scientifica ha adottato nel tempo protocolli di accertamento più elaborati di quelli di Harvard, in seguito a nuove scoperte scientifiche. Non tutti questi protocolli sono finalizzati a una risposta in merito alla morte cerebrale del tipo "sì/no", indispensabile per avviare un trapianto, quanto alla definizione di una serie di stati intermedi fra il coma irreversibile e la piena coscienza, e l'eventuale possibilità di terapie mirate di recupero.
I centri di Liegi e Glasgow hanno definito un scala che permette di assegnare un punteggio ai pazienti in coma profondo, stato vegetativo e coscienza minima, inizialmente nel 1985 basata su test classici di stimolazione muscolare, ma nel 2002 hanno anche definito una nuova scala (Echelle de récupération de coma) che include esami clinici e test comportamentali.
La prima legge ad hoc (235 del 3 aprile 1957), Trapianti con l’uso di parti di cadavere, consentiva solamente riscontri diagnostici ed autopsie. Il prelievo da cadavere delle cornee e del bulbo oculare era consentito quando il soggetto aveva dato in vita l’autorizzazione, e poteva comunque effettuarsi solo dopo aver accertato la morte, trascorse 24 ore dal decesso. Il Dpr 300 del 20 gennaio 1961 (ed i successivi Dpr 1156/1965 e 78/1970) arricchì l’elenco delle parti prelevabili da cadavere, rendendo anche possibile il prelievo di ossa, muscoli, tendini e vasi sanguigni. Una legge particolare fu quella del giugno 1967 nella quale si estese la possibilità di prelievo da vivente a scopo terapeutico, limitando però tale possibilità al solo rene, e sancendo rigidamente la gratuità dell’atto. La materia è stata riordinata con la legge 644 del 1975. Tale norma ha aperto la strada al trapianto di quasi tutte le parti del corpo, escludendo encefalo e gonadi, e rendendo ammissibile il prelievo «qualora l’estinto non abbia disposto contrariamente in vita, in maniera non equivoca e per iscritto». Nonostante questa modifica, analogamente a quanto avveniva in molti paesi europei, permaneva un duplice criterio di accertamento della morte: il «criterio cardiaco» e quello «cerebrale», facendo sorgere spesso incomprensioni con i parenti del defunto e rendendo le opposizioni al prelievo molto frequenti. Per ovviare a questi dilemmi, venne istituita una Commissione di tre medici, cioè un medico legale, un anestesista-rianimatore ed un neurologo, con il compito di accertare l’exitus secondo questi nuovi parametri. La successiva legge 198 del 1990 semplifica le indicazioni sul luogo del prelievo per agevolare il reperimento degli organi da destinare al trapianto terapeutico. Tali operazioni possono ora verificarsi presso le strutture pubbliche ospedaliere anche senza preventiva autorizzazione, ferme restando le licenze del ministero della sanità. I medici autorizzati ad effettuare il prelievo delle parti di cadavere ed il successivo trapianto devono essere diversi da quelli della commissione che accerta la morte. Le difficoltà e le questioni correlate alla duplice definizione di accertamento della morte sono state invece superate con la legge 578 del dicembre 1993. Viene ammessa un’unica definizione di morte, quella cerebrale, che si identifica con la «cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo». 
In Italia è in vigore la legge 91, promulgata nel 1999 con un colpo di mano, a chiusura della legislatura, sotto il governo D’Alema. Dal punto di vista legale, viene considerato donatore chiunque non abbia espresso intenzione di non esserlo; un consenso in tal caso «obbligatoriamente tacito», visto lo stato di coma, che trovo ingiusto e opportunista. Molte persone che non hanno mai neppure preso in considerazione il problema vengono legalmente identificate come disponibili. E vero che prima dell'espianto viene fatto firmare un consenso informato ai parenti, spesso in condizioni di grave confusione emozionale. Ma con quale diritto un parente decide della vita di un congiunto e con che tipo di informazione? Il parente è morto o è moribondo?

