martedì 30 agosto 2016

terremoto: avvertimento all'Italia!

tratto dal sito online dell'ambasciata USA a Roma

 di Gianni Lannes


Pressione e ricatto: le catastrofi indotte sono una versione aggiornata della strategia della tensione. Destabilizzare per stabilizzare? 

A che serve realmente il Muos imposto all'Italia in Sicilia? Washington dice testualmente: "a fare la guerra in tutto il mondo". A chi giova una strage sismica nella colonia tricolore? Il movente a volte non è subito evidente. La Francia il suo terremoto di sangue lo ha già avuto a più riprese, noi lo subiamo adesso con 284 e più vittime. E se il prossimo sarà in Germania, il cerchio si chiude, o hanno già dato con lo scandalo Volkswagen? Il precedente avvertimento, mandato in onda dagli alleati il 6 aprile 2009, previo sgombero segreto della prefettura e della protezione civile a L'Aquila, non era stato recepito da Berlusconi, poi estromesso bruscamente nel 2011.

Nel nostro caso tre fatti sono certi: la natura non c'entra ma viene utilizzata come paravento (la fragilità sismica è un utile copertura, così si può sempre addossare la responsabilità a Gaia); i terremoti possono essere indotti dalla mano dall’uomo; l’arma ambientale è vietata dalla convenzione internazionale Enmod dell’Onu, entrata in vigore nel 1978, ratificata dalla legge italiana numero 962 del 1980, a firma del presidente Sandro Pertini.

Fantapolitica? Attenzione: questo sisma calibrato a 4 chilometri di profondità con magnitudo 6.2 (scala Richter) viene subito dopo il vertice di Ventotene. Forse a qualcuno questo triangolo - Hollande- Merkel-Renzi - non è piaciuto, ed allora hanno scatenato un assaggio della potenza. Per l'ennesima volta potrebbe averci fatto vedere che è qualcuno che non scherza affatto, e se deve impartire una lezione severa, morti compresi, la infligge e basta senza tanti pudori; e se non la si apprende al volo, ne dà una ancora più severa. L'ineletto Renzi a metà giugno 2016 aveva fatto per la prima volta, affermazioni non allineate al "programma USA" e inoltre con i complimenti di Putin. Riporta il quotidiano la repubblica:

«Guerra fredda fuori dalla storia". Chiamato direttamente in causa, il presidente del Consiglio afferma: "Noi abbiamo bisogno di considerare che la parola guerra fredda non può stare nel vocabolario del terzo millenio. E' fuori dalla storia, fuori dalla realtà ed è inutile. Noi abbiamo bisogno che Ue e Russia tornino ad essere buoni vicini di casa. Russia ed Europa condividono gli stessi valori».

Lo vuole l'Italia, in particolare. "Il mio Paese - dice Renzi - vuole rafforzare la sua presenza economica in Russia. E sarebbe felice che le sue tecnologie per l'agricoltura fossero applicate in Russia per rafforzare quel legame finché persiste il bando di Mosca sui cibi della Ue". Quanto agli Usa, osserva Renzi, "sono un grande modello di democrazia da cui ho molto da imparare. Anche l'Italia - aggiunge il premier - lavorerà con chiunque sarà il prossimo presidente, personalmente preferirei dire chiunque sarà 'la' prossima presidente", auspicando la vittoria di Hillary Clinton.

Al che Putin interviene a sua volta per lodare pubblicamente il presidente del Consiglio: "Renzi è un grande oratore, mi complimento con lui per l'ultimo intervento. L'Italia può andare fiera di un premier del genere".

Mi scrive Giovanni Lopez: «Nella serata del 21 agosto scorso sono stato testimone di una tempesta potente elettrica: da casa mia (Firenze est), dalle ore 21.30 circa, ho visto eccezionali fulmini in un arco talmente vasto (da circa 15 a circa 60 gradi dal nord) che ho subito pensato che non poteva essere un fenomeno naturale, forse perché non avevo mai visto niente di simile in vita mia: per quanto potenti fossero quei fulmini (che non erano verdognoli o azzurrognoli come si vede nei normali temporali ma erano di luce bianco-rosacea) non ho sentito nemmeno  il più piccolo tuono durante tutta la durata del fenomeno e cioè dalle 21.30 circa alle 00.30 circa del 22 agosto».  

Nel mondo in cui sopravviviamo preannunciato da Orwell al termine della seconda guerra mondiale, modificare e adattare la storia e la scienza ai fenomeni innaturali creano una dilagante dissonanza cognitiva. Nel suo saggio La libertà di stampa (1945) Orwell ha scritto: «libertà significa il diritto di dire alla gente quello che la gente non vuol sentire».

Stiamo facendo come sempre tutto quello che vogliono i padroni USA, non vedo il motivo di ricattarci con una mossa del genere. Chi lo sa. Forse, è per qualcosa che dovremo fare in futuro?

riferimenti:



fonte: https://sulatestagiannilannes.blogspot.it

lunedì 29 agosto 2016

il grande fratello


di Gianni Lannes

1984 è un romanzo pubblicato nel 1949, o meglio è una rappresentazione profetica della sopraffazione totalitaria sull’individuo e della completa distruzione di ogni autonomia dell’essere umano. In sostanza, quello che viviamo adesso su scala mondiale.

Il volume l’ha scritto un autore scomodo, Eric Arthur Blair (nato in India nel 1903, ma di origini scozzesi), meglio noto come George Orwell, morto a soli 47 anni. Un uomo d'altri tempi: combattente per la libertà, saggista e romanziere. Un essere umano per cui nutro rispetto ed ammirazione.

Questo libro è di cogente attualità. E’ il grande fratello che tutto vede e tutto sa. I suoi occhi sono le telecamere che spiano di continuo nella case e nelle cose, anzi nelle persone; il suo braccio è la psicopolizia che interviene al minimo sospetto.

Tutto è permesso tranne pensare con la propria testa, tranne amare se non per riprodursi, tranne divertirsi se non con i programmi televisivi di propaganda. La tecnologia è il mezzo fondamentale di controllo sociale, che serve anche alla persecuzione degli oppositori politici (veri) mediante la strumentalizzazione dei mass media.
La realtà descritta da Orwell è la somma di tutte quelle tendenze negative che egli vide già nel suo tempo. Per lo scrittore il futuro è già presente, nel momento in cui egli scrive il processo di degenerazione sociale innescato dal capitalismo è già avviato, la massificazione ha iniziato a corrodere il destino individuale e collettivo. Non un futuro remoto, bensì addirittura un anno del suo stesso secolo breve.

