lunedì 29 ottobre 2012

Enrico Mattei

il cinque maggio



  Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.

sabato 13 ottobre 2012

le streghe della notte


È la “storia non detta delle eroiche ragazze-pilota dell’Unione Sovietica nella Grande  Guerra Patriottica”, come è riportato nel sottotitolo. È anche la storia di un biplano di legno e tela, il Polikarpov U-2 (Po-2), monomotore biposto, a doppio comando, progettato, alla fine degli anni Venti del secolo scorso, da Nikolai N. Polikarpov, per addestramento/ricognizione/collegamento.
I tedeschi lo chiamavano “aereo da granturco”, perché prima della guerra era impiegato per spargere prodotti chimici in agricoltura. Nella sua spartana semplicità, era estremamente affidabile (volava in condizioni avverse, quando altri velivoli – tecnologicamente più avanzati – non riuscivano a mettersi in moto).
Fu utilizzato come bombardiere leggero, soprattutto per missioni notturne. Per la sua leggerezza e maneggevolezza, poteva volare a bassa quota e tra i palazzi dei centri abitati. I tedeschi erano convinti che dal Po-2 si potesse guardare attraverso i vetri delle finestre, per scoprire se fossero annidati cecchini nelle case.
Le notti russe erano rigide e le carlinghe scoperte; ma, senza alcun timore, le donne-pilota decollavano e “picchiavano duro”. Molte avevano meno di vent’anni.
Nell’estate del 1942, nessuno poteva immaginare che – a contrastare l’invasione nemica – vi fossero studentesse e operaie, patite del volo. In principio, i piloti della Luftwaffe non se ne resero conto. Quando le scoprirono, le “bollarono” come “Streghe della notte” (o “Streghe volanti”: fu un asso dell’aviazione tedesca, in servizio sul fronte del Caucaso, a ricordare che erano espressioni di rispetto per queste coraggiose donne).
Nella sua documentata ricostruzione, Gian Piero Milanetti precisa che l’unità di addestramento delle aviatrici sovietiche fu costituita tre mesi dopo l’invasione tedesca.
Marina Raskova – che, nell’agosto 1935, aveva partecipato alla prima trasvolata “femminile” da Leningrado a Mosca – il giorno dopo l’inizio dell’Operazione Barbarossa (nome in codice dell’invasione della Russia) cominciò a ricevere lettere dalle giovanissime aviatrici russe che chiedevano di essere impiegate in prima linea.
La Raskova, come membro del Soviet Supremo, si recò presso le Autorità militari, perorando la “causa” delle “mittenti”, brevettate negli aeroclub, prima della guerra. Le Autorità preposte erano favorevoli, ma il “via libera” doveva darlo Stalin che aveva qualche riserva. “Tu capisci – avrebbe detto alla Raskova –, le future generazioni non ci perdonerebbero il sacrificio di tante giovani”. La replica fu: “Loro accorreranno al fronte ugualmente. Lo faranno da sole e sarà peggio se ruberanno gli aerei per andare a combattere”. Proprio in quei giorni, alcune aviatrici respinte presero un aereo da caccia e volarono in prima linea.
Arrivò l’autorizzazione e fu stabilito che, dal 1° dicembre 1941, tre unità femminile sarebbero state costituite e preparate per le linee di volo.
La Raskova programmò e organizzò il gruppo aereo, con l’inserimento delle donne-pilota, delle navigatrici di rotta e delle armiere, dando vita a tre reggimenti: il 586 (caccia bombardieri), il 587 (bombardieri in picchiata) e il 588 (con apparecchi per i bombardamenti “leggeri” notturni).
Il pregio di questo libro è soprattutto nella documentazione fotografica. Una storia nella storia. Scorrendo le pagine, troviamo i volti di queste eroine: davanti al proprio aereo; in gruppo per la foto-ricordo, con i tanti riconoscimenti appuntati sulle divise; con il Po-2 in volo, con le bombe da 100 kg, agganciate sotto le ali, e con la mitragliatrice “brandeggiabile”.
Per comprendere il coraggio e il valore di queste “Streghe”, basta pensare che, durante le lunghe notti invernali, gli equipaggi non scendevano nemmeno per sgranchirsi un po’; restavano a bordo, pronte a decollare di nuovo, mentre gli specialisti rifornivano e riarmavano i piccoli bombardieri.
Per incrementare il numero delle missioni, le “Streghe” decisero di raggruppare gli specialisti in modo che assistessero tutti insieme l’aereo che atterrava, chiunque lo pilotasse. In questo modo, diventava possibile rifornirlo e riarmarlo in soli cinque minuti. Fino ad allora, contando soltanto sul proprio armiere e sul proprio meccanico, non era stato possibile compiere più di un paio di missioni a notte.
Il prezzo da pagare erano stress e insonnia cronici. “Abbiamo dormito dalle due alle quattro ore ogni giorno per tutti e quattro gli anni di durata della guerra”, ricordava Mariya  Smirnova, eroina dell’Unione Sovietica.
“C’era sempre il pericolo – per Larisa Litvinova-Rozanova – di cadere addormentate durante le missioni. Di solito ci accordavamo con il navigatore: una di noi dormiva all’andata e l’altra al ritorno”.
Al termine del conflitto, le missioni compiute furono più di 24.000. Trentadue giovani donne-pilota perirono; ventitré furono nominate “Eroine” dell’Unione Sovietica, due “Eroine” della Russia e una della Repubblica del Kazakhistan.
Mauro De Vincentiis
Gian Piero Milanetti insegna “Lettere” a Roma. Ha scritto per “Il Messaggero”, “Il Tempo”, “Il Gazzettino” e “Il Giornale”.
estratto da www.anpi.it