L'uso del termine «morte» riferito al cervello è chiaramente strumentale: evoca l'idea che quell'individuo è realmente morto. Il sostenere che «non c'è più niente da fare» e che il paziente è moribondo bloccherebbe di fatto la possibilità legale di espiantare gli organi. La pratica degli espianti verrebbe vissuta con tutt'altra consapevolezza nella popolazione e negli operatori sanitari. I parenti probabilmente non si sentirebbero in grado, giustamente, di prendersi questa grande responsabilità. Se il paziente è moribondo non può essere espiantato. Si commetterebbe un omicidio. È chiaro che l'abolizione della pratica di espianto da individui dichiarati «cerebralmente morti» toglie una opzione terapeutica ad alcuni pazienti, oltre che notorietà e immagine ad alcuni chirurghi.

Al termine degli anni '60 molti chirurghi d'eccellenza, specialmente nordamericani, dopo anni di sperimentazioni su animali, erano perfettamente in grado di eseguire trapianti cardiaci sull'uomo; ciò che li bloccava erano problemi etici e soprattutto legali: la certificazione di morte poggiava sul tradizionale criterio di arresto irreversibile cardiocircolatorio: non si poteva togliere un cuore battente ad un donatore senza incorrere nel reato di omicidio volontario. L’ intervento venne accolto molto favorevolmente dal governo sudafricano, impegnato nel tentativo di recuperare visibilità internazionale  a causa della segregazione razziale degli autoctoni.  

Per non restare «arretrata» rispetto alla chirurgia sudafricana, la comunità scientifica aveva a disposizione due possibilità: condannare l'espianto del cuore battente come inammissibile sul piano morale e legale, perché mortale per il donatore, o cambiare la definizione di morte. Si preferì scegliere la seconda opzione che non risolse contestualmente l'aspetto etico.  Per stabilire se un individuo fosse morto, un tempo bastavano l'accertamento della protratta assenza di attività cardiaca e delle conseguenti alterazioni anatomiche: rigor mortis, chiazze ipostatiche, iniziali segni di putrefazione tissutale.
Il medico era chiamato, in qualità di esperto, a certificare con atto ufficiale quello che il buon senso comune e l'esperienza della vita consideravano essere un cadavere; egli era in altre parole un ufficiale testimone, garante di un evento già avvenuto. Con l'introduzione del concetto di morte cerebrale = morte totale, i medici mutano di ruolo. Essi certificano qualche cosa di nuovo e di stupefacente: esistono dei cadaveri che hanno il cuore e la circolazione perfettamente funzionante, una efficiente funzione respiratoria, seppur supportata da apparecchiature, normali funzioni renali ed epatiche nonché digerenti; essi possono addirittura, se debitamente assistiti, portare a termine delle gravidanze. Che i cadaveri possano mantenere tutte queste mirabili funzioni non è solamente contrario al buon senso comune, ma ontologicamente falso. La comunità medica ha di fatto forzato la mano al legislatore, appropriandosi di un ruolo che non gli compete poiché la medicina, notoriamente, non è una scienza: è passata dall'attestare l'avvenuta morte a quello di stabilire il momento del trapasso, utilizzando tecnicismi esoterici, nel senso di difficilmente valutabili dai non addetti ai lavori. La morte infatti avviene quando l'anima, spirito vitale, si distacca dal corpo. Questo momento non può essere identificato tramite strumenti scientifici; esso ha una dimensione trascendente, è un atto morale e come tale non imbrigliabile da metodi e diagnostiche strumentali, per quanto sofisticati essi siano. La Chiesa cattolica ha sempre tenuto indebita considerazione questa impossibilità di stabilire il preciso momento del trapasso. Basti ricordare un'importantissima ricaduta nelle pratiche sacramentali: l'Estrema Unzione e l'Assoluzione delle colpe, sacramenti riservati ai vivi, sono amministrabili sub condicione sino a due ore dopo la constatazione dell'arresto cardiocircolatorio. Ogni organo non alimentato, seppur in tempi diversi, prima riduce e poi sospende la propria funzione; solo successivamente, e non necessariamente in maniera contemporanea alla sospensione funzionale, si determinano profonde alterazioni anatomiche tali da rendere irreversibili le funzioni e il mantenimento della vita. Nel famigerato rapporto di Harvard veniva proposto che lo stato di irreversibilità dovesse essere certificato utilizzando metodi puramente clinico-funzionali.