La sua denuncia degli opposti totalitarismi lo vide inviso alla destra come alla sinistra. Orwell non era mai stato comunista. Fu nell’andare a combattere in Spagna contro i fascisti e in difesa della repubblica che lo trasformò in uno scrittore socialista. In quell’occasione difese soprattutto gli anarchici arrestati in massa ed assassinati dagli stalinisti. E denunciò le esecuzioni sommarie ordinate da Stalin, nonché le successive purghe, taciute in Italia dal criminale Palmiro Togliatti, che censurò addirittura gli scritti di Antonio Gramsci e favorì dal suo posto al Komintern, l'eliminazione di un migliaio di italiani esuli in Russia.

L’opera che particolarmente amo di lui è Omaggio alla Catalogna - edito nel 1938 - su cui il regista Ken Loach ha basato il film Terra e libertà. Oltre che un diario di trincea, è la storia di una rivoluzione tradita, sacrificata alle direttive della politica staliniana. Da allora in poi, come dirà nel saggio Why I Write (1946), ogni riga di Orwell sarà spesa contro il totalitarismo, quello che era andato a combattere e ciò che aveva inaspettatamente incontrato.

Nel 1945 uscì dopo vari rifiuti editoriali il memorabile La fattoria degli animali, scritto tra il 1943 e il 1944. Qui si trovano le sue idee politiche di fondo: l’elogio della rivoluzione, l’odio per coloro che si fanno corrompere dal potere e tradiscono la rivoluzione, e una passione per l’uguaglianza mista a un amore straordinario per la libertà.

L’inesauribile vena polemica che nei saggi negli articoli fece di Orwell un implacabile critico, gli costarono letterariamente e politicamente l’isolamento, e numerose vicissitudini editoriali. Orwell mi è caro anche perché non ebbe una vita facile. Il suo primo libro pubblicato fu Down and Out in Paris and London (uscito nel 1933), narra proprio il suo periodo randagio.

I motivi orwelliani, oltre al totalitarismo, sono la perdita di memoria storica indotta dai mezzi di “informazione”, la corruzione del linguaggio, l’annullamento dell’identità individuale, convogliata in una raggelante descrizione di società del futuro.

L’ansia per la verità, l’imparzialità di giudizio e l’onestà intellettuale imprimono un carattere di denuncia alla sua opera.

Nel suo saggio La libertà di stampa (1945) egli scrive: «libertà significa il diritto di dire alla gente quello che la gente non vuol sentire».

fonte: https://sulatestagiannilannes.blogspot.it

martedì 23 agosto 2016

Aleksandra Aleksandrovna Ekster


COSTUME DI SCENA


TRE FIGURE DI DONNE


COSTUME DI SCENA


MEANAD


AELITA


DISEGNO PER ROMEO E GIULIETTA


COSTUME DI SCENA

anche nota come Aleksandra Exter (in russo: Александра Александровна Экстер?; è stata una pittrice, scenografa e costumista russa, appartenente al movimento dell'Avanguardia russa.

Aleksandra Grigorovič nacque nel 1882 a Białystok, in Polonia, allora provincia russa, da una colta famiglia dell'alta borghesia. Suo padre era un ricco uomo d'affari ed ella ricevette un'educazione conforme al suo ceto e al suo ambiente sociale: apprendimento del francese e del tedesco, lezioni private di disegno e di musica, ecc. Seguì anche, come uditrice, dei corsi alla Scuola d'Arte di Kiev.

Aleksandra sposò un avvocato di successo, Nikolaj Evgen'evič Ekster, e tenne con lui un salotto letterario e artistico sino al 1906. L'anno seguente trascorse qualche tempo a Parigi all'Académie de la Grande Chaumière a Montparnasse. Nel 1908 organizzò assieme a David Burliuk la mostra Le Maillon a Kiev. In seguito viaggiò molto, conducendo una vita realmente cosmopolita. Soggiornò infatti a Kiev, San Pietroburgo, Odessa, Parigi, Roma e Mosca.

A Parigi il conte e pittore russo Sergej Jastrebzov la introdusse nel giro di amicizie della baronessa Hélène Oettingen; ebbe così l'opportunità di conoscere personaggi importanti dell'arte e della cultura del suo tempo, come Guillaume Apollinaire, Georges Braque, Fernand Léger e Pablo Picasso.

I suoi lavori, all'inizio, furono influenzati dal geometrismo di Cézanne, poi dal cubismo-futurismo russo-ukraino. Partecipò a tutte le mostre d'arte della sinistra russa, fra cui quella di Valet de Carreau ed espose ugualmente in Francia e in Italia, contribuendo così alla diffusione in Russia delle innovazioni dell'avanguardia mondiale. Nel 1915 decorò il teatro Kamerny di Aleksandr Tairov a Mosca, ricoprendo con i suoi dipinti i muri, le scale, il vestibolo e il sipario.

Influenzata dal suprematismo di Kazimir Malevič, ma in conflitto con lui e per Vladimir Tatlin suo rivale, a partire dal 1916 Aleksandra dipinse dei quadri astratti. Non mostrò però tali opere sino all'anno seguente, il 1917, quando allestì presso il Valet de Carreau una retrospettiva dei suoi lavori degli ultimi dieci anni.

Soggiornò poi, per un certo tempo, a Kiev, sino al 1920, anno in cui ritornò a Mosca avendo assimilato le idee del costruttivismo russo. Nel 1921 espose i suoi lavori sotto il titolo di "Costruzioni di piani, costruzioni di forze", basandosi su una sua personale concezione del colore che era in aperta contraddizione con le teorie dello stesso costruttivismo. Nello stesso anno partecipò alla mostra "5x5=25", in compagnia di Aleksandr Rodčenko.

Nel 1922 inventò i costumi di scena per la Salomè di Oscar Wilde. Nel biennio 1923-1924 elaborò degli abiti moderni e disegnò dei padiglioni per le esposizioni agricole e industriali russe. Fece anche degli schizzi per i costumi di Aelita, un film di fantascienza di Jakov Protazanov. Nel 1924 collaborò all'organizzazione del padiglione sovietico per l'Esposizione Internazionale delle Arti di Venezia, esponendovi anche alcune sue opere.

Alla fine dello stesso anno Aleksandra emigrò finalmente in Francia con suo marito, ma continuò a presentare i suoi lavori nei padiglioni sovietici. Eseguì bozzetti di costumi e arredi, creò sculture luminose per l'appartamento berlinese della ballerina russa Elsa Krüger, fabbricò marionette, tenne corsi di scenografia e, dopo il 1936, illustrò libri per l'editore Flammarion.

Dal 1926 al 1930 fu insegnante nell'Accademia d'arte contemporanea di Fernand Léger e, dopo il 1933, realizzò a tempera delle miniature. Questa attività costituisce una fase molto particolare ed importante del periodo finale della sua carriera: il manoscritto "Callimaco" (traduzione francese del testo greco), da lei miniato, è considerato infatti uno dei suoi capolavori.

Nel 1936 partecipò all'allestimento della "Mostra del cubismo e dell'astrattismo" che fu aperta a New York. In seguito allestì solo delle mostre personali a Parigi e a Praga.

Aleksandra Ekster morì in un paesino alle porte di Parigi nel 1949, all'età di 67 anni.

fonte: Wikipedia

al bando vegani e vegetariani in Italia!



di Gianni Lannes


Non è fantascienza ma la nuda e cruda realtà nello Stivale; a breve infatti, non si sarà neanche più liberi di alimentare i bambini con cibi sani e naturali. Quali sono gli alimenti essenziali sotto dittatura? Ecco lo Stato di polizia, modello italidiota. La proposta di legge denominata «Introduzione degli articoli 572-bis e 572-ter del codice penale, concernenti il reato di imposizione di una dieta alimentare priva di elementi essenziali per la crescita a un minore di anni sedici (3972)» è stata presentata ufficialmente l’11 luglio scorso dall’onorevole Elvira Savino di Forza Italia.

Dal momento che non si possono occupare dei problemi seri del belpaese, adepti e seguaci di Berlusconi (in questo caso) e dell'ineletto Renzi (censura di internet), si trastullano con le imposizioni altrui. Invece di mettere al bando il cibo industriale, ovvero la spazzatura distribuita anche nelle scuole di ogni ordine e grado intendono perseguire chi vuole alimentare i propri figli come insegna la natura.

Peggio del regime alimentare (imposto) c’è il regime in piena regola come nel caso nostrano. Attenzione se passa questa legge lo Stato tricolore impone ai genitori cosa dare da mangiare ai propri figli. Chi trasgredisce i dettami imposti dalle autorità rischia fino a 7 anni di prigione. Invece di stroncare la mafia e le sue propaggini nello Stato, verrà perseguito penalmente quel genitore che «impone o adotta nei confronti di un minore degli anni 16, sottoposto alla sua responsabilità genitoriale o a lui affidato per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, una dieta alimentare priva di elementi essenziali per la crescita sana ed equilibrata del minore stesso».

Il veganismo è un modo di vivere rivoluzionario e unico, tanto più quello fruttariano, poiché esprime concretamente un rifiuto netto a qualsivoglia sfruttamento ed assassinio di animali. Ora, nessuno puòpermettersi di dire ai genitori (vegani o fruttariani) come alimentare i propri figli, visto che i genitori onnivori sanno solo fare disastri sui loro fin dalla più tenera età dei pargoli, allevati e trattati come fogne a cielo aperto che devono ingurgitare spazzatura spacciata per cibo per fare felici genitori, nonni e la società malata di schizofrenia.

Ormai si legifera in modo demenziale su ogni cosa. Questo atteggiamento  consente il massimo raggio d'azione del potere sulla vita di ognuno, quindi permea di repressione ogni comportamento.

A questo punto di follia parlamentare, propongo di esiliare per dieci anni qualsiasi politicante che proponga leggi liberticide contro il popolo, sulle basi dell'ignoranza e o la collusione di multinazionali quali quelle del settore farmaceutico o alimentare.  


riferimenti:






fonte: https://sulatestagiannilannes.blogspot.it

lunedì 15 agosto 2016

bavaglio al web, anche 6 anni di carcere per i blog scomodi

Sei anni di carcere per i cittadini, i blogger e le testate che pubblichino anche una sola informazione in grado di violare i dati personali o di ledere l’onore e la reputazione di qualsiasi soggetto, con confisca del telefono, del computer e rimozione del contenuto obbligatoria. È questa la novità di agosto (in realtà del 27 luglio) della proposta di legge C 3139 (prima firmataria la senatrice Dem Elena Ferrara) che, con l’accordo di tutte le forze politiche, eccetto alcuni parlamentari di opposizione che ne hanno contestato l’applicazione, verrà votato dalla Camera a partire dal 12 settembre prossimo. La norma che dovrebbe occuparsi di cyberbullismo, quindi teoricamente di tutela del minore, transitando alla Camera, con i relatori Dem Micaela Campana e Paolo Beni è divenuta, con i profondi ritocchi dei relatori e della Commissione riunite Giustizia e Affari sociali, una vera e propria norma ammazza-web, che riguarda anche e soprattutto ogni maggiorenne che si affaccia alla rete Internet.
E sì, perché diversamente dalla disposizione originaria approvata anche dal Senato, che era incentrata principalmente sulla tutela del minore, il testo uscito il 27 luglio,  è stato completamente stravolto, divenendo una norma repressiva sul web a tutti gli La senatrice Pd Elena Ferraraeffetti. Le Commissioni hanno approvato diversi emendamenti tra i quali questo testo: “2-bis. Ai fini della presente legge, con il termine ‘cyberbullismo’ si intende qualunque comportamento o atto, anche non reiterato, rientrante fra quelli indicati al comma 2 e perpetrato attraverso l’utilizzo della rete telefonica, della rete internet, della messaggistica istantanea, di social network o altre piattaforme telematiche. Per cyberbullismo si intendono, inoltre, la realizzazione, la pubblicazione e la diffusione on line attraverso la rete internet, chat-room, blog o forum, di immagini, registrazioni audio o video o altri contenuti multimediali effettuate allo scopo di offendere l’onore, il decoro e la reputazione di una o più vittime, nonché il furto di identità e la sostituzione di persona operate mediante mezzi informatici e rete telematica al fine di acquisire e manipolare dati personali, nonché pubblicare informazioni lesive dell’onore, del decoro e della reputazione della vittima”.
Nel testo e nelle altre disposizioni scompaiono i riferimenti ai minori al fine di delimitare l’ambito di applicazione della norma. In base a questa questa, qualsiasi attività, anche isolata (e quindi effettuata anche una sola volta), compiuta dai cittadini anche maggiorenni sul web conferisce la possibilità a chiunque (altra innovazione portata dalla Camera) di ordinare la cancellazione di contenuti, salva la possibilità che questa attività venga ordinata dal garante privacy. E chi non si adegua? Rimozione e L'avvocato Fulvio Sarzanaoscuramento dei contenuti e sanzione sino a 6 anni di carcere. In pratica le attività di critica sui social network, attraverso blog o testate telematiche, farà scattare la possibilità di richiedere la rimozione del contenuto, dell’articolo, del messaggio, di qualsiasi cosa insomma sia presente sul web, con la possibilità di far bloccare il contenuto anche rivolgendosi al garante privacy.
Un blog scomodo, una commento troppo colorito sul forum, una conversazione un po’ ardita tra maggiorenni su Whatsapp, qualsiasi pubblicazione di dati a opera di maggiorenni, qualsiasi notizia data su un blog o su una testata, e che riguardano maggiorenni, ricadranno in quella definizione e saranno oggetto di possibile rimozione. Da Facebook a Whatsapp ai blog tutto viene inserito nella furia iconoclasta del legislatore pronto a punire le attività peccaminose dei maggiorenni sul web. Con buona pace del cyberbullismo sui minori che è divenuto un elemento del tutto residuale della norma. Un bavaglio in piena regola. Per essere sicuri che chiunque potesse essere assoggettato a sanzione i relatori personalmente hanno pensato bene di far approvare Donatella Agostinelli, 5 Stelleuna nuova norma (l’articolo 6 bis della proposta) che prevede per tutti i cittadini la possibilità di essere sanzionati con un reato che prevede il carcere fino a 6 anni, e – si badi bene – la confisca di tutto quanto sarebbe servito per commettere il reato.
A opporsi a questa deriva sono stati solo un drappello di parlamentari del Movimento 5 Stelle, Baroni, Lorefice e Agostinelli, che si sono battuti duramente per il ritorno allo spirito originario della norma, ovvero alla tutela attraverso azioni di sostegno e di reazione rapida a beneficio dei minori. Senza però ottenere risultati a quanto pare, dal momento che a partire dal 12 settembre la Camera potrebbe varare definitivamente il testo uscito dalle Commissioni. C’è tempo fino all’8 settembre per emendamenti. Con la speranza che settembre non porti con sé, insieme al fresco, anche la prima norma liberticida per il web del 2016.
(Fulvio Sarzana, “Internet: si scrive cyberbullismo, ma si legge norma ammazza-web”, da “Il Fatto Quotidiano” del 4 agosto 2016).