Dal punto di vista concettuale, ma anche pratico, non si può ritenere che la sola sospensione protratta di una funzione sia l'espressione della distruzione irreversibile di un organo. In cardiologia, ad esempio, esiste una sindrome nota con il nome di «Tako Tsubo» 2: un paziente che ha subìto un forte stress emotivo si presenta con forte dolore toracico, alterazioni dell'elettrocardiogramma come da infarto cardiaco acuto, ecocardiogramma e ventricolografia che dimostrano la totale assenza della funzione contrattile del muscolo cardiaco estesa a tutta la sua parte apicale ed esami del sangue come da sofferenza cardiaca. In altre parole, ci si trova di fronte ad un quadro che potrebbe essere definito come necrosi (morte) di una estesa parte del cuore. Sorprendentemente le coronarie (arterie che portano il nutrimento al cuore e che si chiudono quando si ha un infarto) in questi pazienti sono pervie. E ancora più sorprendentemente, la contrattilità cardiaca e la forma del cuore ritornano spontaneamente perfettamente nella norma, trapianto di cuore anche dopo diverse settimane dall'evento acuto. L'imbarazzo della comunità scientifica cardiologica internazionale resta tutt'ora grande, anche perché non se ne conosce ancora la causa. Se tale reversibilità della funzione resta inspiegata nel cuore, organo sicuramente funzionalmente più semplice del cervello, sorge spontaneo il dubbio di come si possa accertare la irreversibilità funzionale del cervello, organo straordinariamente più complesso e per la maggior parte delle sue funzioni tutt'ora misterioso. Un altro fenomeno cardiologico che pone l'attenzione sulla non equivalenza tra protratta assenza di funzione contrattile cardiaca e morte cellulare (infarto) è il fenomeno dello «stordimento» miocardico e della «ibernazione». In tali situazioni, parti del cuore restano immobili come se fossero morte (alterata funzione) ma le cellule rimangono vitali e possono, con opportune terapie, essere riportate allo stato di normale funzionalità. Nel cervello esistono analoghe alterazioni funzionali che non possono e non devono essere considerate espressione di danno irreversibile e che, se correttamente trattate, risultano reversibili. Si tratta della cosiddetta «penombra ischemica» cerebrale, l'analogo neurologico della sindrome di «Tako Tsubo» o del miocardio stordito o ibernato. Il definire «irreversibile» una funzione significa applicare una categoria di giudizio assoluta. Il progresso scientifico e tecnologico nell'assistenza ai pazienti comatosi sposta continuamente il confine della «irreversibilità» funzionale, svuotando la definizione dalla sua presunzione assolutista. Le diverse società scientifiche nazionali si sforzano quindi di cercare di identificare degli strumenti da proporre come sicuramente diagnostici di danno anatomico al quale corrisponda una irreversibilità della funzione.