fonte: www.libreidee.org

lunedì 8 agosto 2016

Natal'ja Sergeevna Gončarova


AUTORITRATTO, 1907


DONNE CON RASTRELLO, 1907


TOSATURA DELLE PECORE, 1907


DANZA, 1910


GABRIELE ARCANGELO, 1910


PAVONE AL SOLE, 1911


CICLISTA, 1913

in russo: Наталья Сергеевна Гончарова?, traslitterato anche come Natalia (o Natalja) Sergeevna Goncharova, è stata una pittrice russa.

Nel 1898 frequentò la scuola di Pittura, Scultura e Architettura di Mosca e conobbe il pittore Michail Larionov, suo futuro compagno: insieme furono i principali animatori del gruppo "Il Vello d'oro", a cui successivamente aderì anche un altro importantissimo esponente dell'avanguardismo russo: Kazimir Malevič.

Nel 1906 partecipò ad una mostra di pittori russi organizzata da Sergej Djagilev al Salon d'Automne di Parigi e rivelò il suo interesse per la pittura degli impressionisti, dei fauves e per la tradizione figurativa del suo paese.

Insieme al suo compagno organizzò a Mosca fra il 1907 e il 1913 diverse esposizioni della nuova arte quale il "Fante di quadri" includendo, oltre agli artisti russi, anche diversi esponenti della pittura francese.

La sua opera "Il Ciclista" : Il veloce avanzamento dell'uomo è reso attraverso la scomposizione dei piani cromatici e la ripetizione di marcate linee nere che riproducono sulla tela l'impressione dello spostamento simultaneo: non solo della bicicletta che corre sulla strada, ma anche quello ritmico del ciclista che con il busto asseconda la pedalata. La visione delle vie di un centro urbano si riflette nelle scritte, nei cappelli esposti in vetrine, nelle segnalazioni forse ferroviarie, in una mano con l'indice puntato, forse parte di un manifesto pubblicitario, nel pavimento della strada dissestato e nelle grate tutti colti in una ininterrotta sovrapposizione. Le impressioni di questi elementi sono catturate come da una moderna macchina cinematografica in rapida sequenza. Le immagini sono attraversate da raggi di luce che si proiettano in ogni direzione, connotando la composizione di una tensione ulteriore.

Dal 1909 al 1911 si dedicò alla pittura sacra manifestando il suo grande interesse per le icone russe della tradizione religiosa, ma successivamente, adottando i nuovi principi del futurismo ed allontanandosi dalle nuove esperienze artistiche francesi, diventò un'esponente di spicco del raggismo. Con Larionov, nel 1913, anno della pubblicazione del manifesto raggista, organizzò a Mosca l'esposizione "Il Bersaglio", aperta ai soli artisti russi.

Nel 1914 si trasferì definitivamente a Parigi con il compagno Michail Larionov e l'anno successivo espose le sue opere alla mostra L'Art décoratif théâtral moderne presso la galleria Sauvage. A Monaco di Baviera, nel 1926, espose alla seconda mostra del Blaue Reiter e successivamente allo Erster Deutscher Herbstsalon del Der Sturm di Berlino. Collaborò fino alla morte dell'impresario Djagilev, avvenuta a Venezia nel 1929, al disegno dei costumi ed alle scenografie dei Balletti Russi.

L'artista dedicherà tutto il resto della vita, senza abbandonare mai completamente la pittura, alla decorazione teatrale ed all'illustrazione di libri. Esporrà, spesso con Larionov, suo marito dal 1955, oltre che in Europa, anche negli Stati Uniti e in Giappone.

fonte: Wikipedia

venerdì 5 agosto 2016

estasi



Ekstase è un film del 1933, diretto da Gustav Machatý, con protagonisti Hedy Lamarr (allora Hedy Kiesler), Aribert Mog e Zvonimir Rogoz.

La pellicola contiene la prima scena di nudo integrale in un film, aspetto che contribuì alla sua fama, pur essendo oggetto di censure e talvolta rimosso dal mercato.

Trama

Una giovane moglie, Eva, scopre che il marito non mostra passione verso di lei. Per questo, rattristata e delusa, decide di lasciarlo e parte tornando dalla sua famiglia, dove decide di vivere per qualche tempo. Durante un bagno in un lago, in un boschetto nei pressi dell'abitazione dei suoi genitori, incontra un giovane e fra i due nasce un sentimento.

Produzione

Prodotto dalla società Elektafilm il film venne girato a Vienna (nell'atelier Schönbrunne) e a Praga.

Distribuzione

Il film uscì in Austria il 18 febbraio 1933.

Data di uscita

Il film venne distribuito in varie nazioni, fra cui:

Cecoslovacchia, Ekstase 20 gennaio 1933
Austria, Symphonie der Liebe 18 febbraio 1933
Francia 28 marzo 1933
Danimarca 18 settembre 1933
Finlandia, Hurmio 31 dicembre 1933
Italia, Estasi 2 agosto 1934
Germania, Symphonie der Liebe 8 gennaio 1935
Stati Uniti d'America, Ecstasy 24 dicembre 1940

Accoglienza

Il film all'epoca fece scalpore in quanto la protagonista, interpretata dall'attrice Hedwig Eva Maria Kiesler, nota con il nome d'arte di Hedy Lamarr, apparve completamente nuda in una scena del film. Era la prima scena di nudo integrale in un film, che contribuì alla notorietà dell'attrice ed alla fama del film, che sarà oggetto di censure e talvolta tolto dal mercato.

Il film, che venne vietato in alcuni paesi (in Italia venne presentato solo nel 1934 alla Mostra del Cinema di Venezia), fu uno dei primi film erotici della storia del cinema. Fritz Mandl, marito dell'attrice all'epoca del film, spinto dalla gelosia, cercò (inutilmente) di comprare tutte le copie esistenti al mondo del film per toglierle dalla circolazione.

fonte: Wikipedia

SPEZZONE 1

SPEZZONE 2

"morte cerebrale": omicidi per espiantare organi



di Gianni Lannes

Nemesi medica: ecco la genesi della tratta di organi, trapianti "legali" ed espianti fuorilegge, il passaggio da esseri a merci degli umani. Il nodo cruciale è tutto qui, mentre i Paesi aderenti aderenti all'Unione europea, tranne l'Albania, non hanno ratificato la convenzione internazionale sulla tratta di organi umani.  

Il 3 dicembre 1967, al Groote Schuur Hospital di Città del Capo, in Sudafrica, un cardiochirurgo sudafricano, Christiaan Neethling Barnard, realizzò il primo omotrapianto cardiaco: il cuore di Denise Darvall, una giovane donna vittima di un incidente stradale, venne trapiantato in un cardiopatico diabetico, tale Louis Washkansky (che morì 18 giorni dopo).

Il 5 agosto 1968 un gruppo di medici di Harvard pubblicò sul Journal of American Medical Association, un rapporto in cui fissava incredibilmente il momento della morte non quando il cuore non batte più, ma quando si registra la perdita irreversibile dell’ attività cerebrale. In seguito, tale criterio privo di scientificità, è stato adottato da tutta, o quasi, la comunità medica internazionale. Gli autori dichiaravano nella pubblicazione che il cambiamento dei criteri di definizione di morte si rendevano necessari oltre che per evitare l'accanimento terapeutico, anche per risolvere problemi di approvvigionamento d'organi per trapianto da donatore con cuore battente. Infatti, nel testo è scritto: «Criteri obsoleti di definizione di morte possono portare a controversie nell'ottenere organi a fine di trapianto». 




A questo punto, infranto l'ultimo tabù, il concetto di morte cerebrale conquistò fulmineamente una grossa fetta della comunità sanitariainternazionale, provocando una serie di problemi medico-scientifici, legati alla corretta diagnosi ed alla corretta previsione prognostica, oltre che legali, antropologici, filosofici, etici e religiosi. Comunque, in tal modo venne sostituito il concetto di morte dell'individuo secondo i classici criteri di arresto irreversibile cardio-circolatorio, con quello della morte di un organo: la presunta "morte cerebrale".  

Questa mera convenzione, ovvero una nuova ma assurda definizione della morte, è servita a favorire la tecnica e la pratica di espianti e trapianti di organi umani. In ogni caso, se il cervello dell’essere umano non manda più segnali, non vuol dire che la persona è morta.



Gli scientisti fanno una distinzione fra l'individuo e il suo corpo. Nella cosiddetta “morte cerebrale” l'individuo non esisterebbe più, e ci sarebbe solo il suo corpo. Ma che differenza è mai questa? L’essere umano è il suo corpo, e quando il suo cuore batte e il sangue pulsa nelle vene è vivo. Nel 2002 c'è stato il caso (non l'unico) di una donna incinta data per “clinicamente morta”, che ha continuato a portare avanti la sua gravidanza. Cosa significa? Che quando i medici espiantano un organo ad un umano classificato in “morte cerebrale”, ossia solo in base ad una mera definizione, in realtà lo strappano ad una persona ancora viva. E non potrebbe essere diversamente, perchè se fosse realmente morta lo sarebbero anche i suoi organi che quindi non potrebbero essere più utilizzati per gli espianti e i trapianti. E questo è tanto più vero dato che, delle persone considerate ufficialmente morte vengono tenute artificialmente in vita per poter procedere appunto all'espianto.