Tali criteri, seppure applicati, sono stati sottoposti a continue modifiche, a testimonianza della loro temporanea inadeguatezza; essi sono oltre tutto differenti nei diversi Stati. Un dichiarato «morto cerebrale» con criteri italiani non sarebbe «abbastanza» morto in un altro Paese. Ciò imbarazza non poco: se non esiste un sistema comune per definire una morte, sorge spontaneo il dubbio della inadeguatezza di qualche certificazione. La morte di un individuo invece deve essere considerata una verità oggettiva, certa, assoluta, da constatare con criteri univoci e inequivocabili. Non è lecito utilizzare parametri di giudizio che si riferiscano «allo stato attuale delle conoscenze» e che normalmente il medico applica nelle diagnosi e alle cure delle malattie.
È stato da sempre così per ben più banali necessità di questioni ereditarie. La teoria che supporta il concetto della «diagnosi di morte cerebrale = morte totale» poggia sull'idea che il cervello sia dotato di una funzione coordinatrice globale dell'essere vivente; persa tale caratteristica, predazione degli organi l'organismo è destinato ad evolvere in una sorta di caotica e letale disincronizzazione funzionale. Che tale concetto sia erroneo è stato dimostrato da studi osservazionali e da testimonianze di casi clinici sopravvissuti per anni, seppur assistiti, ai criteri diagnostici di «morte cerebrale». Qualche sostenitore della pratica dei trapianti, pur ammettendo la vitalità del donatore, giustifica l'espianto d'organi a cuore battente affermando che ad un «essere» in tali condizioni non può essere riconosciuto lo status di persona e quindi perderebbe ogni diritto. Consueto appiglio ideologico già utilizzato in altri contenziosi bioetici (embrioni - aborti - eutanasia). È assolutamente inconfutabile, quindi, che il vero fine di queste certificazioni ha lo scopo di poter rendere disponibili organi vivi ed integri da trapiantare. Un fine utilitaristico quindi che, nel momento in cui l'espianto di organi fosse effettuato da un individuo non morto, perderebbe di fatto la sua presunta valenza umanitaria. Non si può allungare la vita ad un uomo malato o forse migliorarne la qualità, sopprimendone un altro. Tutto ciò sarebbe raccapricciante; evoca una sorta di primitiva e bestiale depredazione fatta a danno delle persone più indifese. Una specie di «rottamazione» dell'essere umano. Vi sono inoltre altre questioni che devono essere considerate non solo sotto il profilo strettamente tecnico. La domanda è: una vittima di incidente con trauma cerebrale che risulta essere candidato ad espianto d'organi è curato dall'inizio alla fine con il massimo delle risorse scientifiche a disposizione per cercarne il recupero o è semplicemente tenuto in osservazione in quanto raro candidato all'espianto? La risposta ufficiale non può che essere una: è stato fatto tutto il possibile.  

Questi pazienti sono stati sottoposti ad ipotermia precoce, pratica che è in grado di favorire il recupero di funzioni in penombra ischemica, o a terapie ormonali appropriate? Come mai in alcuni Stati, Italia compresa, viene applicato, quale criterio di giudizio di morte cerebrale, il test dell'apnea (sospensione del supporto ventilatorio assistito per diversi minuti, stando a vedere se vi è spontanea ripresa della funzione respiratoria) che provoca un grave insulto cerebrale, potenzialmente in grado di distruggere un encefalo in penombra ischemica? Un paziente a cui è stata certificata la «morte cerebrale», che mantiene la ossigenazione corporea tramite assistenza ventilatoria meccanica e che, se venisse sospeso il supporto assistenziale ventilatorio, probabilmente in un tempo più o meno breve andrebbe incontro ad arresto cardiaco irreversibile, non sarebbe meglio definibile come moribondo?
L'essere umano è titolare di un vitale stato di diritto; la certificazione della morte è un atto medico che stabilisce il cessare di tale stato; esso deve solo certificare la non-vita. È lecito certificare una non-vita e quindi il cessare di uno stato di diritto tramite una certificazione, peraltro di dubbio valore, dell'irreversibilità funzionale di un organo? Ammesso e non concesso che un paziente sia realmente in coma irreversibile, la morte cerebrale è veramente la morte dell'essere umano?
Non è lecito commettere un'azione immorale per un fine intenzionalmente buono. Il togliere validità all'equivalenza morte cerebrale = morte totale, implica per gli «espiantatori» l'automatica accusa di omicidio volontario premeditato e il coinvolgimento di una vasta ed eterogenea popolazione di collaboratori più o meno consapevoli, considerabili come complici. Si rende necessario quindi fare chiarezza etica sulla cosiddetta diagnosi di «morte cerebrale» finalizzata ai trapianti. In ciò, il magistero della Chiesa cattolica post-conciliare, anche grazie ad un linguaggio tutt'altro che definitorio, non ci aiuta molto. Nel 2005, la Pontificia Accademia delle Scienze si trovò d'accordo nel ritenere che la sola morte cerebrale non è la morte dell'individuo e che il criterio di morte cerebrale, privo di attendibilità scientifica, dovesse essere abbandonato. Il vescovo Marcelo Sanchez Sorondo, allora cancelliere, dispose che gli atti non venissero pubblicati. Nel 2008, la stessa Pontificia Accademia delle Scienze, ignorando completamente le indicazioni date nel 2005, provò a fare chiarezza nel merito con la seguente definizione: «La morte cerebrale non è sinonimo di morte, non implica la morte né è pari alla morte, ma "è" morte». Chi farà chiarezza su questa cosiddetta «chiarezza»?