I protocolli di Harvard ispirano ancora oggi la maggior parte delle legislazioni in materia di accertamento della morte cerebrale, fra le quali la legge italiana. Nella legislazione italiana la materia è regolata dalla Legge 29 dicembre 1993, n.578 (norme per l'accertamento e la certificazione di morte), dal Decreto 22 agosto 1994, n.582 del Ministero della Sanità (regolamento recante le modalità per l'accertamento e la certificazione di morte) e dal Decreto 11 aprile 2008 (G.U. n.136 del 12/06/2008, 'Aggiornamento del decreto 22 agosto 1994, n. 582...'). La diagnosi di morte si esegue con un elettrocardiogramma in maniera continuativa per 20 minuti, come esprime la legge 578/93. (morte accertata con criteri cardiaci). Il tempo di osservazione per l'accertamento della morte cerebrale è di 6 ore per ogni fascia d'età, come sancito dal decreto ministeriale del 2008 (precedentemente vi era una distinzione in 6 ore nel adulto, 12 nel bambino sotto i 5 anni, 24 nel bambino sotto un anno). Queste norme non impongono l'utilizzo delle più moderne tecniche di stimolazione cerebrale, tecniche di immagine e delle più avanzate strumentazioni per rilevare l'esistenza di qualsiasi attività cerebrale. Non sono previste altre tecniche che oggi permettono di visualizzare dall'interno l'attività cerebrale con immagini di alta qualità, e di meglio distinguere fra uno stato vegetativo all'apparenza senza vie d'uscita e uno "stato di coscienza minima", quali: Pet, elettroencefalogramma ad alta densità, risonanza magnetica funzionale, stimolazione magnetica transcranica. La comunità scientifica ha adottato nel tempo protocolli di accertamento più elaborati di quelli di Harvard, in seguito a nuove scoperte scientifiche. Non tutti questi protocolli sono finalizzati a una risposta in merito alla morte cerebrale del tipo "sì/no", indispensabile per avviare un trapianto, quanto alla definizione di una serie di stati intermedi fra il coma irreversibile e la piena coscienza, e l'eventuale possibilità di terapie mirate di recupero.
I centri di Liegi e Glasgow hanno definito un scala che permette di assegnare un punteggio ai pazienti in coma profondo, stato vegetativo e coscienza minima, inizialmente nel 1985 basata su test classici di stimolazione muscolare, ma nel 2002 hanno anche definito una nuova scala (Echelle de récupération de coma) che include esami clinici e test comportamentali.
La prima legge ad hoc (235 del 3 aprile 1957), Trapianti con l’uso di parti di cadavere, consentiva solamente riscontri diagnostici ed autopsie. Il prelievo da cadavere delle cornee e del bulbo oculare era consentito quando il soggetto aveva dato in vita l’autorizzazione, e poteva comunque effettuarsi solo dopo aver accertato la morte, trascorse 24 ore dal decesso. Il Dpr 300 del 20 gennaio 1961 (ed i successivi Dpr 1156/1965 e 78/1970) arricchì l’elenco delle parti prelevabili da cadavere, rendendo anche possibile il prelievo di ossa, muscoli, tendini e vasi sanguigni. Una legge particolare fu quella del giugno 1967 nella quale si estese la possibilità di prelievo da vivente a scopo terapeutico, limitando però tale possibilità al solo rene, e sancendo rigidamente la gratuità dell’atto. La materia è stata riordinata con la legge 644 del 1975. Tale norma ha aperto la strada al trapianto di quasi tutte le parti del corpo, escludendo encefalo e gonadi, e rendendo ammissibile il prelievo «qualora l’estinto non abbia disposto contrariamente in vita, in maniera non equivoca e per iscritto». Nonostante questa modifica, analogamente a quanto avveniva in molti paesi europei, permaneva un duplice criterio di accertamento della morte: il «criterio cardiaco» e quello «cerebrale», facendo sorgere spesso incomprensioni con i parenti del defunto e rendendo le opposizioni al prelievo molto frequenti. Per ovviare a questi dilemmi, venne istituita una Commissione di tre medici, cioè un medico legale, un anestesista-rianimatore ed un neurologo, con il compito di accertare l’exitus secondo questi nuovi parametri. La successiva legge 198 del 1990 semplifica le indicazioni sul luogo del prelievo per agevolare il reperimento degli organi da destinare al trapianto terapeutico. Tali operazioni possono ora verificarsi presso le strutture pubbliche ospedaliere anche senza preventiva autorizzazione, ferme restando le licenze del ministero della sanità. I medici autorizzati ad effettuare il prelievo delle parti di cadavere ed il successivo trapianto devono essere diversi da quelli della commissione che accerta la morte. Le difficoltà e le questioni correlate alla duplice definizione di accertamento della morte sono state invece superate con la legge 578 del dicembre 1993. Viene ammessa un’unica definizione di morte, quella cerebrale, che si identifica con la «cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo». 
In Italia è in vigore la legge 91, promulgata nel 1999 con un colpo di mano, a chiusura della legislatura, sotto il governo D’Alema. Dal punto di vista legale, viene considerato donatore chiunque non abbia espresso intenzione di non esserlo; un consenso in tal caso «obbligatoriamente tacito», visto lo stato di coma, che trovo ingiusto e opportunista. Molte persone che non hanno mai neppure preso in considerazione il problema vengono legalmente identificate come disponibili. E vero che prima dell'espianto viene fatto firmare un consenso informato ai parenti, spesso in condizioni di grave confusione emozionale. Ma con quale diritto un parente decide della vita di un congiunto e con che tipo di informazione? Il parente è morto o è moribondo?

L'uso del termine «morte» riferito al cervello è chiaramente strumentale: evoca l'idea che quell'individuo è realmente morto. Il sostenere che «non c'è più niente da fare» e che il paziente è moribondo bloccherebbe di fatto la possibilità legale di espiantare gli organi. La pratica degli espianti verrebbe vissuta con tutt'altra consapevolezza nella popolazione e negli operatori sanitari. I parenti probabilmente non si sentirebbero in grado, giustamente, di prendersi questa grande responsabilità. Se il paziente è moribondo non può essere espiantato. Si commetterebbe un omicidio. È chiaro che l'abolizione della pratica di espianto da individui dichiarati «cerebralmente morti» toglie una opzione terapeutica ad alcuni pazienti, oltre che notorietà e immagine ad alcuni chirurghi.

Al termine degli anni '60 molti chirurghi d'eccellenza, specialmente nordamericani, dopo anni di sperimentazioni su animali, erano perfettamente in grado di eseguire trapianti cardiaci sull'uomo; ciò che li bloccava erano problemi etici e soprattutto legali: la certificazione di morte poggiava sul tradizionale criterio di arresto irreversibile cardiocircolatorio: non si poteva togliere un cuore battente ad un donatore senza incorrere nel reato di omicidio volontario. L’ intervento venne accolto molto favorevolmente dal governo sudafricano, impegnato nel tentativo di recuperare visibilità internazionale  a causa della segregazione razziale degli autoctoni.  

Per non restare «arretrata» rispetto alla chirurgia sudafricana, la comunità scientifica aveva a disposizione due possibilità: condannare l'espianto del cuore battente come inammissibile sul piano morale e legale, perché mortale per il donatore, o cambiare la definizione di morte. Si preferì scegliere la seconda opzione che non risolse contestualmente l'aspetto etico.  Per stabilire se un individuo fosse morto, un tempo bastavano l'accertamento della protratta assenza di attività cardiaca e delle conseguenti alterazioni anatomiche: rigor mortis, chiazze ipostatiche, iniziali segni di putrefazione tissutale.
Il medico era chiamato, in qualità di esperto, a certificare con atto ufficiale quello che il buon senso comune e l'esperienza della vita consideravano essere un cadavere; egli era in altre parole un ufficiale testimone, garante di un evento già avvenuto. Con l'introduzione del concetto di morte cerebrale = morte totale, i medici mutano di ruolo. Essi certificano qualche cosa di nuovo e di stupefacente: esistono dei cadaveri che hanno il cuore e la circolazione perfettamente funzionante, una efficiente funzione respiratoria, seppur supportata da apparecchiature, normali funzioni renali ed epatiche nonché digerenti; essi possono addirittura, se debitamente assistiti, portare a termine delle gravidanze. Che i cadaveri possano mantenere tutte queste mirabili funzioni non è solamente contrario al buon senso comune, ma ontologicamente falso. La comunità medica ha di fatto forzato la mano al legislatore, appropriandosi di un ruolo che non gli compete poiché la medicina, notoriamente, non è una scienza: è passata dall'attestare l'avvenuta morte a quello di stabilire il momento del trapasso, utilizzando tecnicismi esoterici, nel senso di difficilmente valutabili dai non addetti ai lavori. La morte infatti avviene quando l'anima, spirito vitale, si distacca dal corpo. Questo momento non può essere identificato tramite strumenti scientifici; esso ha una dimensione trascendente, è un atto morale e come tale non imbrigliabile da metodi e diagnostiche strumentali, per quanto sofisticati essi siano. La Chiesa cattolica ha sempre tenuto indebita considerazione questa impossibilità di stabilire il preciso momento del trapasso. Basti ricordare un'importantissima ricaduta nelle pratiche sacramentali: l'Estrema Unzione e l'Assoluzione delle colpe, sacramenti riservati ai vivi, sono amministrabili sub condicione sino a due ore dopo la constatazione dell'arresto cardiocircolatorio. Ogni organo non alimentato, seppur in tempi diversi, prima riduce e poi sospende la propria funzione; solo successivamente, e non necessariamente in maniera contemporanea alla sospensione funzionale, si determinano profonde alterazioni anatomiche tali da rendere irreversibili le funzioni e il mantenimento della vita. Nel famigerato rapporto di Harvard veniva proposto che lo stato di irreversibilità dovesse essere certificato utilizzando metodi puramente clinico-funzionali.

Dal punto di vista concettuale, ma anche pratico, non si può ritenere che la sola sospensione protratta di una funzione sia l'espressione della distruzione irreversibile di un organo. In cardiologia, ad esempio, esiste una sindrome nota con il nome di «Tako Tsubo» 2: un paziente che ha subìto un forte stress emotivo si presenta con forte dolore toracico, alterazioni dell'elettrocardiogramma come da infarto cardiaco acuto, ecocardiogramma e ventricolografia che dimostrano la totale assenza della funzione contrattile del muscolo cardiaco estesa a tutta la sua parte apicale ed esami del sangue come da sofferenza cardiaca. In altre parole, ci si trova di fronte ad un quadro che potrebbe essere definito come necrosi (morte) di una estesa parte del cuore. Sorprendentemente le coronarie (arterie che portano il nutrimento al cuore e che si chiudono quando si ha un infarto) in questi pazienti sono pervie. E ancora più sorprendentemente, la contrattilità cardiaca e la forma del cuore ritornano spontaneamente perfettamente nella norma, trapianto di cuore anche dopo diverse settimane dall'evento acuto. L'imbarazzo della comunità scientifica cardiologica internazionale resta tutt'ora grande, anche perché non se ne conosce ancora la causa. Se tale reversibilità della funzione resta inspiegata nel cuore, organo sicuramente funzionalmente più semplice del cervello, sorge spontaneo il dubbio di come si possa accertare la irreversibilità funzionale del cervello, organo straordinariamente più complesso e per la maggior parte delle sue funzioni tutt'ora misterioso. Un altro fenomeno cardiologico che pone l'attenzione sulla non equivalenza tra protratta assenza di funzione contrattile cardiaca e morte cellulare (infarto) è il fenomeno dello «stordimento» miocardico e della «ibernazione». In tali situazioni, parti del cuore restano immobili come se fossero morte (alterata funzione) ma le cellule rimangono vitali e possono, con opportune terapie, essere riportate allo stato di normale funzionalità. Nel cervello esistono analoghe alterazioni funzionali che non possono e non devono essere considerate espressione di danno irreversibile e che, se correttamente trattate, risultano reversibili. Si tratta della cosiddetta «penombra ischemica» cerebrale, l'analogo neurologico della sindrome di «Tako Tsubo» o del miocardio stordito o ibernato. Il definire «irreversibile» una funzione significa applicare una categoria di giudizio assoluta. Il progresso scientifico e tecnologico nell'assistenza ai pazienti comatosi sposta continuamente il confine della «irreversibilità» funzionale, svuotando la definizione dalla sua presunzione assolutista. Le diverse società scientifiche nazionali si sforzano quindi di cercare di identificare degli strumenti da proporre come sicuramente diagnostici di danno anatomico al quale corrisponda una irreversibilità della funzione.

Tali criteri, seppure applicati, sono stati sottoposti a continue modifiche, a testimonianza della loro temporanea inadeguatezza; essi sono oltre tutto differenti nei diversi Stati. Un dichiarato «morto cerebrale» con criteri italiani non sarebbe «abbastanza» morto in un altro Paese. Ciò imbarazza non poco: se non esiste un sistema comune per definire una morte, sorge spontaneo il dubbio della inadeguatezza di qualche certificazione. La morte di un individuo invece deve essere considerata una verità oggettiva, certa, assoluta, da constatare con criteri univoci e inequivocabili. Non è lecito utilizzare parametri di giudizio che si riferiscano «allo stato attuale delle conoscenze» e che normalmente il medico applica nelle diagnosi e alle cure delle malattie.
È stato da sempre così per ben più banali necessità di questioni ereditarie. La teoria che supporta il concetto della «diagnosi di morte cerebrale = morte totale» poggia sull'idea che il cervello sia dotato di una funzione coordinatrice globale dell'essere vivente; persa tale caratteristica, predazione degli organi l'organismo è destinato ad evolvere in una sorta di caotica e letale disincronizzazione funzionale. Che tale concetto sia erroneo è stato dimostrato da studi osservazionali e da testimonianze di casi clinici sopravvissuti per anni, seppur assistiti, ai criteri diagnostici di «morte cerebrale». Qualche sostenitore della pratica dei trapianti, pur ammettendo la vitalità del donatore, giustifica l'espianto d'organi a cuore battente affermando che ad un «essere» in tali condizioni non può essere riconosciuto lo status di persona e quindi perderebbe ogni diritto. Consueto appiglio ideologico già utilizzato in altri contenziosi bioetici (embrioni - aborti - eutanasia). È assolutamente inconfutabile, quindi, che il vero fine di queste certificazioni ha lo scopo di poter rendere disponibili organi vivi ed integri da trapiantare. Un fine utilitaristico quindi che, nel momento in cui l'espianto di organi fosse effettuato da un individuo non morto, perderebbe di fatto la sua presunta valenza umanitaria. Non si può allungare la vita ad un uomo malato o forse migliorarne la qualità, sopprimendone un altro. Tutto ciò sarebbe raccapricciante; evoca una sorta di primitiva e bestiale depredazione fatta a danno delle persone più indifese. Una specie di «rottamazione» dell'essere umano. Vi sono inoltre altre questioni che devono essere considerate non solo sotto il profilo strettamente tecnico. La domanda è: una vittima di incidente con trauma cerebrale che risulta essere candidato ad espianto d'organi è curato dall'inizio alla fine con il massimo delle risorse scientifiche a disposizione per cercarne il recupero o è semplicemente tenuto in osservazione in quanto raro candidato all'espianto? La risposta ufficiale non può che essere una: è stato fatto tutto il possibile.  