Riferimenti:













































DPR 300/1961: "Approvazione del regolamento per l'esecuzione della legge 2 aprile 1957, n.235, concernente il prelievo di parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico"

Legge 83/1961: "Norme per il riscontro diagnostico sui cadaveri"

Decreto ministeriale 7 novembre 1961: "Modalita' concernenti l'applicazione dell'art. 5 della legge 235/1957

DPR 1156/1965: "Modifica all'art. 1 del regolamento concernente il prelievo di parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico approvato con DPR 300/1961"
Legge 458/1967: "Trapianto del rene tra persone viventi"

Legge 519/1968: "Modifiche alla legge 235/1957"

DPR 128/1969: "Ordinamento interno dei servizi ospedalieri"

Decreto ministeriale 11 agosto 1969: "Modalita' concernenti l'applicazione dell'art. 5 della legge 235/1957"

Decreto ministeriale 9 gennaio 1970: "Determinazione delle metodiche per l'accertamento della morte nei soggetti sottoposti a rianimazione per lesioni cerebrali primitive"

DPR 78/1970: "Modifica dell'art. 1 del DPR 300/1961 e modificato con DPR 1156/1965"

Legge 644/1975: "Disciplina dei prelievi di parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico e norme sul prelievo dell'ipofisi da cadavere a scopo di produzione di estratti per uso terapeutico"

DPR 409/1977: "Regolamento di esecuzione della legge 644/1975"

Decreto ministeriale 14 gennaio 1982: "Autorizzazione al prelievo di cornea ai fini di trapianto terapeutico al domicilio del soggetto donante"

Legge 198/1990: "Disposizioni sul prelievo di parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico"

Decreto ministeriale 17 giugno 1992: "Modificazioni ai decreti ministeriali 24 gennaio 1990 e 30 agosto 1991 in materia di trapianti d'organo e di cornea da cadavere"

Legge 301/1993: "Norme in materia di prelievi ed innesti di cornea"

Legge 578/1993: "Norme per l'accertamento e la certificazione di morte"

Atto di intesa 25 novembre 1993

Decreto 18 marzo 1994: "Attribuzione al centro di riferimento per i trapianti della funzione di coordinamento operativo nazionale delle attivita' di prelievo e di trapianto di organi e tessuti"

Decreto 582/1994: "Regolamento recante le modalita' per l'accertamento e la certificazione di morte"

DPR 694/1994: "Regolamento recante norme sulla semplificazione del procedimento di autorizzazione dei trapianti"

Legge 91/1999: norme per il prelievo ed il trapianto di organi e tessuti

Decreto 8 aprile 2000: disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti, attuativo delle prescrizioni relative alla dichiarazione di volontà dei cittadini sulla donazione di organi a scopo di trapianto.


           






fonte: htpps://sulatestagiannilannes.blogspot.it

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