Questi pazienti sono stati sottoposti ad ipotermia precoce, pratica che è in grado di favorire il recupero di funzioni in penombra ischemica, o a terapie ormonali appropriate? Come mai in alcuni Stati, Italia compresa, viene applicato, quale criterio di giudizio di morte cerebrale, il test dell'apnea (sospensione del supporto ventilatorio assistito per diversi minuti, stando a vedere se vi è spontanea ripresa della funzione respiratoria) che provoca un grave insulto cerebrale, potenzialmente in grado di distruggere un encefalo in penombra ischemica? Un paziente a cui è stata certificata la «morte cerebrale», che mantiene la ossigenazione corporea tramite assistenza ventilatoria meccanica e che, se venisse sospeso il supporto assistenziale ventilatorio, probabilmente in un tempo più o meno breve andrebbe incontro ad arresto cardiaco irreversibile, non sarebbe meglio definibile come moribondo?
L'essere umano è titolare di un vitale stato di diritto; la certificazione della morte è un atto medico che stabilisce il cessare di tale stato; esso deve solo certificare la non-vita. È lecito certificare una non-vita e quindi il cessare di uno stato di diritto tramite una certificazione, peraltro di dubbio valore, dell'irreversibilità funzionale di un organo? Ammesso e non concesso che un paziente sia realmente in coma irreversibile, la morte cerebrale è veramente la morte dell'essere umano?
Non è lecito commettere un'azione immorale per un fine intenzionalmente buono. Il togliere validità all'equivalenza morte cerebrale = morte totale, implica per gli «espiantatori» l'automatica accusa di omicidio volontario premeditato e il coinvolgimento di una vasta ed eterogenea popolazione di collaboratori più o meno consapevoli, considerabili come complici. Si rende necessario quindi fare chiarezza etica sulla cosiddetta diagnosi di «morte cerebrale» finalizzata ai trapianti. In ciò, il magistero della Chiesa cattolica post-conciliare, anche grazie ad un linguaggio tutt'altro che definitorio, non ci aiuta molto. Nel 2005, la Pontificia Accademia delle Scienze si trovò d'accordo nel ritenere che la sola morte cerebrale non è la morte dell'individuo e che il criterio di morte cerebrale, privo di attendibilità scientifica, dovesse essere abbandonato. Il vescovo Marcelo Sanchez Sorondo, allora cancelliere, dispose che gli atti non venissero pubblicati. Nel 2008, la stessa Pontificia Accademia delle Scienze, ignorando completamente le indicazioni date nel 2005, provò a fare chiarezza nel merito con la seguente definizione: «La morte cerebrale non è sinonimo di morte, non implica la morte né è pari alla morte, ma "è" morte». Chi farà chiarezza su questa cosiddetta «chiarezza»?


Riferimenti:













































DPR 300/1961: "Approvazione del regolamento per l'esecuzione della legge 2 aprile 1957, n.235, concernente il prelievo di parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico"

Legge 83/1961: "Norme per il riscontro diagnostico sui cadaveri"

Decreto ministeriale 7 novembre 1961: "Modalita' concernenti l'applicazione dell'art. 5 della legge 235/1957

DPR 1156/1965: "Modifica all'art. 1 del regolamento concernente il prelievo di parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico approvato con DPR 300/1961"
Legge 458/1967: "Trapianto del rene tra persone viventi"

Legge 519/1968: "Modifiche alla legge 235/1957"

DPR 128/1969: "Ordinamento interno dei servizi ospedalieri"

Decreto ministeriale 11 agosto 1969: "Modalita' concernenti l'applicazione dell'art. 5 della legge 235/1957"

Decreto ministeriale 9 gennaio 1970: "Determinazione delle metodiche per l'accertamento della morte nei soggetti sottoposti a rianimazione per lesioni cerebrali primitive"

DPR 78/1970: "Modifica dell'art. 1 del DPR 300/1961 e modificato con DPR 1156/1965"

Legge 644/1975: "Disciplina dei prelievi di parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico e norme sul prelievo dell'ipofisi da cadavere a scopo di produzione di estratti per uso terapeutico"

DPR 409/1977: "Regolamento di esecuzione della legge 644/1975"

Decreto ministeriale 14 gennaio 1982: "Autorizzazione al prelievo di cornea ai fini di trapianto terapeutico al domicilio del soggetto donante"

Legge 198/1990: "Disposizioni sul prelievo di parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico"

Decreto ministeriale 17 giugno 1992: "Modificazioni ai decreti ministeriali 24 gennaio 1990 e 30 agosto 1991 in materia di trapianti d'organo e di cornea da cadavere"

Legge 301/1993: "Norme in materia di prelievi ed innesti di cornea"

Legge 578/1993: "Norme per l'accertamento e la certificazione di morte"

Atto di intesa 25 novembre 1993

Decreto 18 marzo 1994: "Attribuzione al centro di riferimento per i trapianti della funzione di coordinamento operativo nazionale delle attivita' di prelievo e di trapianto di organi e tessuti"

Decreto 582/1994: "Regolamento recante le modalita' per l'accertamento e la certificazione di morte"

DPR 694/1994: "Regolamento recante norme sulla semplificazione del procedimento di autorizzazione dei trapianti"

Legge 91/1999: norme per il prelievo ed il trapianto di organi e tessuti

Decreto 8 aprile 2000: disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti, attuativo delle prescrizioni relative alla dichiarazione di volontà dei cittadini sulla donazione di organi a scopo di trapianto.


           






fonte: htpps://sulatestagiannilannes.blogspot.it